Imprese: capitale umano “fattore chiave” per la competitività. 50% bloccata da burocrazia.

Aumenta il fatturato delle medie imprese nel 2022 (+15%) e proseguono le prospettive di crescita, anche se più contenute, per il 2023 (+3,5%). Le medie imprese confermano di avere un modello dinamico e più resiliente rispetto alle grandi imprese nei periodi di crisi. La chiave di questo successo sta nell’attenzione verso la qualità e il Capitale Umano, che rappresenta il fattore determinante della competitività. Sono più ottimiste le medie imprese che investono nella digitalizzazione e nel green. Il 34% di quelle che prevedono una crescita del fatturato nel periodo 2023-2025 punterà infatti sulla Duplice Transizione, contro il 30% che non lo farà. Una quota che sale al 46% quando gli investimenti in digitale e green si abbinano a quelli in formazione del Capitale Umano. In quest’ottica, circa la metà delle imprese si è attivata o intende attivarsi sui programmi del PNRR, ma la burocrazia è il principale ostacolo per l’altra metà che non prevede di avvalersi del Piano. 

È questo l’identikit delle medie imprese industriali italiane messo a fuoco nel XXII Rapporto a loro dedicato dall’Area Studi Mediobanca, Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne presentato lo scorso luglio a Milano. Si tratta di 3.660 imprese manifatturiere a controllo familiare italiano con fatturato compreso tra 17 e 370 milioni di euro e una forza lavoro tra i 50 e i 499 addetti. Un ecosistema che nel 2021 ha realizzato vendite aggregate pari a 184,1 miliardi di euro, occupando oltre 523mila dipendenti.

“I molti shock del post Lehman hanno fatto emergere la rilevanza dei capitali strategici, e di quello Umano in particolare, come fattori chiave che consentono di cogliere le opportunità offerte da un contesto rischioso e incerto. Il Capitale Umano premia le imprese che lo sanno reperire, trattenere e coltivare, massimizzandone la soddisfazione e quindi il rendimento” ha dichiarato Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca.

“Le medie imprese si stanno dimostrando più competitive delle altre realtà imprenditoriali, anche perché sono maggiormente consapevoli della necessità di dovere accompagnare il loro percorso di innovazione con la formazione del Capitale Umano impiegato per sfruttare al meglio le opportunità di sviluppo offerte dalla Duplice Transizione, digitale e green”. Lo ha detto il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto “puntare sulla formazione è strategico anche per rispondere alla crescente difficoltà di reperimento di figure professionali con le skill adeguate che interessa quasi la metà delle ricerche e per abbattere quelle barriere culturali che oggi rischiano di frenare gli investimenti nella Twin Transition. Ma per questo è indispensabile snellire pure la burocrazia che frena un’ampia platea di imprese a sfruttare i vantaggi del PNRR per finanziare il proprio percorso di cambiamento. In questa ottica il decreto legislativo sulla semplificazione appena varato, che valorizza tra l’altro il fascicolo informatico di impresa gestito dalle Camere di commercio, è certamente un buon segnale”.

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Dopo i rimbalzi del fatturato del 2021 (+20,4%) e del 2022 (+15%), le medie imprese manifatturiere italiane affrontano le incertezze della congiuntura forti di una grande capacità di adattamento che le ha rese meno sensibili agli shock rispetto al resto dell’economia. Le aziende stesse si attendono un progresso anche nel 2023, sebbene più modesto (+3,5%). Le aspettative per gli anni a venire sono ispirate da un ‘ottimismo temperato’: il 55% ritiene di poter crescere, ma in maniera lieve. Si tratta di un gruppo che fa da spartiacque tra un 25% di aziende ottimiste, che immaginano un futuro in incremento significativo e un 20% che, al meglio, manterrà stabili le proprie quote di mercato.

Rispetto al periodo precedente al Covid e al conflitto russo-ucraino, l’attuale contesto presenta più rischi che opportunità per il 37,7% delle medie imprese anche perché il 28% di esse ritiene di confrontarsi con competitors meno numerosi ma più agguerriti. Fortunatamente, per oltre un quarto delle medie imprese, negli ultimi anni è cresciuto il gradimento verso il made in Italy che rappresenta una sorta di ‘ancora valoriale’ in un quadro dai riferimenti instabili.

Non sorprende quindi che l’obiettivo di raggiungere una dimensione ‘adeguata al contesto’ – non un gigantismo fine a sé stesso – abbia scalato l’agenda degli imprenditori. In alcuni ambiti, infatti, la capacità di attivare leve strategiche importanti come l’acquisizione di competitor internazionali o la realizzazione di investimenti digitali, è agevolata dalla dimensione. Ciò favorisce le aziende di medio-grandi dimensioni (fatturato tra 370 milioni di euro e 2,99 miliardi e/o più di 499 addetti) intervistate dall’Area Studi Mediobanca al fine di compararne le risposte con quelle delle medie imprese. La volontà di continuare ad investire in Italia (61% le medie, 57% le medio-grandi) e di migliorare la qualità (63% e 66%) appare invece un tratto comune a tutte le imprese.

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Tra i ‘capitali’ strategici per lo sviluppo futuro, quello Umano rappresenta per le medie imprese l’elemento centrale su cui focalizzare i maggiori sforzi. In una scala di rilevanza da 1 a 5, ottiene un punteggio pari a 4,6 seguito dal Capitale Tecnico (4,1), da quello Finanziario (3,8), da quello Conoscitivo (3,6) e dal Capitale Organizzativo (3,5).

La disponibilità di Capitale Umano specializzato ha una diretta relazione con la qualità dell’organizzazione e delle produzioni dell’impresa che rappresentano la ‘stella polare’ del made in Italy. Il 40% delle medie imprese si percepisce come produttore di fascia alta: chi vi opera ottiene migliori performance economiche (EBIT margin 7,4% vs 5,7%) e presenta meno debiti (Debt equity ratio 67,3% vs 84,5%) rispetto ai player di gamma medio-bassa.

Le medie imprese sono più fiduciose sul futuro quando investono nella Duplice Transizione: Digitale e Green. La quota di quelle che prevedono un aumento del giro d’affari tra il 2023 e il 2025 passa dal 30% delle medie imprese che non punteranno su questa trasformazione al 34% di quelle che vi investiranno. Tra il 2023 e il 2025 oltre il 60% delle medie imprese prevede di investire nella Duplice Transizione e, di queste, quasi il 25% lo farà per la prima volta. Tuttavia, quando le imprese investono anche nella formazione del Capitale Umano, le aspettative di crescita del fatturato coinvolgono il 46% del campione.

La consapevolezza di dover contare su Capitale Umano adeguato per migliorare la propria competitività ha favorito anche lo sviluppo di politiche specifiche per trattenere i migliori talenti. La leva economica è la più considerata e infatti il 50% adotta incrementi salariali per scongiurare il fenomeno delle dimissioni spontanee, mentre il 29% punta sui benefit aziendali e il 27% sulla flessibilità degli orari di lavoro. Solo il 13% incentiva lo smart-working.

Se per metà delle imprese la Doppia Transizione è a portata di mano, per l’altra metà è un obiettivo pieno di ostacoli. A scoraggiare gli investimenti in questa direzione sono soprattutto il deficit culturale (assenza di conoscenza dei vantaggi, mancanza di interesse del management) segnalato dal 33% delle medie imprese che non investiranno in Green e dal 27% di quelle che non investiranno nel Digitale nel triennio 2023-2025. Gli aspetti economici (scarsità delle risorse, problemi di accesso al credito, tassi di interesse elevati, costi delle tecnologie o delle materie prime Green troppo elevati) sono un problema particolarmente sentito dal 29% delle medie imprese che non investono nel verde e dal 31% di quelle che non investono nel Digitale.

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Vi sono alcuni mutamenti strutturali nella Governance delle imprese familiari che possono agire da facilitatori nello sviluppo di tutti i ‘capitali’ strategici, Umano ma non solo. L’apertura del capitale è uno di questi. Le grandi discontinuità che si sono aperte con la pandemia hanno aiutato a derubricare l’apertura del capitale da tabù culturale a opzione operativa: il 12,3% delle aziende ha visto crescere le proposte di ingresso nel proprio capitale da parte di fondi di private equity e il 13,9% le occasioni di operazioni di M&A. La quotazione resta ancora poco praticata dalle medie imprese prevalentemente per una ritrosia culturale: oltre il 75% la esclude o non l’ha in agenda.

Per molte imprese il PNRR è una leva strategica per sostenere i propri investimenti. Il 21% delle medie imprese si è già attivato sui programmi del PNRR e un ulteriore 27% ha in agenda di farlo nel prossimo futuro. Tra queste, il 54% si impegna a portare avanti la propria Transizione Digitale, il 38% scommette sull’innovazione di processi con tecnologie Green e il 34% punta sull’economia circolare.

Ma oltre la metà delle imprese ha rinunciato alle opportunità del Piano per le difficoltà che ha incontrato sul campo. A frenare è soprattutto l’eccessiva burocrazia, indicata come una barriera dal 56% di esse. A netta distanza, tra le altre motivazioni, si trovano le difficoltà tecniche interne legate al reperimento di personale idoneo a seguire le procedure (16%) e la mancanza di assistenza da parte dei soggetti esterni adibiti a tale scopo (10%).

foto aymane jdidi da Pixabay.com