Il teatrino della politica e la commedia di Ruffini
L’espressione “teatrino della politica” descrive con efficacia le recenti vicende di Enrico Maria Ruffini. L’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate, infatti, è protagonista di una commedia politica di cui si conoscono già trama, copione e ruoli. Soltanto il finale è ancora incerto. Ragion per cui il nostro è attualmente impegnato in un tour nazionale di presentazione del suo testo “Uguali per Costituzione” che, in realtà, è di presentazione della propria candidatura al mitologico ruolo di federatore del centro sinistra. L’ultima (rap)presentazione è andata in scena sabato a Cagliari.
In quest’opera, dicevamo, le parti sono già state assegnate. Vi è il protagonista dal nome cardinalizio, affidabile clericale con lo sguardo rivolto a sinistra, come emblematicamente testimoniato da barbetta e occhiali da pidiessino cogitabondo. Vi sono poi i comprimari e co-protagonisti che cambiano a seconda del luogo della rappresentazione. A Cagliari vi erano il Sindaco di Cagliari, cuore rosso e una spiccata propensione al compromesso cattocomunista da anni 70; Mauro Usai, piddino di scuola Oppi che piddino non era ma era iglesiente come Usai; lo scrittore Flavio Soriga, immancabile officiante dell’establishment progressista isolano. Con loro, un imponente numero di comparse dem, cattolici, cattodem, aclisti, comunisti, esponenti di sinistra e di centro.
Anche la trama, che riprende il canovaccio elaborato da Prodi e Parisi nel ’96, è nota. La sopravvivenza della Repubblica è gravemente minacciata dalle destre fascio-sataniche. Le “forze sane” del Paese (leggasi gruppi di interesse legati al centrosinistra) decidono allora di unirsi a difesa della democrazia. Affinché ciò riesca è necessario identificare una figura in grado di federare sotto un unico simbolo tutto ciò che dall’estrema sinistra all’estremo centro abbia in odio gli orridi barbari. Tale figura risponde al nome di Federatore.
Una volta individuato, inizia un articolato rituale. Il prescelto, di solito un boiardo democristiano, dichiarerà solennemente di non essere interessato alla leadership e di volere unicamente offrire il proprio umile contributo di semplice cittadino. Affermerà, inoltre, l’importanza di “ripartire dai valori”, ribadirà che “Il programma viene prima della scelta del leader”, ricorderà che “la lezione di Aldo Moro è più attuale che mai”.
A ciò, faranno da immancabile controcanto paginate di editoriali messianici su Corsera, Stampa e Repubblica, lettere aperte di liceali angosciati per il futuro dell’Italia, appelli di intellettuali e personaggi dello spettacolo; tutti insieme come una sola voce, imploreranno il non ancora proclamato Federatore di sacrificarsi per il bene della Nazione. A costui, infine, non resterà che accettare “a malincuore” l’alto compito “indegnamente” affidatogli. La democrazia, così, sarà salva e tutti vivranno felici e democraticamente contenti.
Al momento, della commedia di Ruffini manca ancora il terzo atto, il più importante. Ci pare, tuttavia, che i suoi sceneggiatori stiano ignorando l’elemento determinante in politica come nell’arte teatrale: il consenso del pubblico. Per meglio dire, il reale desiderio degli elettori, in primis quelli di sinistra, di assistere a una simile rappresentazione. Si vedrà.
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