Il Giorno del Ricordo per l’esule istriano Giuliano Lodes.
Durante la commemorazione delle vittime delle Foibe e dell’esodo istriano promosso dalla Prefetura di Cagliari, è intervenuto Giuliano Lodes, esule istriano e rappresentante dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Particolarmente toccante la sua testimonianza: “Pola era una città con una grande presenza di nostri connazionali, una vera e propria enclave italiana che subiva ripetute violenze per via della nostra nazionalità. Di quegli anni ricordo la Strage di Vergarolla del 18 agosto 1946, dove morirono 65 persone, colpevoli solo di aver partecipato a delle tradizionali gare natatorie. A quei tempi la paura di finire infoibati e di venire inglobati in una diversa cultura, la dittatura comunista di Tito, portò centinaia di migliaia di italiani a emigrare. Una violenza che colpì tutti gli italiani, senza alcuna distinzione di classe. Fu perseguitata non solo la borghesia ma anche il proletariato e il sottoproletariato”.
“Per capire il clima di odio nei confronti degli esuli istriani basta leggere un articolo dell’Unità, edizione dell’Italia Settentrionale del 30 novembre 1946*, dove il cronista di allora dichiarava che gli esuli non avevano diritto di entrare in Italia e alla solidarietà del popolo italiano, poichè carnefici e fascisti. Parole di istigazione all’odio verso i profughi italiani che al tempo, purtroppo, fecero breccia nel cuore di molti dei nostri connazionali. Ancora per comprendere il contesto di quegli anni possiamo ricordare l’accoglienza verso gli esuli, specialmente da parte dei comunisti italiani, che, con sputi e insulti, esprimevano tutto il loro odio nei loro confronti. Per il semplice fatto che gli esuli non volevano vivere in una dittatura comunista, per i comunisti italiani, questo bastava a considerare i profughi istriani come fascisti”.
“La Sardegna è stata un’isola felice per i profughi e per la mia famiglia. Qui sono arrivato all’età di due anni, nel 1947 e trovammo grande comprensione da parte dei cagliaritani. Il periodo di detenzione nei campi profughi, spazi dove non esisteva privacy e riservatezza, erano finiti. Da poco ho incontrato Egea Heffner, aveva con se la stessa valigetta che l’ha resa famosa nella foto simbolo dell’esodo istriano e, nonostante i suoi 80 anni, non ha perso il suo spirito. Nel corso degli anni ho avuto la possibilità di ritornare nei luoghi che abbiamo dovuto lasciare per via della dittatura titina. Particolarmente doloroso per me è stato il ricordo della visita con mia madre, fortemente rattristata dal cambiamento della Città di Pola, dalla lingua fino alla toponomastica”.
Un messaggio anche a coloro che nel 2020 continuano a sottovalutare i tragici eventi legati all’esodo istriano: “Studiate la storia, ma non la storia scritta dai vincitori. 60 anni di silenzio sono stati complici dell’attuale mancanza di percezione tra i nostri connazionali degli avvenimenti di cui parliamo oggi. Se l’attenzione che vediamo in questo giorno per le vittime delle foibe ci fosse stata anche 60 anni fa, oggi ci sarebbe stata più consapevolezza da parte di tutti. Ricordare e contrastare l’indifferenza e il negazionismo, sono le sfide più importanti per noi. Solo il dialogo può appianare i contrasti. Dobbiamo però essere preparati al dialogo e solo la cultura può aiutarci in questo”.
Nella sua conclusione Giuliano Lodes ha voluto ricordare un famoso discorso del grande pugile Nino Benvenuti, anch’egli esule istriano: “Ci sono storie che non si possono dimenticare. La mia è una di quelle. Di un popolo intero. Cacciato, umiliato, calpestato, strappato dalla propria terra senza che nessuno, dico nessuno, abbia alzato un dito per difendere un popolo dimenticato, la cui storia è stata oscurata per anni, cancellata dai libri di storia, negata. Solo la forza di chi non ha mai abbassato la testa – di chi nonostante tutto, ha conservato la propria dignità, di chi non si è mai arreso – ha ridato voce a tutti noi istriani, fiumani e dalmati, anzi italiani. Sì perché lo eravamo prima e lo siamo oggi. Italiani”.
*L’Unità anno XXIII Edizione Italia Settentrionale n. 284, 30 novembre 2946.
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