Il futuro delle terre rare in Ucraina: tra interessi USA e autonomia strategica dell’UE
Il settore delle terre rare in Ucraina si trova al centro di un intreccio geopolitico sempre più complesso. L’amministrazione Trump, come evidenziato in uno studio di Kjeld van Wieringen, ha avanzato una proposta che ha suscitato non poche tensioni: in cambio del sostegno militare statunitense contro la Russia, Washington chiede a Kyiv l’accesso privilegiato alle sue preziose risorse minerarie, per un valore stimato di 500 miliardi di dollari.
L’Ucraina, però, è anche un Paese candidato all’adesione nell’Unione Europea e ha già siglato con Bruxelles un partenariato strategico nel 2021 per l’integrazione delle sue materie prime critiche nelle filiere industriali europee. Ciò rende il futuro delle terre rare ucraine un tema chiave non solo per gli Stati Uniti, ma anche per l’UE, che dipende per il 98% dalla Cina per l’approvvigionamento di questi materiali fondamentali.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha mostrato apertura a concessioni in materia di materie prime critiche, inserendole in un piano di vittoria presentato agli USA già nel settembre 2024. Tuttavia, il 16 febbraio 2025, in occasione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Zelenskyy ha respinto un accordo con Washington che prevedeva la cessione del 50% delle riserve ucraine di terre rare agli Stati Uniti in cambio di sostegno militare. Il leader ucraino ha però lasciato aperta la porta a trattative per un’intesa alternativa che garantisca “reali garanzie di sicurezza”.
La questione ha generato tensioni, come ricordato dall’incontro dello scorso 28 febbraio tra Zelenskyy e Trump che, di fatto, ha portato alla brusca interruzione dei negoziati. Il 19 marzo, l’amministrazione statunitense ha annunciato di aver abbandonato il progetto di un accordo minerario con Kyiv, concentrandosi invece su strategie di pace a lungo termine.
Se gli USA puntano all’accesso esclusivo alle risorse ucraine, l’UE guarda a Kyiv come partner strategico per ridurre la propria dipendenza da Pechino. Il Critical Raw Materials Act, approvato da Bruxelles, ha evidenziato poi come la guerra russa abbia esposto le vulnerabilità dell’Europa sul fronte delle materie prime critiche. L’aumento del 36% del prezzo del nichel e del 15% di quello del litio dopo l’invasione russa ne è la dimostrazione più evidente.
L’Ucraina possiede il più grande giacimento di titanio d’Europa, una delle riserve di litio più consistenti del continente (circa 500.000 tonnellate) e il 20% delle riserve mondiali di grafite, fondamentale per le batterie dei veicoli elettrici. Inoltre, il sottosuolo ucraino è ricco di berillio, manganese, gallio, uranio e zirconio, materiali cruciali per settori strategici come la difesa e i semiconduttori.
L’Unione Europea, consapevole del valore di queste risorse, ha già avviato una partnership con Kyiv per integrare l’Ucraina nelle catene di approvvigionamento europee.
Nonostante il grande potenziale, però, l’estrazione delle terre rare in Ucraina presenta sfide enormi. Secondo il governo ucraino, circa il 20% delle risorse minerarie e metà dei giacimenti di terre rare si trovano in territori occupati dalla Russia. Inoltre, molte delle stime sulle risorse disponibili si basano su rilevamenti dell’era sovietica, che non consideravano i costi di estrazione né la reale convenienza economica di tali operazioni.
Prima dell’invasione russa, il settore minerario e metallurgico contribuiva per il 10% al PIL ucraino e rappresentava il 33% delle esportazioni. Con la guerra, i ricavi del comparto sono più che raddoppiati, sottolineando l’importanza strategica di queste risorse per l’economia ucraina e globale.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti continueranno a contendersi l’accesso alle ricchezze del sottosuolo ucraino, ma per Kyiv la sfida sarà mantenere il controllo sulle proprie risorse senza sacrificare sovranità e indipendenza economica.
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