Il destino “inaspettato” delle armi inviate in Ucraina.

Dopo la conferma dell’invio di armi ai gruppi jihadisti nel nord ovest dell’Africa, l’Ucraina, grazie all’interrogazione degli eurodeputati del gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (ECR), Emmanouil Fragkos e Galato Alexandraki, torna a far parlare di sé, questa volta non nei panni della “vittima impegnata in una guerra per conto terzi” ma per il poco convincente sistema di monitoraggio sulle armi consegnate dalla NATO, Stati Uniti d’America e dai “democratici” Paesi Ue al Governo di Kiev.

Una “zona d’ombra” sulla quale, dalle parti dei vertici Ue, in pochi sembrano interessati a puntare lo spotlight nella giusta direzione, alimentando, anche qui, dubbi sulla trasparenza dell’azione dei “partner e alleati dell’Ucraina contro la ‘guerra di aggressione’ della Federazione Russa”.

Ex informatori del Ministero della Difesa ucraino, spiegano i due esponenti del gruppo ECR, “riferiscono di essere riusciti a identificare armi della NATO rivendute dal governo ucraino, quali sistemi anticarro, lanciagranate, armi leggere, costosi sistemi di artiglieria, missili e apparecchiature di riconoscimento ad alta tecnologia”.

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Armi europee destinate all’Ucraina, probabilmente, che potrebbe essere state vendute sul darknet da gruppi anonimi usando il metodo “stash”, dove l’acquirente paga usando bitcoin o altre criptovalute e poi viene guidato dal venditore verso il nascondiglio delle armi. “Prodotti per l’assistenza alla sicurezza dell’Ucraina” che spesso seguono le rotte del grano ucraino per finire nelle mani di organizzazioni terroristiche e cartelli della droga.

Difficile, però, sperare di ottenere dichiarazioni sorprendenti dalle parti della Commissione von der Leyen che, per la risposta ai due eurodeputati di ECR, ha attivato l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell: “Dall’inizio dell’aggressione su vasta scala della Russia all’Ucraina, l’UE e i suoi Stati membri hanno fornito livelli senza precedenti di sostegno finanziario militare alle forze armate ucraine, in particolare tramite l’European Peace Facility (EPF)”. Informazioni che anche i sassi conoscono. Ma andiamo avanti.

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“Per qualsiasi misura di assistenza tramite l’EPF, il Governo ucraino si è impegnato a garantire il rispetto dei requisiti stabiliti dal Consiglio. Pertanto, le autorità ucraine si sono impegnate a non trasferire le attrezzature ricevute nell’ambito dell’EPF a terze parti al di fuori delle proprie forze armate, né a riesportarle in altri Paesi”. Difficile, però, credere alla bontà delle istituzioni ucraine, alla luce della consegna di armi ucraine (nonché di formatori militari) a gruppi jihadisti in Paesi come il Mali, con i quali sono stati interrotti i rapporti diplomatici, e del crescente tasso di corruzione nel Paese. A voglia a fidarsi delle “autorità ucraine”…senza contare l’instabilità dovuta alla guerra che, con altrettanta asperità, rende difficoltosa la garanzia della manutenzione e protezione dele armi e munizioni consegnate nell’ambito dell’EPF.

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Ma per l’Alto rappresentante Borrell, si può dormire tra due guanciali dato che il Servizio europeo per l’azione esterna è responsabile del monitoraggio e della valutazione dell’attuazione di questi impegni e che nel corso delle ispezioni in Ucraina, per verificare l’adeguato stoccaggio e contabilità delle attrezzature militari, non sono state rilevate criticità.

“Ad oggi – conclude Borrell – non vi sono prove che alcuna attrezzatura dell’EPF donata all’Ucraina sia stata dirottata”. Nel contempo, però, l’Ue ha applicato sanzioni nei confronti dell’Iran in assenza di prove sui presunti traffici di missili dall’Iran alla Russia. Vale sempre il ‘doppio standard’ in Ue.

foto Army Spc. Trevares Johnson (DoD)