Il Cagliari degli eroi, dall’Amsicora all’Azteca.
Si intitola “Il Cagliari degli eroi – Il riscatto di una Nazione: dal tricolore alla Partita del Secolo” il libro scritto dai giornalisti Giovanni Giacchi e Maurizio Verdenelli, con prefazione di Enrico Gaviano (ed. Bookness).
Un “viaggio” sportivo dai giorni dell’Amsicora a quelli dell’Azteca: dal Cagliari ‘dei Miracoli’ cioè, la squadra imbattibile che vinse lo scudetto 1969-70, la formazione che aveva ridato immagine ad una Nazione deturpata dalla piaga dei sequestri di persona, al mezzo miracolo dell’ Italia che sfiorò a Mexico City il titolo mondiale. E’ una storia di quegli eroi che ridiedero lustro e dignità a una Nazione, quella sarda.
Una cavalcata omerica prima in rossoblù (alla guida di Manlio Scopigno) poi in azzurro (sette giocatori del Cagliari furono convocati dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi) dall’autunno 1969 al giugno 1970. Con due eventi centrali: la conquista dello scudetto e il 4-3 alla Germania il 17 giugno.
Per Enrico Boldrini “il Cagliari rese reale l’impossibile, non si trattò solo di uno scudetto ma, com’è scritto nel sottotitolo del libro, si trattò di “riscatto”, una squadra di calcio fece cambiare la visione della Sardegna con un manipolo di eroi garibaldini… Le 133 pagine sono una miniera troppo ricca per far affiorare in questo contesto la poesia in essa contenuta. E allora scelgo Comunardo Niccolai, passato alla storia come il re degli autogol, ma gli autori del libro, non cadono nel tranello del risaputo, ben sanno che senza Niccolai stopper di altissimo livello quello scudetto non si sarebbe vinto… Il più divino dei suoi autogol ovviamente nella partita decisiva per lo scudetto, quella con la Juve. Su un cross dello juventino Furino (come fosse arrivato a fare un cross anche questo non si capisce, visto che lui era un mastino da difesa e un po’ da spinta) si vede Comunardo Niccolai svettare in volo, surclassare tutti, compagni e avversari e “insaccare” nella propria porta. Pare che per difendersi dagli improperi di un esterrefatto Albertosi e dei suoi compagni abbia pronunciato le seguenti parole: “Era un cross troppo bello per non mandarlo dentro”, ma come al solito sopra a tutti svettava il filosofo Manlio Scopigno che imperterrito disse: “ Bel gol, peccato che giochino nella stessa squadra… “.
E ancora “Albertosi è stato il più grande di tutti ( dopo Lev Jaschin, s’intende, ma questi giocava su Marte). Ecco perché: Albertosi è l’unico portiere che io ricordi talmente eccellente da potersi permettere al tempo stesso di recitare anche il ruolo del portiere, insomma faceva due cose in una: era e rappresentava, ha semplicemente pagato qualche rappresentazione, ma chi come me desiderava il teatro imprevedibile desiderava Albertosi, non l’algido Zoff, quello parava e basta”.