I segnali di disagio e malessere nella condizione di giovani e minori.
Dopo la pandemia è diventato argomento comune nel dibattito pubblico il crescente disagio tra i giovani. Non mancano segnali in questa direzione, anche se una ricostruzione territoriale del fenomeno resta difficile con gli strumenti di analisi attuali. A lanciare l’ennesimo allarme, oggi, la Fondazione openpolis, per la quale l’emergenza non è affrontata a dovere mentre chi di dovere preferisce ripiegare sulla retorica emergenziale tesa a descrivere i giovani come ripiegati su sé stessi.
Allo stesso tempo, i segnali di malessere psicologico tra bambini e ragazzi non devono essere sottovalutati, arrivando anche da fonti autorevoli. Come le indagini svolte negli ultimi anni dal ministero della salute sui disturbi del comportamento alimentare tra i più giovani e quella sulle dipendenze comportamentali nella generazione Z (i nativi digitali, nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012) a cura dell’istituto superiore di sanità.
“Di fronte al rischio di una narrazione aneddotica sulla condizione giovanile, partire dai dati – adottando anche diversi punti di vista – è l’unico modo per orientarsi e capire meglio la situazione in corso – si legge nella nota di Openpolis -. Con tutti i limiti del caso, visto che generalmente le informazioni disponibili non permettono un’effettiva profondità territoriale di analisi. Attraverso l’uso di fonti diverse, proviamo a ricostruire un quadro delle tendenze rispetto al benessere psicologico tra gli studenti”.
Un primo strumento a disposizione per ricostruire la condizione di salute mentale nelle nuove generazioni è l’indice specifico, utilizzato da Istat nell’ambito degli indicatori sul benessere equo e sostenibile (Bes).
Si tratta di una modalità per misurare il disagio psicologico (psychological distress), elaborata dall’istituto di statistica attraverso la sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di almeno 14 anni in 5 quesiti estratti da uno specifico questionario (il Sf36: 36-item short form survey). I quesiti selezionati si riferiscono alle quattro dimensioni principali della salute mentale: ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale e benessere psicologico. A partire dalle risposte, viene elaborato un indice che varia tra 0 e 100: più è elevato l’indice, migliori sono le condizioni di benessere psicologico della persona.
Dopo l’inizio della pandemia, è proprio tra i più giovani (fascia 14-19 anni) che si era riscontrato il peggioramento più consistente dell’indice di salute mentale. Stando ai nuovi dati – relativi al 2023 – questa tendenza non appare del tutto recuperata rispetto al periodo pre-Covid.
Nell’ultimo anno di rilevazione, ricordano ancora da Openpolis, l’indice di salute mentale tra gli adolescenti è sceso a 71, rispetto al 72,6 registrato l’anno precedente. I giovani restano la fascia d’età con l’indice più alto, ma in confronto alla media della popolazione è nitido il contrasto tra prima e dopo la pandemia. Un gap che peraltro non sembra essere ancora del tutto recuperato.
L’altro aspetto significativo è lo spiccato divario di genere. Tra le adolescenti l’indice di salute mentale è stato pari a 67,4 nel 2023, circa 7 punti in meno dei coetanei maschi (74,3). Sebbene uno svantaggio femminile sia comune a tutte le fasce d’età, lo scarto registrato tra i 14 e i 19 anni è particolarmente ampio.
Quello sulla salute mentale non è l’unico indicatore che segnala una difficoltà nella condizione di bambini e ragazzi. Dai dati sull’isolamento sociale a quelli sulle dipendenze, fino ai disturbi del comportamento alimentare, i segnali in questa direzione sono numerosi. Tuttavia, se è abbastanza chiaro il quadro complessivo, non è altrettanto semplice ricostruire il fenomeno con una disaggregazione territoriale fine, premessa obbligata per qualsiasi tipo di intervento.
Fattori endogeni | Fattori esogeni |
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Esperienze di isolamento, malattia grave e/o decesso di uno o più familiari | Assenza di un approccio di sistema (mancato coordinamento delle reti sociali, sanitarie ed educative) |
Situazioni familiari complesse (es. separazione dei genitori, assenza o iperprotezione di figure adulte di riferimento, sovraccarico lavorativo dei genitori o lavori ad alto rischio COVID) | Mancanza di una rete di servizi sociosanitari ed educativi sufficientemente efficace (es. tra servizi di neuropsichiatria infantile, psicologia, scuola e sociale) |
Problematiche psicologiche e neuropsichiatriche preesistenti | Inadeguatezza dei sistemi di accoglienza e cura |
Stress correlato alla richiesta di prestazioni scolastiche elevate | Prolungati periodi di chiusura della scuola |
Difficoltà nella gestione temporale della routine quotidiana | Percezione costante di incertezza e sfiducia nelle istituzioni |
Utilizzo inadeguato e/o eccessivo dei dispositivi tecnologici per le attività didattiche e le relazioni sociali (es. eccesso di social network) | Mancanza di zone verdi e chiusura prolungata di luoghi di aggregazione e/o socializzazione |
Mancata conoscenza della lingua italiana da parte dei migranti e delle loro famiglie | Confusione generata dalla comunicazione da parte dei mass media |
Mancanza o inadeguatezza di risorse informatiche | Mancanza o inadeguatezza di risorse informatiche |
Episodi di violenza sui minorenni e violenza assistita | Fragilità socio-culturali ed economiche (es. posizioni lavorative precarie o perdita del lavoro dei genitori) |
Insieme alla famiglia, la scuola è l’altra istituzione con un ruolo centrale. È qui infatti che bambini e ragazzi trascorrono buona parte del proprio tempo, vivendo esperienze che possono influenzarne il benessere e lo sviluppo.
Anche in questo caso, l’apprezzamento verso la scuola è inversamente correlato all’età. I rispondenti 11enni a cui “piace molto la scuola” sono il 21% tra le ragazze e il 15% tra i maschi. La quota si dimezza a 13 anni (7% maschi, 10,7% femmine), per poi calare ulteriormente tra i 15enni (5,6% maschi, 7% femmine). In questa fascia d’età, il 61,8% si sente accettato dagli insegnanti, ma solo poco più di uno su 3 (35,4%) percepisce un interesse da parte dei docenti. Due su 3 (66,6%) si sentono accettati per come sono dai compagni di classe.
Fortemente correlata con i rapporti con insegnanti e compagni è la percezione di stress rispetto all’esperienza scolastica. La difficoltà di gestire lo stress è uno dei fattori più spesso chiamati in causa per l’impatto sulla dimensione psicologica e sociale.
Troppo stress si può accompagnare alla comparsa di comportamenti a rischio (ad esempio il consumo di alcolici, il fumo o l’uso di sostanze psicoattive), oppure essere associato a una maggiore frequenza di sintomi psico-somatici, tra i più comuni mal di testa, dolori muscolari e/o disturbi del sonno.
Circa il 60% degli studenti intervistati dichiara di sentirsi molto o abbastanza stressato dalla scuola, una quota cresciuta rispetto alla precedente rilevazione del 2017/18. La percentuale varia rispetto ai territori, all’età e al genere degli studenti. Non raggiunge il 50% in provincia di Bolzano (40,6%) e in Calabria (49%), mentre supera il 62% in Veneto e Valle d’Aosta. Il picco massimo tra le ragazze 15enni: quasi l’80% dichiara di sentirsi abbastanza o molto stressata dall’impegno scolastico (60,2% tra i coetanei maschi).
La Campania, ricordano ancora da Openpolis, è la regione italiana dove si registra la maggiore frequenza di un uso problematico dei social media tra gli adolescenti (16%). Seguono, con quote poco inferiori al 15%, Calabria e Puglia.
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