I coralli accumulano gli inquinanti dell’ambiente marino.
Uno studio condotto in collaborazione tra l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università di Bologna, ha identificato un accumulo di idrocarburi policiclici aromatici, inquinanti dannosi, nei tessuti e nelle alghe simbionti del corallo mediterraneo Balanophyllia europaea.
Lo studio, realizzato nell’ambito del dottorato internazionale congiunto Cnr–Unibo in “Tecnologie innovative e uso sostenibile delle risorse di pesca e biologiche del Mediterraneo” e delle attività di ricerca del Fano Marine Center – Centro di ricerca sulla biodiversità, risorse e biotecnologie marine, è stato pubblicato sulla rivista Science of the total environment.
Nello studio i ricercatori hanno dimostrato per la prima volta la presenza di alcuni idrocarburi, come acenaftene, fluorene, fluorantene e pirene, selezionati per la loro rilevanza ambientale, in un corallo largamente diffuso nel mar Mediterraneo.
“Gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) sono una classe di inquinanti organici derivanti dalla combustione incompleta di materiale organico e dall’uso di olio combustibile, gas, carbone e legno nella produzione di energia. Gli Ipa sono largamente presenti in mare e rappresentano un potenziale rischio per la fauna marina, visti i loro effetti tossici”, spiega Mauro Marini, ricercatore Cnr-Irbim.
“I risultati dimostrano che Balanophyllia europaea accumula questi contaminanti nel tessuto, nello scheletro e nelle alghe zooxantelle che vivono in simbiosi con lo stesso corallo. Associando i dati degli Ipa contenuti negli scheletri ai dati all’età della popolazione in esame, è stato possibile stimare la capacità di stoccaggio a lungo termine degli idrocarburi policiclici aromatici, in particolare sino a 20 anni, negli scheletri di corallo”, prosegue il ricercatore Cnr-Irbim.
“Lo stoccaggio di per sé sottrae contaminanti dall’ambiente. Tuttavia, le sostanze restano tossiche per il corallo e possono avere effetti diretti sull’animale arrivando a provocarne la morte in caso di contaminazioni estreme. Queste sostanze potrebbero essere di nuovo rilasciate nell’ambiente al momento della degradazione del corallo. Inoltre, i cambiamenti climatici provocando l’acidificazione dei mari, possono causare una più veloce degradazione delle strutture coralline e quindi un più rapido rilascio nell’ambiente di queste sostanze contaminanti. Questa prima indagine è il punto di partenza per studi futuri nel bacino mediterraneo. Valutare i livelli e le fonti di questi inquinanti diffusi e dannosi è infatti di cruciale importanza per stimare i rischi per gli organismi marini”.