Guerra in Ucraina: le conseguenze per l’agroalimentare italiano.
L’agroalimentare italiano, che solo qualche settimana fa festeggiava il superamento dello storico traguardo dei 50 miliardi di euro, deve fare i conti non solo con l’incremento dei costi di produzione ma anche con il conflitto apertosi tra Russia e Ucraina.
Come sottolinea l’Ismea in una breve analisi sull’argomento, lo scoppio del conflitto si è innanzitutto inserito in un contesto di tensioni sui mercati dei cereali come non si vedeva dalla precedente crisi dei prezzi del 2007-2008. Tensioni scatenate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e non ultimo speculativo, che rendono l’Italia particolarmente vulnerabile in ragione dell’alto grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti di grano e mais.
L’altra faccia del problema è rappresentata dalle esportazioni che vedono l’Italia tra i principali fornitori di Mosca di prodotti agroalimentari, addirittura al primo posto per gli invii di vini e di spumanti, prodotti fino a questo momento risparmiati dalle restrizioni commerciali varate da Mosca nel 2014.
Dall’analisi di Ismea, frumento tenero, frumento duro e mais hanno raggiunto in Italia e all’estero quotazioni mai toccate prima, mentre il mercato dei futures alla borsa di Chicago manifesta una fortissima volatilità. Non tutto è però riconducibile direttamente alla guerra e soprattutto le dinamiche alla base della fiammata variano da prodotto a prodotto.
Il grano duro ha raggiunto in Italia il suo prezzo massimo a dicembre 2021, e in questo caso a pesare sull’instabilità dei mercati è soprattutto il vuoto d’offerta che si è creato dopo il crollo dei raccolti in Canada (-60%), principale esportatore mondiale e il calo di altri importanti Paesi produttori. Nelle forniture globali di grano duro, il ruolo dei Paesi direttamente coinvolti dal conflitto oppure rientranti geograficamente o politicamente nell’orbita russa è praticamente inesistente, essendo la produzione concentrata soprattutto in Europa, Canada, Usa, Turchia e Algeria.
Diverso è il caso del frumento tenero, dove la quota russa e ucraina sulla produzione mondiale arriva al 14% (16% se consideriamo anche il Kazakistan), e la situazione di instabilità si sta riverberando in maniera decisa sulle principali piazze di scambio internazionali e sui mercati dei futures. Tuttavia, il peso dell’export di frumento tenero russo e ucraino incide sulle importazioni italiane del prodotto solo per il 6% in volume nel 2020.
Per il mais la corsa ai rialzi è stata innescata mesi fa dalla vorticosa crescita della domanda cinese, legata al riavvio della produzione suinicola dopo l’epidemia di peste suina, ma gli ulteriori rincari sono il diretto riflesso del clima di incertezza di questi giorni.
In relazione all’interscambio tra l’Italia – Ucraina il nostro Paese è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari di Kiev e al decimo posto tra i paesi clienti per un fatturato di 496 milioni di euro pari al 3% dell’export agroalimentare ucraino, in flessione del 19% su base annua Esportiamo soprattutto prodotti ad alto valore aggiunto come vino, caffè, pasta anche se la voce più rilevante è il tabacco da masticare o da fiuto. Il nostro Paese acquista dall’Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais (il 13% in volume delle forniture provenienti dall’estero nel 2020) e frumento tenero (5%).
Se si entra più in dettaglio negli scambi di prodotti agroalimentari con Ucraina e Russia dell’Italia e al ruolo che questi Paesi rivestono nell’ambito di specifici settori, secondo le elaborazioni Ismea su dati Comtrade (data base ITC), le esportazioni agroalimentari dell’Ucraina verso la Ue-27 sono state pari a 5,4 miliardi di euro nel 2020, facendo del mercato comunitario – con una quota del 28% – una delle principali destinazioni delle derrate provenienti da Kiev.
Circa il 50% del valore di prodotti agroalimentari esportato dall’Ucraina in Italia è rappresentato dall’olio grezzo di girasole che, rispetto al totale olio di girasole importato dall’Italia costituisce una quota pari a oltre il 60%; L’Italia ha infatti importato, nel 2020, circa 405 mln di euro complessivi di olio di girasole di cui 250 mln euro dall’Ucraina. Mentre sul versante dell’import dell’Ucraina, l’Italia è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari, dopo la Polonia, con una quota del 7% pari a 415 milioni di euro, sempre nel 2020.
Relativamente agli scambi agroalimentari con la Russia, l’Italia è il settimo fornitore di Mosca mentre il nostro ruolo tra i paesi acquirenti è del tutto trascurabile (33ma posizione). Anche in questo caso esportiamo soprattutto vini e spumanti, caffè, pasta. Nel 2020, il nostro Paese ha spedito a Mosca cibi e bevande per un controvalore complessivo di 908 milioni di euro.
Sul fronte passivo della bilancia commerciale nazionale, l’Italia risulta solo al trentatreesimo posto tra i clienti della Russia, Paese da cui importiamo principalmente prodotti destinati all’alimentazione animale come panelli di estrazione dell’olio di girasole, piselli secchi, polpe di barbabietole, oltre a semi di lino e frumento tenero – che rappresenta l’8% del valore di frumento tenero importato dall’Italia nel 2020 pari a 10 milioni di euro – e frumento duro – che rappresenta poco più dell’1% del valore di frumento duro importato dall’Italia nel 2020 pari a 805 milioni di euro.
Dopo l’embargo scattato all’indomani dell’annessione della Crimea, le importazioni russe di prodotti, materie prime e generi alimentari provenienti da Stati Uniti d’America, Unione Europea, Canada, Australia e Norvegia hanno subito una violenta battuta d’arresto e ancora non raggiungono i livelli antecedenti il 2014. I vini italiani sono stati finora risparmiati dalle restrizioni commerciali varate da Mosca, mentre più colpita è stata l’ortofrutta.