Green pass rafforzato, Sergio Berlato: “Mezzo coercitivo e ghettizzante del Governo italiano”.

“Il Governo italiano non ha più limiti, il suo atteggiamento e le sue decisioni privano i cittadini non inoculati di qualsiasi libertà e diritto, creando una vera e propria discriminazione, con modi e metodi tipici delle più riprovevoli politiche estremiste”. E’ quanto si legge nel testo dell’interrogazione parlamentare dell’eurodeputato del gruppo dei Conservatori e Riformisti europei Sergio Berlato, per il quale “in base al nuovo decreto sul Green Pass rafforzato, valido solo per inoculati e guariti dalla Covid-19, coloro che non cederanno al ricatto vaccinale imposto dal Governo italiano”.

Da qui la richiesta alla Commissione europea circa l’aderenza del green pass rafforzato ai dettami dell’articolo 36 del regolamento (UE) 2021/953 (che sancisce il divieto di discriminazione nei confronti di coloro che non possono vaccinarsi o hanno scelto di non vaccinarsi) e sull’ipotesi di attivare una procedura di infrazione nei confronti del Governo italiano, “il quale – prosegue Berlato – approvando questo nuovo Green Pass rafforzato, non solo lede la libertà e i diritti fondamentali degli italiani, ma risulta essere anche palesemente discriminatorio e in contrasto con la normativa europea”.

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Sull’interrogazione presentata lo scorso 25 novembre 2021 ha risposto, venerdì scorso, il Commissario europeo della giustizia nella Commissione Van der Leyden, Didier Reynders, entrando nel merito del regolamento (UE) 2021/953 relativo al certificato COVID digitale dell’UE: “Nel quadro di tale agevolazione a vantaggio di tutti i cittadini, il regolamento relativo al certificato COVID digitale dell’UE non riguarda solo i certificati di vaccinazione, ma anche quelli di test e di guarigione. L’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE – prosegue Reynders – non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Gli Stati membri possono utilizzare il certificato COVID digitale dell’UE a fini nazionali, ma sono tenuti a prevedere in tal senso una base giuridica nel diritto nazionale che rispetti, tra l’altro, i requisiti in materia di protezione dei dati”.

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Spetterebbe agli Stati membri, in particolare, stabilire quali misure di protezione della salute ritengano più appropriate per accedere, ad esempio, a determinati luoghi: “Le condizioni di accettazione per fini nazionali non rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento relativo al certificato COVID digitale dell’UE – ha confermato il Commissario -, ma sono di competenza degli Stati membri nel settore della sanità pubblica. In virtù del suo articolo 51, paragrafo 1, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si applica agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione”.

Infine, sull’ipotesi di aprire una procedura di infrazione il Commissario ha concluso affermando che “le questioni cui fa riferimento l’onorevole deputato sono di competenza esclusiva degli Stati membri. Nel presente caso, spetta ad essi garantire che i diritti fondamentali siano effettivamente rispettati e tutelati in conformità al diritto nazionale e agli obblighi
internazionali in materia di diritti umani”.

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