Giù le mani da Winston Churchill.
Se non fosse stato per l’uomo del quale hanno imbrattato la statua, una parte dei militanti europei del movimento “black lives matter” sarebbero oggi schiavi, figli e pronipoti di schiavi, in immensi campi di lavoro a cielo aperto; l’altra parte sarebbe composta dai loro aguzzini e carcerieri.
E invece eccoli qui, bianchi e neri tutti insieme appassionatamente, liberi di inseguire l’ultima tendenza in fatto di moda protestataria. Per l’ennesima volta, infatti, un’istanza sorta in America diventa rito collettivo che, codificato dai social media, viene celebrato in Europa in maniera totalmente avulsa dalle ragioni e dal contesto scatenanti.
Il tutto nella piena legittimità e libertà grazie a Winston Churchill che, “nelle ore più buie”, rifiutò di arrendersi alla trionfante bestia nazifascista e al suo delirante progetto di nuovo ordine mondiale razzista. Un progetto che peraltro riconosceva un’importanza centrale all’Impero Britannico a cui avrebbe assegnato il ruolo di guardiano delle cosiddette “razze inferiori”. Grazie al suo “we shall never surrender”, espressione dell’orgoglio di un’aristocrazia imperialista che considerava l’uomo bianco anglosassone investito di una missione civilizzatrice, l’Europa si salvò dall’incubo nazista.
Quella visione oggi sarebbe inaccettabile ma, ripercorrendo il filo della storia, è in essa che affondano le radici di un Paese la cui capitale ha un sindaco di religione musulmana e diversi fra i suoi ministri sono figli e nipoti di immigrati provenienti dalle terre del vecchio impero. Cosi come in essa, ugualmente, affondano le radici dell’ideale di un’Europa unita che ha tra i suoi valori fondanti il rifiuto del razzismo in tutte le sue forme ed espressioni. Senza il bianco conservatore Winston Churchill non sarebbero esistiti ne l’uno ne l’altro.
Eppure, è notizia di ieri, il governo britannico ha dovuto ricoprire con un’umiliante gabbia il monumento a lui dedicato nel cuore di Londra per evitare che, per l’ennesima volta, venisse vandalizzato da orde di imbecilli.
Ci si consenta una domanda a latere di questa riflessione. Una volta che #blacklivesmatter avrà cessato di essere trending topic e le pose in ginocchio non saranno più facili photo opportunity per politici e influencer, che fine farà il dibattito sulla piaga del razzismo? Se ne continuerà a parlare o seguirà le sorti dell’hashtag grossolanamente appioppatogli?