Giovani storie sarde: Davide il cooperante.
La cooperazione internazionale è un mondo complesso e affascinante in cui, nell’incontro tra differenti culture, prendono vita progetti sociali di grande rilevanza. Per potervi operare sono indispensabili notevoli qualità professionali unite alla capacità di vivere in condizioni di incertezza, stress e privazioni. Ciò fa si che la cooperazione, oltre all’espressione concreta di valori universali, sia un’opportunità unica di conoscenza e crescita personale. Si comprende quindi perché alcuni giovani, una volta terminati gli studi, decidano di deviare il proprio percorso di vita dalla direzione prestabilita per mettersi alla prova in questo settore. Sardegnagol racconta oggi la storia di uno di loro, Davide Cadeddu, cittadino del mondo dai natali sassaresi e dal presente cagliaritano, con alle spalle un’importante esperienza in Kenya, attualmente impegnato nell’ideazione e nel coordinamento di progetti internazionali per il network TDM 2000 International. Abbiamo incontrato Davide che, in maniera schietta e non scontata, ci ha parlato del suo percorso di vita e delle motivazioni che hanno contribuito a determinarlo.
Quando hai realizzato che la tua non sarebbe stata una vita normale con un normale lavoro da scrivania?
Identificare un momento preciso è impossibile. È stato più il frutto di un percorso. Da sempre mi è stata stretta una visione della vita organizzata per tappe. Vedevo intorno a me persone per la quali la vita era come un treno su delle rotaie con tappe prestabilite. Finisci gli studi, trovi un lavoro, ti sposi, fai figli come se tutto fosse già scritto. Con tutto il rispetto per le scelte altrui, non era quello che desideravo e ho fatto diversamente. Benché amassi il mio corso di studi (leggi ndr) non ho mai pensato che sarei diventato un avvocato. Va detto anche che nel mio settore il lavoro tradizionale da scrivania non manca, anzi. Per fortuna le mansioni variano e non si corre il rischio di una noiosa routine.
Come è nato il tuo interesse per la cooperazione internazionale?
È raro che una persona finisca a lavorare in questo settore per coincidenza. Per quanto riguarda il mio caso, sono sempre stati forti in me i valori di giustizia e solidarietà, trasmessi dai miei genitori e rafforzati poi da esperienze e incontri successivi. Tuttavia, non ho mai avuto la sindrome da salvatore del mondo e ho sempre pensato che questa esperienza, al massimo, sarebbe potuta servire a salvare me stesso. Il mio concetto di solidarietà, in fondo, non è altro che una forma di egoismo, mi si passi il termine. Penso che la vera solidarietà vi sia quando una persona, perseguendo i propri fini, le proprie aspettative, i propri ideali, compie dei gesti che hanno effetti positivi su altre persone. Certamente hanno influito anche il desiderio di conoscere luoghi e culture nuovi e il desiderio di mettermi in discussione e testare i miei limiti con un’esperienza forte e destabilizzante. Dal punto di vista pratico tutto è iniziato dopo la laurea con un tirocinio a Barcellona in una ONG. Grazie a questa esperienza ho incontrato la cooperazione internazionale e ho capito che ne avrei voluto approfondire la conoscenza e toccare con mano i progetti che io stesso contribuivo a ideare. Una volta tornato in Sardegna, ho inviato migliaia di mail a organizzazioni del settore. Il caso ha voluto che a rispondermi fosse un’associazione con sede in Sardegna (OSVIC ndr).
Per diversi anni collaborato a un progetto di cooperazione internazionale in Kenya. Quanto è stato difficile, se lo è stato, accettare un simile compito?
Accettare di per se è stato facilissimo, credo di non aver esitato per più di 10 minuti. Era quello che volevo fare. Sapevo che sarebbe stata “tosta” e che ci sarebbero stati molti momenti di difficoltà. Però ero consapevole che, grazie a quella esperienza, sarei cresciuto tantissimo sia umanamente che professionalmente e i momenti negativi avrebbero poi acquisito un valore positivo. A ripensarci oggi, la mia previsione si è rivelata corretta. I momenti difficili non sono mancati ma in termini di crescita quella è stata l’esperienza più importante della mia vita.
Da questo punto di vista qual è il tesoro che hai portato con te dall’Africa?
Difficile identificare un solo tesoro. Sono davvero tantissime le capacità che ho sviluppato. Se proprio dovessi sceglierne una sarebbe una pazienza fuori dal comune. Quando mi trovato li ripetevo spesso ai miei amici che mi pareva di essere in uno spazio tempo diverso da quello a cui ero abituato dove, per qualsiasi cosa, c’era bisogno di aspettare il doppio o il triplo del tempo. Questo all’inizio è stato oggetto di numerosi arrabbiature ma col passare del tempo mi ha aiutato sviluppare una pazienza che mi torna molto utile oggi. Credo anche di aver sviluppato una certa stabilità psichica, equilibrio mentale e capacità di gestione dello stress. Me ne rendo conto in particolare adesso, in un momento difficile come questo, nel quale occorre tirare fuori queste capacità. Un altro insegnamento è stato il ponderare bene e analizzare un contesto prima di prendere una decisione. È stata una cosa che ho imparato, a mie spese, all’inizio dell’esperienza in Kenya. Lavorando li nel sociale, a contatto con bambini, qualsiasi tipo di scelta poteva avere un impatto fortissimo, nel bene e nel male. Infine, la consapevolezza della grande fortuna che ho avuto, senza merito specifico, per il fatto di essere nato in Sardegna.
Per poter essere operatori della cooperazione e del volontariato internazionale è necessario avere importanti competenze e capacità professionali. In che modo ti tieni aggiornato?
Oltre alle competenze professionali sono necessarie anche quelle personali e caratteriali. Qualità come determinazione, spirito d’adattamento, stabilità emotiva, spirito critico. Essendo un lavoro che ha dei risvolti pratici immediati nel sociale e ha a che fare le persone, qualità professionali e caratteristiche attitudinali sono inscindibili ed entrambe necessarie. Delle volte si tende a pensare che per fare il cooperante sia sufficiente la buona volontà. La buona volontà senza competenze specifiche può causare grandi danni. Io stesso sul campo mi sono reso conto che alcune nostre azioni, a causa della rigidità del sistema e di regole che non tenevano conto della realtà, non producevano il meglio per le persone a cui erano destinate. Talvolta erano persino controproducenti. Nel lavoro che svolgo la formazione è una componente essenziali. Ci sono numerosi progetti, anche di larga scala, che hanno lo scopo di favorire la crescita professionale degli operatori, ai quali partecipo. La possibilità di viaggiare spesso mi da inoltre l’opportunità di imparare a diretto contatto con contesti nuovi e differenti dal mio.
Il tuo ruolo comprende sia la funzione di colui che scrive i progetti che quella di chi va a realizzarli. Quale delle due preferisci?
Lavorare in organizzazioni piccole o medie ti consente di avere la percezione dell’intero processo. Questo per me è importante perché mi da un quadro reale dell’impatto di ciò che faccio. Dovendo scegliere, per attitudine e inclinazione personale, mi sento più a mio agio nel ruolo di chi studia, elabora e scrive il progetto. Mi considero più una figura da dietro le quinte che un front man. Però, come detto prima, mi piace mettermi in gioco e quindi cerco di cimentarmi anche nel ruolo di chi i progetti li realizza e ha contatto diretto con i beneficiari. In questo modo riesco anche a valutare meglio la portata della mia opera di progettista.
Nel mese di maggio entreremo in un mondo sconosciuto a tutti noi. Quale ruolo pensi potrà avere la mobilità internazionale nella costruzione di tale mondo?
Fare delle previsioni potrebbe essere azzardato. Le cose sono già drasticamente cambiate per tutti. Qui entreranno in gioco le qualità di cui parlavamo, a partire dallo spirito di adattamento. Chi prima riuscirà ad adattarsi, meglio e con meno ripercussioni negative potrà vivere il momento. Nel prossimo periodo alcune dinamiche dovranno sicuramente essere riviste. Penso a un ruolo maggiore degli strumenti digitali e del tele lavoro. L’auspicio è che il superamento della fase di emergenza e delle restrizioni alla nostra libertà di movimento, faccia apprezzare maggiormente in futuro il nostro settore. Credo anche che l’attuale momento di difficoltà della UE ci porterà in futuro a essere realmente cittadini europei che si sentono parte di un progetto comune. In ciò la mobilità internazionale è sicuramente destinata a rivestire un ruolo fondamentale.