Giorgia Meloni presiede la prima riunione del G7 sotto la Presidenza italiana.

In occasione del secondo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha presieduto una riunione dei Capi di Stato e di Governo G7. Nel corso dell’incontro la premier si è collegata da Kiev, assieme al Primo Ministro canadese Justin Trudeau, alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al Presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Al termine della riunione è stata adottata una dichiarazione congiunta sull’Ucraina: “Noi leader del Gruppo dei Sette (G7), riaffermiamo il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina che sta continuando a dimostrare la volontà di sconfiggere la macchina da guerra del presidente Putin, ripristinare l’integrità territoriale della loro nazione e difendere la sovranità e l’indipendenza del Paese. Il presidente Putin non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo strategico di sottomettere l’Ucraina – dichiarano i grandi del G7 -. Invece, sta costringendo ogni giorno il suo stesso popolo a pagare un prezzo alto per le azioni sconsiderate del suo governo. Ha prosciugato le risorse della Russia per finanziare una guerra non necessaria, ha fatto a pezzi le famiglie russe e ha causato la morte di centinaia di migliaia di russi”.

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Paese, secondo la narrazione dei rappresentanti del G7, che starebbe “rafforzando le fondamenta dello stato democratico attraverso riforme vitali, in particolare per rafforzare il sistema giudiziario e lo stato di diritto e contrastare la corruzione”. Nazione, invece, che occupa il 104° posto su 180 nazioni – quasi a pari merito con Stati quali il Nepal, Panama e Sierra Leone – per indice della corruzione. Insomma, un partner Ue che non dovrebbe essere considerato così affidabile.

Eppure i grandi continuano a parlare di “importanti sforzi” di Kiev lungo la via della “civilizzazione europea”: “Questi sforzi fanno parte del percorso dell’Ucraina verso l’integrazione euro-atlantica. Elogiamo i risultati conseguiti finora dall’Ucraina e accogliamo con favore la decisione del Consiglio europeo dello scorso dicembre di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. Accogliamo con favore i progressi dell’Ucraina nel soddisfare le condizioni del programma Extended Fund Facility dell’FMI”.

Interessi malcelati da narrazioni autoreferenziali e celebrative, quindi: “La ricostruzione dell’Ucraina, a cominciare da misure di ripresa tempestive, rimane una priorità fondamentale – confermano i “7 grandi” -. Continueremo a collaborare con le autorità ucraine e le istituzioni finanziarie internazionali attraverso la piattaforma di coordinamento dei donatori multi-agenzia per l’Ucraina e facendo leva sugli investimenti privati”.

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Nel frattempo, grazie anche ai corposi approvvigionamenti militari forniti dagli Stati Uniti e dalla “democratica” Ue, la guerra prosegue e, attualmente secondo la Banca Mondiale, i danni socio-economici in Ucraina superano ormai i 486 miliardi di dollari.

Riunione, quindi, che ha espresso poche novità, se non ribadire il refrain della “forte unità del G7 a sostegno di Kiev” e, ancora, “la determinazione di proseguire l’assistenza all’Ucraina e di rafforzare le misure sanzionatorie nei confronti di Mosca e delle entità che consentono l’aggiramento delle sanzioni”.

I Sette hanno inoltre chiesto alle autorità russe di far luce sulle circostanze della morte di Alexei Navalny, condannando la continua repressione dei dissidenti politici in Russia: “Rendiamo omaggio allo straordinario coraggio di Alexei Navalny e siamo al fianco di sua moglie, dei suoi figli e dei suoi cari. Ha sacrificato la sua vita lottando contro la corruzione del Cremlino e per elezioni libere ed eque in Russia. Chiediamo al governo russo di chiarire le circostanze della sua morte. Chiediamo ugualmente al governo russo di liberare tutti i prigionieri ingiustamente detenuti e di fermare la persecuzione dell’opposizione politica e la repressione sistematica dei diritti e delle libertà dei russi”.

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L’incontro ha consentito, inoltre, un approfondimento sulla situazione in Medio Oriente alla luce del preoccupante aumento delle tensioni nella regione, incluso il Mar Rosso. Area del mondo dove se ad attaccare sono Stati Uniti e Regno Unito (con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada, Danimarca, Paesi Bassi e Nuova Zelanda), è tutto accettabile contro gli “incivili e antidemocratici” Houthi dello Yemen. 

Coalizione, che al momento ha preso di mira otto obiettivi strategici in un Paese sovrano, tra cui depositi sotterranei di armi Houthi, strutture di stoccaggio missilistico, sistemi aerei senza pilota con attacco unidirezionale, sistemi di difesa aerea, radar e un elicottero.

Attacchi, reca una velina recente del Pentagono, mirati a “interrompere e degradare ulteriormente le capacità della milizia Houthi sostenuta dall’Iran”, ha dichiarato il Segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III.

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