Giampaolo Loddo. Il ricordo dello scrittore Roberto Brughitta.
Si è spento ieri all’età di 91 anni Giampaolo Loddo, poliedrico e istrionico artista, voce autentica della Cagliari popolare del dopoguerra. Abbiamo incontrato lo scrittore Roberto Brughitta, suo amico di lunga data, per avere un ricordo di questa straordinaria figura.
Roberto, chi era realmente Gianpaolo Loddo?
Giampaolo Loddo era la Cagliari che non c’è più. Quella delle persone di tutte le età che la domenica non mettevano il naso fuori di casa se la camicia non era stirata e le scarpe non lucidate. Anche se probabilmente erano le uniche che avevano. Giampaolo Loddo era arte pura, era la polvere del palcoscenico mista alla terra dei cortili paesani. Ma soprattutto, grazie a un bagaglio di sessant’anni di spettacoli, Giampaolo Loddo non era, è.
In che circostanza vi siete conosciuti?
Io penso che nessun avendracino possa ricordarsi il giorno in cui abbia conosciuto Giampaolo. Sarebbe come cercare di ricordarsi quando si è vista la luna per la prima volta; impossibile. Nel quartiere di Sant’Avendrace Giampaolo lo si vedeva ovunque, nell’edicola di Efisio Bartolini, nel bar di Caddeo del mitico Number one, in parrocchia e spessissimo nella rivendita delle bombole che gestiva suo fratello Mariano. Di certo non lo vedevi seduto in qualche panchina, lui era sempre in movimento e chiunque conosceva la professione che faceva. Lo fermavamo spesso per strada e non si tirava indietro quando da ragazzini gli chiedevamo di raccontarci una barzelletta. Spesso ci recitava qualche stralcio di copione teatrale, e in quelle occasioni interpretava la parte come se si trovasse davanti a un ricco pubblico pagante. Amava veramente il suo lavoro.
C’è un aneddoto legato alla vostra amicizia a cui sei particolarmente legato?
Insieme abbiamo fatto tante cose, anche una bellissima giornata della Befana per i bambini, ma il ricordo indelebile è senza dubbio legato al pomeriggio del 17 gennaio del 2015. Lui mi fece l’onore di scrivere la prefazione del mio libro “La donna farfalla”. Quell’anno mi ostinai a voler fare la prima presentazione a Elmas, cosa che mi riusciva sempre difficile e così il tempo passò e arrivammo a gennaio quando grazie alla meravigliosa consulta delle donne di Elmas riuscimmo a organizzare una indimenticabile serata nella libreria locale. Quel pomeriggio andai a prendere Giampaolo a casa e lui durante il tragitto mi chiese se potevo portarlo prima davanti alla laguna di Giliacquas. Mi spiegò che da ragazzini, seguendo il tracciato della ferrovia, ci arrivavano in bicicletta. Mi disse che allora era denominata Giobiacquas e che in quella spiaggetta ci facevano il bagno in mutande. Quel giorno si mise a raccontare tanti episodi della sua fanciullezza. Guardava spesso il cielo e il suo sguardo andava oltre l’orizzonte. Era tornato ragazzo e non mi vedeva più. Io allora ne approfittai e gli scattai alcune foto con il mio telefono, poi andammo a presentare il libro. Feci altre presentazioni insieme a lui, ma quei momenti non li dimenticherò mai.
Lui, come te, era un figlio di Sant’Avendrace. In che misura queste radici hanno influenzato la sua arte?
Tantissimo, anche perché il quartiere era un teatro a cielo aperto con scenografie e personaggi particolari. Era abitato da tanti pescatori, e la loro cucina fatta a base di pesce è entrata prepotentemente nelle canzoni e nelle scene teatrali di Giampaolo. Quasi tutti i comici e cabarettisti hanno comunque cominciato con sketch che erano frutto del territorio o della gente che li circondava. Giampaolo ha raccontato sempre il suo quartiere. Ricordo ancora quando fece la parte di Sant’Avendrace. Vestito come il famoso Vescovo Cagliaritano si mise a sfottere Sant’Efisio, affermando che Stampace venne colpita da tantissime bombe mentre quelle che cercavano di cadere nel quartiere di Sant’Avendrace, venivano prese a schiaffi da lui e dirottate lontano. Non dimentichiamoci però che era anche un chitarrista (ha pure suonato con Murolo), cantante, sceneggiatore e attore poliedrico in quanto passava da scene ironiche a scene drammatiche in un attimo. Amava anche trasformare testi italiani, nel suo sardo speciale fatto di termini volutamente porcellinati. Invito tutti ad ascoltare la sua “Livella” di Totò.
Quanto della Cagliari di Gianpaolo Loddo sopravvive in quella attuale?
Purtroppo quasi nulla. Per fortuna ci sono tanti altri cabarettisti e comici che continuano a usare lo slang Cagliaritano, Massimiliano Medda, Jacopo Cullin e tanti altri. Io stesso spesso e volentieri ne faccio uso durante le presentazioni per far capire meglio un concetto. Una “bussinara a manu prena” non puoi descriverla con un forte ceffone o un violento scappellotto. A Cagliari poi ci si conosceva spesso e volentieri tramite i soprannomi che evidenziavano un difetto fisico. Orecchie a sventola, denti sporgenti, stature alte o basse, niente di serio e soprattutto senza vere e proprie discriminazioni, almeno per la maggior parte dei casi. Al giorno d’oggi però non si potrebbe fare. Nel nostro quartiere c’erano le corti, dove i bambini potevano giocare senza rischi. Eravamo un paese in città, ci si conosceva tutti. Giampaolo mi ricordava spesso di quando per indicare la zona di piazza Yenne si diceva “andiamo a Cagliari?” tanto era lontana da raggiungere a piedi. La città è cambiata, in meglio direi. Mi piace tantissimo la mia città attuale. Il quartiere un po’ meno. Per esempio ci hanno tolto l’accesso al parco di Tuvixeddu, immaginatevi un anziano che esce dalla chiesa e aggirando il palazzo della regione di viale Trento, arriva al parco dopo aver percorso la via Falzarego. Una cosa impensabile sia d’inverno che d’estate.
Un’ultima domanda. Se potesse leggere gli omaggi postumi di queste ore, cosa direbbe secondo te?
“Stravanate tutte queste belle parole, che lo avevo saputo ero morito prima”.
Foto credits Roberto Brughitta