Famiglie italiane: l’inflazione erode il reddito reale.
Nel 2023, il 22,8% della popolazione (circa 13 milioni 391mila persone) è risultato a rischio di povertà o esclusione sociale, mentre il 18,9% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà (circa 11 milioni e 121mila individui) avendo avuto un reddito netto equivalente, senza componenti figurative e in natura, inferiore al 60% di quello mediano (11.891 euro).
Il 4,7% della popolazione (circa 2 milioni e 788mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ossia presenta almeno sette segnali di deprivazione dei 13 individuati dal nuovo indicatore Europa 2030. Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione (la quota era del 4,5%) in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole.
Nel 2023, la riduzione della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è particolarmente marcata al Nord, mentre il Nord-est si conferma la ripartizione con la minore incidenza di rischio di povertà (11%); la quota di popolazione in questa condizione è stabile al Centro (19,6%) e si riduce nel Mezzogiorno, l’area del Paese con la percentuale più alta di individui a rischio (39% rispetto al 40,6% del 2022). In quest’ultima ripartizione l’indicatore composito rivela una riduzione della quota di individui a rischio di povertà (32,9% rispetto al 33,7% del 2022) e il segnale positivo della riduzione della quota di individui che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (16,5% rispetto al 17,1%), mentre aumenta la grave deprivazione (+5,5%).
A livello regionale si osserva una riduzione del rischio di povertà o esclusione sociale in particolare in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, e Campania. Inoltre, il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce in Lombardia con una riduzione marcata degli individui in famiglie a bassa intensità di lavoro ma con un aumento della grave deprivazione. In Calabria, invece, peggiorano i tre indicatori e aumenta soprattutto la grave deprivazione.
INDICATORE | INDAGINE 2022 | INDAGINE 2023 | ||||||||
Nord-ovest | Nord-est | Centro | Sud e Isole | Italia | Nord-ovest | Nord-est | Centro | Sud e Isole | Italia | |
Reddito netto medio familiare senza affitti figurativi | 37.647 | 38.340 | 34.555 | 27.114 | 33.798 | 39.240 | 41.224 | 37.259 | 29.137 | 35.995 |
Rischio di povertà o esclusione sociale – Europa 2030 | 16,1 | 12,6 | 19,6 | 40,6 | 24,4 | 13,5 | 11,0 | 19,6 | 39,0 | 22,8 |
Rischio di povertà | 13,2 | 10,4 | 15,9 | 33,7 | 20,1 | 11,1 | 8,7 | 16,0 | 32,9 | 18,9 |
Percettori di assegni per carichi familiari | 9,5 | 13,0 | 11,4 | 13,7 | 12,0 | 14,1 | 15,4 | 15,1 | 17,6 | 15,7 |
Famiglie percettrici del Reddito di Cittadinanza | 3,9 | 1,5 | 4,3 | 11,2 | 3,9 | 3,8 | 1,6 | 4,2 | 12,8 | 6,3 |
Nel 2023 l’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale si riduce per tutte le tipologie familiari e in particolare per gli individui che vivono in famiglie con quattro componenti (21,8% rispetto al 24,8% del 2022) e per le coppie con due figli (20,6% rispetto a 23,4% del 2022) e con un figlio (19% rispetto a 21,3%) che hanno beneficiato del nuovo Assegno unico universale per i figli. Tuttavia per le famiglie numerose aumentano gli individui in condizione di bassa intensità di lavoro, in particolare aumentano se vi sono cinque e più componenti (6,6% rispetto a 5,1% dell’anno precedente) e in caso di coppie con tre o più figli (6% rispetto al 3,5% dell’anno precedente), presumibilmente per una maggiore difficoltà nella conciliazione delle attività di lavoro e cura.
Inoltre, il rischio di povertà o esclusione sociale rimane alto per coloro che possono contare principalmente sul reddito da pensioni e/o trasferimenti pubblici (31,6%) sebbene in riduzione rispetto al 2022 (34,2%), mentre diminuisce per coloro che vivono in famiglie in cui la fonte principale di reddito è il lavoro dipendente (15,8% rispetto al 17,2%del 2022). Il rischio di povertà o esclusione sociale peggiora per coloro che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo (22,3% rispetto al 19,9% nel 2022), per effetto dell’ampliamento della distanza tra i livelli di reddito di questo tipo di percettori, con una crescita dei redditi nella coda alta della distribuzione.
Infine, il rischio di povertà o esclusione sociale si riduce per gli individui in famiglie con solo italiani e aumenta leggermente per i componenti delle famiglie con almeno un cittadino straniero (40,1% rispetto al 39,6% del 2022).
Nel 2022, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 35.995 euro, pari a circa 3.000 euro al mese. La crescita dei redditi familiari in termini nominali (+6,5%), con il proseguimento della ripresa economica e occupazionale successiva alla crisi pandemica, non è stata sufficiente però a compensare il deciso aumento dell’inflazione nel corso del 2022 (+8,7% la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA) e i redditi delle famiglie sono così diminuiti in termini reali (-2,1%).
Il reddito equivalente, che tiene conto delle economie di scala e rende confrontabili i livelli di reddito di famiglie di diversa numerosità e composizione, è anch’esso diminuito in termini reali (-2%). In questo caso il reddito include alcune poste non considerate nella definizione armonizzata a livello europeo, quali buoni pasto, fringe benefits non monetari (a eccezione dell’auto aziendale, inclusa anche nella definizione europea) e autoconsumi (beni prodotti e consumati dalla famiglia).
Rispetto all’anno precedente, nel 2022 i redditi familiari medi in termini reali sono diminuiti in modo particolarmente intenso nel Nord-ovest (-4,2%) mentre minore è stata la riduzione osservata nel Nord-est (-1,1%), nel Centro (-0,9%) e nel Mezzogiorno (-1,2%).
L’andamento del reddito familiare in termini reali nel corso del 2022 mostra gli effetti della forte accelerazione inflazionistica, non compensata dalla pur significativa crescita in termini nominali dei redditi associata alla ripresa dell’attività economica e alle misure di sostegno alle famiglie introdotte nel corso dell’anno. Solo i redditi familiari da lavoro autonomo sono riusciti a crescere anche in termini reali (+0,7%), mentre i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti del 2% così come i redditi da trasferimenti, nonostante l’introduzione di misure di sostegno ai carichi familiari e al rincaro dei costi energetici le cui caratteristiche ed effetti sono analizzati nei paragrafi successivi.
La perdita complessiva rispetto ai livelli del 2007 resta decisamente più ampia per i redditi familiari da lavoro autonomo (-20,3% in termini reali) rispetto ai redditi da lavoro dipendente (-10,9%), mentre i redditi da capitale mostrano una perdita complessiva del 22%, in gran parte attribuibile alla dinamica negativa degli affitti figurativi (-25,6% in termini reali dal 2007). Solo i redditi da pensioni e trasferimenti pubblici sono cresciuti in termini reali nel periodo considerato, e risultano più alti del 5,3% rispetto al livello del 2007.
Anche per il 2022 il reddito di cittadinanza (RdC) continua a rappresentare la misura strutturale più rilevante di contrasto alla povertà. Se nel 2019 le famiglie beneficiarie del RdC erano 970mila, pari al 3,8% del totale delle famiglie italiane, nei due anni successivi di pandemia 2020 e 2021 le stesse sono cresciute rispettivamente al 5,3% e 5,9%, per poi consolidarsi al 6,3% nel 2022, con 1,65 milioni di unità in termini assoluti e benefici medi annui pari a 5.232 euro. L’incidenza delle famiglie assistite dal RdC sale al 18,2% tra coloro che ricadono nel quinto più povero e al 7,2% tra quelle del secondo quinto. Il trasferimento ricopre mediamente il 27,6% del reddito complessivo delle famiglie beneficiarie, arrivando sino al 39,2% tra quelle del quinto più povero. Il peso relativo della misura è, tuttavia, in lieve calo rispetto all’anno precedente: -2,7% e -3% rispettivamente sulla quota coperta di reddito familiare totale e del primo quinto. A livello di spesa complessiva, nel 2022 si registrano 8,7 miliardi di euro in trasferimenti erogati sotto questa voce, valore di poco superiore all’anno precedente (+2,7%).
Permane il differenziale tra Mezzogiorno e resto d’Italia, in termini di rapporto tra famiglie beneficiarie del RdC e il totale dei nuclei residenti: nella prima ripartizione tale incidenza si attesta al 12,8%, valore di gran lunga superiore a quelli registrati nel Nord-est (1,6%), nel Nord-ovest (3,8%) e nel Centro (4,2%). Le famiglie con cinque o più componenti accedono al RdC in misura maggiore rispetto alle famiglie meno numerose: oltre l’11% delle prime, rispetto a un’incidenza compresa tra il 5,7% e il 6,3% per le famiglie di dimensione inferiore. Circa il 10% delle famiglie con almeno un componente straniero possiede il RdC, in misura quasi doppia rispetto alle famiglie di soli cittadini italiani.
In questo quadro in mutamento si colloca la nuova politica per le famiglie e la conciliazione vita-lavoro, che ha visto l’introduzione dell’Assegno unico universale (AUU) a partire dal 1° marzo 2022. Tale strumento sostituisce una quota preponderante dell’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF) della vecchia disciplina (riferiti alle medesime tipologie familiari con figli), le detrazioni per figli a carico e altri interventi di minore entità. Rispetto alle misure precedenti, l’assegno unico si contraddistingue per l’universalità, in quanto viene garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli a carico (al di sotto dei 21 anni), indipendentemente dalla loro tipologia di reddito e a prescindere dalla disponibilità economica.
Nell’anno 2022, sono circa 7,8 milioni i titolari di assegni per carichi familiari (AUU/ANF) che, in media, ricevono importi annui pari a circa 1.930 euro, per un ammontare di 15,1 miliardi di euro. A livello aggregato, i trasferimenti in denaro a sostegno dei componenti a carico coprono 7,3 milioni di nuclei familiari, con benefici medi stimati in 2.055 euro annui. Rispetto al 2021, precedente la riforma, si stima un saldo netto di circa +2 milioni di titolari di assegni, corrispondenti a +1,7 milioni di famiglie beneficiarie (+31%), al netto dei 600mila nuclei che vedono azzerarsi l’assegno fruito l’anno prima (sia per la modifica dei criteri di eleggibilità ISEE sia per variazioni anagrafiche nella composizione familiare e nei limiti d’età dei figli).
Grazie all’introduzione dell’Assegno unico universale, si registra una forte crescita della spesa sociale per il sostegno dei carichi familiari, con afflusso di 8,8 miliardi di euro in più rispetto al 2021 (+139%). L’effetto della riforma, si traduce in un incremento medio di 1.200 euro annui nel reddito delle famiglie destinatarie dell’intervento, e di 863 euro in media nel sottoinsieme dei titolari degli assegni familiari vigenti nel 2021 che continuano a ricevere un sussidio nel 2022. La nuova misura universale di sostegno alle famiglie prevede tuttavia una contrazione rispetto al 2021 nelle detrazioni per carichi familiari sugli stessi soggetti/famiglie beneficiari (nella quota parte che trova capienza), per un valore complessivo stimato in 3,9 miliardi di euro, con effetti negativi sul reddito medio di ciascun titolare coinvolto dalla riforma e delle rispettive famiglie (-497 e -530 euro in media l’anno sui titolari e relative famiglie). In sintesi, l’insieme delle politiche di sostegno per i familiari a carico (assistenziali e fiscali) producono un incremento netto pari a circa 4,9 miliardi di euro sul reddito disponibile delle famiglie interessate, con un beneficio medio annuo di 670 euro in più a famiglia.