Eriksen, Giuseppe Di Gioia: “Salvavita portatile, meglio stop carriera”.

“Il defibrillatore sottocute ha il compito di monitorare costantemente il cuore e di accorgersi di una eventuale aritmia cardiaca. Nel caso di una aritmia cardiaca maligna, come quella accaduta ad Eriksen, eroga uno shock, cioè una scarica elettrica paragonabile a quella data dal defibrillatore al giocatore nel momento in cui ha avuto un arresto cardiaco in campo. Possiamo paragonare questo dispositivo ad un ‘salvavita portatile’ “.

A spiegarlo è il dottor Giuseppe Di Gioia, cardiologo presso l’Istituto di Medicina CONI Sport Lab, interpellato dall’agenzia Dire in merito alla vicenda di Christian Eriksen, il centrocampista dell’Inter e della Nazionale danese, ricoverato al Rigshospitalet di Copenaghen dopo l’arresto cardiaco di sabato scorso durante il match di Euro 2020 contro la Finlandia, al quale sarà impiantato un ICD (defibrillatore cardiaco impiantabile). La decisione è stata presa dal team di medici e specialisti che ha in cura il giocatore dopo “diversi esami cardiaci”.

Nel comunicato diramato oggi dalla Federcalcio danese non si precisa cosa abbia causato l’aritmia cardiaca ad Eriksen, anche se tutto lascia intendere che si tratti di miocardite. “Il defibrillatore sottocute – spiega Di Gioia- è un dispositivo che si impianta in genere al di sotto della clavicola, destra o sinistra. Durante l’intervento, abbastanza banale, si va a creare una piccola tasca sotto la clavicola e viene inserito questo dispositivo che ha dimensioni piuttosto ridotte, con uno spessore di 2/3 centimetri e una larghezza di circa 5 centimetri. Da lì parte un cavetto che, tramite una vena, viene ancorato all’interno di una camera del cuore”.

“Una volta impiantato, in genere, il defibrillatore non è più rimovibile- spiega all’agenzia Dire il cardiologo del CONI- o meglio non è più rimovibile il cavetto che si ancora all’interno del cuore. Il dispositivo in realtà può essere rimosso, ma solo in casi particolari, come per esempio quando c’è un trombo che si forma sul cavetto oppure un’infezione del catetere. Altrimenti il defibrillatore viene lasciato a vita, mentre la ‘scatolina’ che si pone sotto la clavicola, trattandosi di un dispositivo elettronico, ha una durata di circa 7/8 anni, legata al numero di scariche che il defibrillatore dà nel corso del suo funzionamento. Successivamente si fa un intervento, più banale del primo, in cui si sostituisce solamente la ‘scatolina’”. Intanto il responsabile medico della Danimarca, Morten Boesen, durante la conferenza stampa organizzata dalla Federazione il giorno dopo dell’arresto cardiaco in campo di Eriksen, aveva dichiarato che il giocatore “era praticamente morto”.

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Secondo Di Gioia, la tempestività della defibrillazione sul campo ha salvato la vita al centrocampista danese, poiché “l’aritmia viene riconosciuta istantaneamente dal defibrillatore – dice- e la scossa, erogata nell’arco di pochi millisecondi, è un intervento davvero salvavita”.

Ma cosa è successo esattamente ad Eriksen? “Per semplificare quando avvengono arresti cardiaci si parla di infarto, ma quello che noi andiamo a vedere è l’effetto, cioè un arresto cardiaco, con il cuore che smette di contrarsi a causa di un’aritmia. Questa aritmia, però, può essere provocata da diverse patologie- spiega il medico del CONI – quindi in realtà è improprio usare il termine ‘infarto’. L’Infarto è infatti dovuto ad un problema idraulico, cioè quando non arriva più il sangue al cuore. Ma questa patologia riguarda un’altra fascia d’età e per i controlli che vengono effettuati sui giocatori è difficilmente non evidenziabile”. 

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Altre cause più probabili, invece, sono legate a patologie congenite strutturali del cuore: “Si chiamano cardiomiopatie e sono molto difficili da diagnosticare, perché non è detto che si evidenzino in maniera eclatante quando si visita un giocatore. Per questo motivo – spiega ancora Di Gioia – anche in passato ci sono stati altri casi in cui le cardiomiopatie non sono state riconosciute, in parte perché sono subdole e in parte perché l’adattamento del cuore all’attività sportiva, il cosiddetto ‘cuore da atleta’, può mimare una patologia e quindi diventa ulteriormente difficile il suo riconoscimento”.

Per Eriksen, in ogni caso, il cardiologo del CONI si sente di escludere anche questa causa, perché “è stato sottoposto a più controlli nel corso del tempo e non c’è stato il minimo segno di una cardiomiopatia”. L’ipotesi più probabile per il giocatore danese, allora, è che si tratti di una causa acquisita nel tempo, ovvero “di una miocardite, cioè di un’infiammazione del cuore. Se Eriksen, per fare un esempio, ha fatto un controllo otto mesi fa ed era tutto perfetto, è probabile che nel frattempo sia insorta un’infiammazione nel cuore passata del tutto asintomatica. È possibile che il giocatore non avesse nessun disturbo e che questa patologia si sia evidenziata per la prima volta come arresto cardiaco”. Non era prevedibile dunque? “Non abbiamo dati alla mano – risponde Di Gioia alla Dire – ma se parliamo di una miocardite sono molto difficili da diagnosticare perché subdole, soprattutto in assenza di sintomi”. Ma può incidere l’attività agonistica sullo sviluppo di questa patologia?

“In parte, perché lo sforzo fisico va a sollecitare il cuore e c’è tutto un assetto ormonale e adrenergico che può favorire l’insorgenza delle aritmie”. È possibile allora che “tante persone” abbiano una miocardite del tutto asintomatica, ma “non sforzando il cuore, lo stesso ha il tempo di rigenerarsi e di riparare questo danno. Invece fare attività sportiva su una miocardite- sottolinea l’esperto- oltre a rallentare nettamente il processo di guarigione, può evocare l’insorgenza di aritmie”. La prima causa di miocarditi, intanto, sono le infezioni virali, così una “banale” tonsillite, faringite o infezione delle alte vie aeree possono complicarsi con una miocardite, anche se “per fortuna molto raramente”, sottolinea il dottor Di Gioia. 

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Tornando infine ad Eriksen, secondo il cardiologo del CONI il team degli specialisti che per primi hanno prestato soccorso al giocatore sul campo hanno effettuato una rianimazione cardiopolmonare “ad opera d’arte, tempestiva, efficace e fortunatamente a lieto fine, svolgendo il loro lavoro in maniera eccellente”. La vicenda del giocatore danese è stata “eclatante”, dice però ancora Di Gioia, che poi ricorda altri casi “come quello di Morosini, morto in un campo di calcio in serie B, che non fu in diretta mondiale, oppure quello di Astori, la cui tragica notizia della morte si è avuta solo la mattina successiva”.

Quanto ad Eriksen, secondo le regole del campionato calcistico italiano, non avrebbe più la possibilità di ricominciare a giocare. “Per prudenza, onestamente, non credo che in generale possa continuare a giocare da nessuna altra parte- commenta il cardiologo- avendo avuto un arresto cardiaco a quei livelli e un defibrillatore sottocutaneo, lo sconsiglierei totalmente. In Italia ci sono delle regole che lo vietano, ma all’estero spero e credo che prevarrà il buonsenso”, conclude Di Gioia.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay