Emma Bonino: l’Italia, i giovani e la politica.
Emma Bonino, storica attivista e leader di partito. Protagonista di battaglie politiche che più hanno cambiato l’Italia, come quella sul divorzio e sull’aborto. Nata a Bra, nel Cuneese, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, inizia molto presto a fare attivismo in particolare a favore del diritto all’aborto. Nel 1976 viene eletta alla Camera con il Partito Radicale, la cui guida era stata da poco presa da Marco Pannella e con il quale maturò uno dei più duraturi sodalizi della storia politica italiana. Eletta successivamente, nel 1979, al Parlamento europeo ha ricoperto, negli ultimi 40 anni, importanti cariche politiche nel nostro Paese , portando all’attenzione del Paese numerose e importanti questioni sui diritti civili.
La sua storia politica è a dir poco affascinante. A soli 28 anni viene eletta alla Camera dei Deputati e a 31 nel Parlamento Europeo. Ha visto cambiare l’Europa e ha partecipato alla costruzione dell’Unione Europea nella quale vivono i giovani di oggi. Secondo lei i problemi degli under35 europei sono gli stessi di quando lei ha intrapreso la sua vita politica?
Ovviamente i problemi sono cambiati, perché è cambiato il mondo. Quando sono entrata in politica e sono stata eletta alla Camera c’era, anzitutto, per una donna, una diffidenza di fondo, che sottolineava una disparità contro il genere femminile. C’era, poi, un modo diverso di approcciarsi ai cittadini e il modo di comunicare era molto più lento e forse anche più ragionato. I ragazzi di allora chiedevano più libertà, più diritti civili, una maggiore attenzione alle pari opportunità. E scendevano in piazza per farlo, si mobilitavano e percepivano un senso di urgenza nel condurre le loro battaglie, che oggi raramente si vede nei ragazzi. Ed è ovvio che sia così. Voi siete nati in un continente già ricco, non in un periodo di ricostruzione dopo la guerra. Avete già alle vostre spalle una serie di diritti, libertà, possibilità, che allora erano del tutto precluse. Certo, oggi, come allora, permane il problema del lavoro, ma la vostra generazione è più istruita ed ha certamente più opportunità. Per me il massimo dell'”esotismo” era andare a studiare a Milano. Voi potete scegliere di farlo in tutta Italia, se non all’estero, e di certo viaggiare e aprirvi al mondo vi da differenti prospettive. Come, però, sostengo sempre, la conquista dei diritti civili è come andare in bicicletta. Se smetti di pedalare cadi. Proprio per questo dico ai ragazzi di oggi che devono continuare a lottare per vedere i loro diritti riconosciuti e tutelati e promuoverne di altri.
Perché il tema delle politiche giovanili ha ricoperto una posizione secondaria, se non marginale, nell’agenda politica degli ultimi Governi del nostro Paese?
Ci si è sempre occupati di imminenze e crisi nel nostro Paese. Sono state messe via via da parte priorità fondamentali, dall’istruzione al lavoro, credo anche perché l’Italia ha man mano visto un invecchiamento della popolazione. Con ciò non difendo assolutamente i governi che si sono disinteressati o hanno fatto poco per i giovani, ma, anzi, sostengo fortemente che proprio le future generazioni sono il fulcro del nostro Paese ed è proprio a loro che bisogna guardare quando si pensano politiche di spendi e spandi a puro debito, che si scaricherà sulle spalle di voi tutti.
Essendo le politiche giovanili una tipologia di affari pubblici intersettoriale, che abbraccia vari campi come l’istruzione, la formazione, il lavoro, la partecipazione attiva, secondo lei esistono problematiche di competenza nella definizione dei provvedimenti sulle politiche giovanili?
Certo c’è una pertinenza di competenze differenti. Ma un governo che funzioni può certamente mettere in pratica politiche giovanili che abbiano ricadute su vari ministeri. E non si tratta di una migliore o maggiore legislazione. Di leggi ne abbiamo fin troppe. Occorrerebbe attuare quelle che ci sono e semplificare. E occorre ricominciare a crescere. Solo investendo possono crearsi le condizioni per determinare nel breve/medio periodo una crescita che possa avvantaggiare i giovani. Sono stata molto critica sui provvedimenti dello scorso governo – Quota 100 e Reddito di cittadinanza – quanto sulle promesse onnicomprensive di questo governo, perché con lo stato dei conti pubblici e il livello di indebitamento, occorre scegliere delle priorità e perseguirle, ma facendo investimenti, non producendo altro debito per fare dell’assistenzialismo. Vedete è semplice: abbiamo un bilancio dello Stato che ha 855 miliardi di entrate e 900 miliardi di spese. Quindi ogni anno c’è un buco di 45 miliardi, che da anni si accumula, si accumula e si accumula, dando luogo ad un indebitamento enorme. E su ciò, ovviamente, paghiamo molti interessi, che per l’anno in corso ammontano a circa 67 miliardi. Una somma che corrisponde all’intero bilancio del ministero della Pubblica Istruzione, dagli asili nido all’università. Se non riduciamo il debito, non riusciremo mai veramente a garantire delle opportunità alle giovani generazioni, e credo sia proprio dal sistema educativo che serva partire per garantire a tutti parità di accesso al mondo del lavoro.
Alla luce delle esigenze degli under35 italiani quale intervento si sentirebbe di promuovere nel breve periodo?
Penso che ci sia un totale scollamento tra il mondo della formazione (educativa e professionale) e quello del lavoro, già da tempo. Nessuno, poi, si sta occupando di quanto, nel breve periodo, l’innovazione nella tecnologia e nella robotica cambieranno i lavori che tutti conosciamo. Sarà difficile ricollocare chi ha già un lavoro, che risulterà essere desueto, e i ragazzi si affacceranno alla dimensione lavorativa venendo totalmente travolti da questo scollamento. Occorre intervenire in questo ambito e farlo subito, altrimenti non sarà possibile eliminare il gap tra offerta e domanda di lavoro, già particolarmente ampio.
L’emigrazione segna un valore positivo rispetto al numero degli impatriati. Il nostro Paese è sempre meno appetibile per gli under35, nonostante la sua qualità di vita (sicurezza, ambiente, welfare, solo per citarne alcune). Secondo lei come si può spiegare questo paradosso a un ragazzo/a in procinto di lasciare l’Italia?
È giusto che nel mondo in cui viviamo i ragazzi si muovano, viaggino, studino e lavorino in altri Paesi. Serve a crescere, responsabilizzarsi, aprire i propri orizzonti e tagliare il cordone ombelicale con le famiglie, che spesso impostano un rapporto familistico trasformandosi in “service provider” per i figli. Ma occorre che in Italia si sviluppino le condizioni per cui i giovani che hanno maturato varie esperienze all’estero, possano tornare nel loro Paese e spendere quelle competenze acquisite per la crescita dell’Italia. Negli ultimi anni il trend è quello di assorbire lavoro poco qualificato. Ma nel medio e lungo periodo, con effetti già noti sulla carenza di professionisti in determinati settori, questa impostazione è solo volta a impoverire ulteriormente l’Italia, che, rispetto ad altri Paesi, è afflitta dall’evasione fiscale – che non permette di avere servizi minimamente in linea con l’imposizione fiscale e da un enorme debito pubblico – che riduce moltissimo il margine di manovra per poter far crescere l’economia. Ciò che manca per favorire il rientro dei giovani italiani è scommettere su di loro, favorire le idee innovative e le start up, valorizzarli, con condizioni economiche, fiscali e lavorative veramente attrattive. Solo sviluppando misure premianti per i giovani il nostro Paese può tornare a crescere e attrarre il rientro di chi è andato a fare un’esperienza da un’altra parte.
Secondo lei, alla luce dell’attuale formazione di Governo “Giallorossa”, qual è il sentiment degli under35 italiani? Ci si lamenta spesso della poca affluenza degli italiani, specialmente degli under35, durante gli impegni elettorali. Non trova che le dinamiche che hanno portato alla costituzione del nuovo Governo abbiano portato ulteriore disaffezione verso l’elettorato attivo giovanile?
Io, come anche deciso dalla direzione di +Europa, ho votato contro la fiducia a questo Governo. Non per pormi nell’ottica di “scommettere” contro l’Italia. È ovvio che prima di indire nuove elezioni il Presidente della Repubblica, come da mandato costituzionale, doveva verificare la possibilità di nuove maggioranze, ma, per quanto mi riguarda non credo che questo possa essere il governo della discontinuità, nella misura in cui il Presidente del Consiglio Conte può essere il successore, ma non l’alternativa di se stesso. E di certo promettere quasi tutto a quasi tutti, senza che ci siano coperture di sorta è un atto di irresponsabilità, che potrebbe generare quella frustrazione che servirebbe solo a rafforzare Salvini. Certo questo potrebbe determinare ulteriore disaffezione per l’elettorato degli under 35, ma, come ribadisco da tempo, il voto non è certo un dovere, ma occorre che ciascuno assuma la responsabilità delle proprie scelte. Stare a guardare dalla finestra, in nome della disaffezione, non garantirà ai giovani di promuovere le loro istanze. Perché il vuoto non esiste. Se non lo occupi con il tuo voto, verrà occupato da altri.
Vivere in un perenne stato di campagna elettorale non crede possa minare il senso di attaccamento dei giovani alla politica e/o incentivare una politica da “curva” nelle nuove generazioni?
Infatti è inammissibile che si continui a fare politica in logica elettoralistica, con slogan che non portano a soluzioni concrete. Una volta al governo serve assumersi la responsabilità di guidare il Paese, e non continuare con promesse irrealizzabili. Questo vale non solo per i giovani, ma per tutti i cittadini. Altrimenti rimarremo sempre nel libro dei sogni e non verranno mai attuate le misure e le iniziative volte a rimettere in moto l’Italia. Questo valeva per lo scorso governo e per quello attuale. Individuare delle chiare priorità, anche se impopolari, per il bene dell’Italia è l’unica via che possa essere perseguita con serietà.
L’opinione pubblica nel nostro Paese sembra essere sempre più condannata a ricevere informazioni provenienti da un giornalismo che insegue il gossip e il sensazionalismo a scapito dei fatti. Capita spesso di sentire nuove proposte politiche/programmi da parte della maggioranza di Governo, che risultano essere poco realistiche per via della mancanza delle relative coperture. Secondo lei, da rappresentante delle istituzioni e da cittadina, quando è iniziato questo “imbarbarimento” nella comunicazione giornalistica e come si possono limitare gli effetti di una comunicazione che da visibilità e credibilità a tali proposte?
Risulterò poco popolare tra i giovani, ma credo che l’uso indiscriminato dei social da parte della classe politica, con continui annunci sensazionalistici o relativi alla propria vita privata – dal tizio si è lasciato con la fidanzata alle foto sul cibo che un Ministro mangi alla sagra di paese piuttosto che a casa propria – e la conseguente rincorsa da parte della classe giornalistica ad ogni sparata pubblicata o annunciata, non abbiano reso e non rendano un buon servizio nella informazione dei cittadini. Occorrerebbe che la comunicazione, giornalistica in primis, torni a guardare ai fatti, ai dati e a rendere le notizie per quello che sono, di modo che i cittadini stessi possano formare un proprio senso critico e decidere autonomamente a cosa dare credibilità o meno.
Perché, secondo lei, le soluzioni semplici sono quelle più apprezzate dai “leader forti” e per quale motivo queste hanno sempre un grande appeal per l’elettorato italiano?
È presto detto: annunciare soluzioni semplici e più efficace e porta consenso nell’immediato. Ma tutte le questioni da affrontare – dall’immigrazione al lavoro e agli investimenti, passando per una sburocratizzazione dell’amministrazione pubblica o per la promozione dei diritti civili, solo per citare alcune riforme urgenti di cui l’Italia avrebbe bisogno – sono complesse e serve molta serietà e senso di responsabilità per dire la verità ai cittadini, specie perché, nella maggior parte dei casi, si rischia di essere impopolari.
Lei è una leader politica di primo piano con una lunga storia politica. E’ spesso ospite in numerose trasmissioni televisive ed è spesso citata sui principali quotidiani del nostro Paese. Trova ancora il tempo di comunicare con i cittadini italiani senza l’intermediazione dei mezzi di comunicazione? In particolare, oltre che sulle sue seguitissime pagine social, attraverso quali canali comunica con i giovani under30, sulle principali questioni di attualità?
Ho sempre messo il corpo e la fisicità al centro dell’iniziativa politica. Credo che solo il confronto reale con le persone, possa determinare la presa di coscienza dei problemi e accendere il senso civico di ciascuno. Certo, a causa del fatto che “sono diversamente giovane”, con una serie di impegni in Senato, ho partecipato meno a manifestazioni di piazza e spesso uso tv, giornali o le pagine social per comunicare coi cittadini. Ma sono assolutamente convinta, oggi più che mai, che serva che la classe politica riprenda contatto diretto con i cittadini, mettendoci la faccia e spendendosi al massimo delle proprie possibilità.
I giovani di oggi, comunicando attraverso i social network, esprimono spesso il lato più negativo della gioventù. Mi riferisco ai discorsi di incitamento all’odio, al cyberbullismo, al narcisismo, alla diffusione di contenuti intimi privati, ecc. Secondo lei cosa sta accadendo nelle relazioni comunicative e affettive dei giovani italiani?
Voglio essere chiara. Quella dei social è una sorta di realtà parallela, ma non è il mondo reale, la vita reale. Tutti da dietro una tastiera possono sentirsi dei “leoni” e, nascosti da un monitor, pensare di poter scrivere o dare diffusione ai peggiori sentimenti, o forse risentimenti. Vale quello che le rispondevo nella precedente domanda. Occorrerebbe recuperare la dimensione fisica, dell’esserci in prima persona, per comprendere il valore insostituibile del proprio corpo e dello scambio faccia a faccia per comprendere gli altri, le istanze di ciascuno e ampliare i propri orizzonti, rompendo la logica secondo cui ciò che ciascuno pensa sia la verità assoluta e allora si possono mettere in berlina gli altri che la pensano differentemente o che si può agire contro qualcuno diffondendo materiale sensibile. Non bastano un like, un tweet o un post per determinare il confronto con gli altri. Per contribuire alla dialettica e “recuperare” il senso del limite da non travalicare, serve confrontarsi e capire le ragioni degli altri.
Cosa si sente di dire o consigliare ai giovani del nostro Paese?
Come sostengo da sempre, ai giovani di oggi dico di studiare, aprirsi al mondo ed essere curiosi. Se studi sei più forte per resistere alle bufale che vengono veicolate ogni giorno. La conoscenza è un’arma di difesa, un’arma democratica.
Foto gentilmente concesse dalla Senatrice Emma Bonino