Dottorato: condizione ancora sottodimensionata nel sistema italiano.

La fotografia scattata da Almalaurea sulla condizione dei/delle dottori/esse di ricerca italiani/e conferma livelli occupazionali dei dottori di ricerca decisamente più elevati di quelli registrati tra i laureati di secondo livello e retribuzioni più alte e ben 7 dottori di ricerca su 10 sono occupati nel settore pubblico.

Il Rapporto 2022 sul Profilo dei Dottori di ricerca di 33 Atenei, spiegano i promotori, si basa su una rilevazione che coinvolge circa 4.300 dottori di ricerca del 2021 e restituisce un’approfondita fotografia delle loro principali caratteristiche, mentre l’indagine sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca di 45 Atenei si basa, invece, su circa 5.250 dottori di ricerca del 2020 e analizza i risultati occupazionali raggiunti nel 2021, a un anno dal conseguimento del titolo.

L’Italia ha un numero di dottori di ricerca che è pari allo 0,5% della popolazione in età lavorativa, ossia di età 25-64 anni. Il confronto internazionale ci colloca agli ultimi posti: alle nostre spalle, infatti, troviamo solo Turchia, Lettonia e Messico. Negli ultimi anni, tra l’altro, il numero di dottori di ricerca in Italia è andato via via diminuendo: in termini assoluti, dagli oltre 10.000 del 2017 ai quasi 8.000 del 2021. Come evidenziato nel Rapporto ADI del 2019, tale riduzione è dovuta principalmente al calo del numero di posti banditi senza borsa di studio, anche se nei prossimi anni il PNRR punta ad incrementare gli investimenti su questo fronte.

I dottori di ricerca del 2021 sono stati suddivisi in cinque aree disciplinari: il 27,6% dei dottori di ricerca fa parte dell’area di Scienze della vita, il 22,9% dell’area di Ingegneria, il 19,1% dell’area delle Scienze di base, il 16,8% dell’area delle Scienze umane e, infine, il 13,6% dell’area delle Scienze economiche, giuridiche e sociali.

Dottori innovativi. Le linee guida del PNRR confermano la crescente attenzione verso i dottorati innovativi che puntano a una migliore integrazione della ricerca con i bisogni del sistema produttivo nazionale, con i contesti internazionali e con una maggiore contaminazione delle discipline. Anche l’incremento, osservato nelle indagini AlmaLaurea, dei dottori che conseguono un titolo congiunto (joint degree) o un titolo doppio/multiplo (double/multiple degree) e dei dottori industriali è un altro indicatore che conferma questa crescente attenzione. Il 13,5% dei dottori di ricerca del 2021 dichiara di aver ottenuto un titolo congiunto (joint degree) o un titolo doppio/multiplo (double/multiple degree) con forti differenze per area disciplinare: dal 20,4% di scienze umane all’11,6% di ingegneria e scienze economiche, giuridiche e sociali. Tra i dottori di ricerca del 2020 questi titoli riguardavano il 9,5% dei casi.

Inoltre, il 7,9% dei dottori del 2021 ha affermato di aver svolto un dottorato in collaborazione con le imprese (dottorato industriale/dottorato in alto apprendistato). Questa forma di dottorato è più diffusa nell’area di ingegneria (13,2%) e nelle scienze di base (10,9%), mentre è rara tra i dottori nelle scienze economiche, giuridiche e sociali (3,3%). Anche in questo caso si è registrato un aumento rispetto al 2020, quando riguardava il 5,4% dei dottori di ricerca. I dottorati industriali, come visto, si inseriscono nel contesto più ampio dei dottorati innovativi che vedranno già a partire dal 2022 un finanziamento da parte del PNRR; nei prossimi anni quindi si prevede un ulteriore incremento di questa forma di dottorato.

Genere. Ripartizione equilibrata fra i generi: l’indagine sul Profilo dei dottori di ricerca dice che tra i dottori di ricerca del 2021 le donne rappresentano il 49,1%, un valore in linea con la più recente documentazione MUR relativa all’anno 2021. Tuttavia, il confronto con i laureati di secondo livello coinvolti nell’indagine di AlmaLaurea conferma che più si sale nella scala dell’istruzione e meno sono le donne: tra i laureati, infatti, le donne sono il 59,4%.

Inoltre, distintamente per area disciplinare si nota che la presenza femminile è molto inferiore nelle discipline STEM. Più nel dettaglio, la componente femminile tra i dottori di ricerca è inferiore al 50% nell’area delle Scienze di base (37,6%) e di Ingegneria (33,8%), mentre è maggioritaria nell’area delle Scienze della vita (63,2%), in quella di Scienze umane (58,8%) e nell’area delle Scienze economiche, giuridiche e sociali (50,5%). Tali risultati sono coerenti con quanto osservato tra i laureati dove, storicamente, la maggiore presenza femminile è confermata in tutte le aree disciplinari, eccetto l’area STEM.

Origine socio-culturale. Rispetto a quanto osservato nelle indagini di AlmaLaurea sui laureati di secondo livello, anche per l’ulteriore investimento in formazione post laurea si conferma una forte selezione sulla base del contesto socio-culturale della famiglia di appartenenza. Rispetto ai laureati di secondo livello del 2021, infatti, è nettamente più elevata la quota dei dottori di ricerca che provengono da famiglie con almeno un genitore laureato: è il 44,2%, 9,6 punti percentuali in più di quello osservato per i laureati. Si osserva una situazione analoga analizzando il contesto socio-economico: il 31,1% dei dottori proviene da famiglie di estrazione elevata rispetto al 24,8% dei laureati di secondo livello. I dottori di ricerca in scienze economiche, giuridiche e sociali provengono più frequentemente da contesti culturalmente ed economicamente più avvantaggiati rispetto agli altri.

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La selezione all’ingresso viene evidenziata anche se si prende in considerazione la riuscita, dei dottori di ricerca, nei percorsi formativi precedenti. Il 68,8% dei dottori di ricerca, laureati in Italia, ha infatti conseguito la laurea di secondo livello ottenendo il massimo dei voti (110 e lode). Tale percentuale scende al 41,8% per il complesso dei laureati di secondo livello del 2021. Le donne che conseguono il dottorato hanno avuto performance migliori, nel percorso formativo precedente, in termini di voto di laurea: ha ottenuto 110 e lode il 71,7% delle donne rispetto al 65,8% degli uomini.

Cittadini stranieri. Tra i dottori di ricerca del 2021, la quota di cittadini stranieri, che comprende anche gli studenti che hanno frequentato uno o più livelli di istruzione in Italia, è complessivamente pari al 16,2%, un valore più di tre volte superiore a quello rilevato per i laureati di secondo livello del 2021 (5,3%). Limitando l’analisi ai dottori di ricerca di cittadinanza estera per cui si dispone dell’informazione relativa al titolo di accesso al corso di dottorato, si osserva come il 74,5% di loro abbia ottenuto la laurea all’estero. Dunque il 10,8% dei dottori di ricerca del 2021 è un cittadino straniero che, dopo aver ottenuto un titolo universitario all’estero, si reca in Italia per frequentare il dottorato. Le nazionalità più rappresentate sono l’Iran, l’India e la Cina, che insieme costituiscono più di un quarto dei dottori stranieri con laurea all’estero.

In ottica internazionale (fonte Eurostat), l’Italia nel 2019 aveva una quota di studenti iscritti a corsi di dottorato di cittadinanza estera pari al 15,6%, quota lievemente inferiore alla media europea EU27 (17,8%), ma comunque decisamente più bassa rispetto a quella di molti Paesi europei. Tra quelli con le quote più elevate vi sono Lussemburgo (87,2%), Paesi Bassi (45,9%), Regno Unito (41,1%) e Francia (37,9%), ma anche Paesi del Sud-Europa quali Portogallo (31,4%), Malta (24,3%) e Spagna (18,2%). La Germania, invece, ha una quota inferiore a quella italiana (12,2%).

Università, Foto Antonio Varcasia
Università, Foto Antonio Varcasia

Età al dottorato. L’età media al dottorato di ricerca è pari a 32,6 anni, tuttavia oltre la metà dei dottori del 2021 ottiene il titolo al massimo a 30 anni di età. Nel confronto internazionale (fonte OECD), l’età al conseguimento del dottorato in Italia è tra le più basse dei paesi Ocse. Nel 2019, l’età media dei dottori di ricerca in Italia era di 31,5 anni, valore più elevato solo di quelli registrati in Francia (30,5 anni) e Lussemburgo (30,8). Germania e Regno Unito avevano un’età media al dottorato poco sopra i 32 anni.

Iscrizioni e motivazioni. Il 76,0% dei dottori di ricerca aveva intenzione di iscriversi al dottorato già al momento della laurea. La motivazione più rilevante relativa all’iscrizione al dottorato di ricerca è quella legata al miglioramento della propria formazione culturale e scientifica, dal punto di vista personale (l’83,3% dei dottori la indica come decisamente importante). Seguono le motivazioni legate alla possibilità di svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito accademico (50,8%), al miglioramento delle prospettive lavorative (41,4%), all’ottenimento di un finanziamento (35,6%) e allo svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito non accademico (34,2%). Per quanto riguarda le differenze di genere, si nota come, nella decisione di iscriversi al dottorato, le donne attribuiscano maggior importanza rispetto agli uomini per tutti gli aspetti indagati e in particolare per il miglioramento della propria formazione culturale e scientifica, dal punto di vista personale (+4,1 punti percentuali) e per l’ottenimento di un finanziamento per il dottorato (+4,2 punti).

Periodo di studio o di ricerca all’estero. Nonostante le limitazioni alla mobilità imposte dalla pandemia da Covid-19, che per la maggior parte dei dottori di ricerca del 2021 ha riguardato una buona parte del percorso, la metà dei dottori di ricerca (50,6%) ha comunque trascorso un periodo di studio all’estero, prevalentemente su base volontaria (solo per il 18,8% si è trattato di un’esperienza obbligatoria). Rispetto al complesso dei dottori del 2020, che avevano svolto questa esperienza nel 55,4% dei casi, nel 2021 si è registrata una riduzione di 4,8 punti percentuali.

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Ricerca e pubblicazioni. Il 77,5% dei dottori del 2021 è stato coinvolto in gruppi di ricerca, in particolare nelle aree delle Scienze di base (93,0%), Scienze della vita (88,5%) e Ingegneria (83,1%), mentre nelle Scienze umane e nelle Scienze economiche giuridiche e sociali questa esperienza ha riguardato rispettivamente il 54,6% e il 51,6% dei dottori. Questo dato è in crescita di 3,8 punti percentuali rispetto a quanto si osservava tra i dottori di ricerca del 2020. Va tuttavia evidenziato come l’inserimento in gruppi di ricerca sia incentivato anche dal numero crescente di dottorati innovativi che mirano ad aumentare l’interdisciplinarietà dei corsi stessi. Un altro aspetto che caratterizza l’esperienza di dottorato è la realizzazione di pubblicazioni, che ha riguardato l’86,6% dei dottori del 2021. Anche in questo caso si evidenzia una crescita rispetto alla coorte dei dottori 2020 (+3,0 punti percentuali), mostrando come la pandemia da Covid-19 non solo non abbia ostacolato, ma anzi abbia lasciato più spazio a questi tipi di attività. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è il tempo dedicato alla ricerca, che rappresenta l’elemento centrale per chi ha deciso di intraprendere un dottorato. Il 33,1% dei dottori dichiara di dedicare alla ricerca oltre 40 ore a settimana (ben il 10,0% dedica alla ricerca più di 50 ore alla settimana).

Valutazione del dottorato. Il 65,7% dei dottori di ricerca del 2021 dichiara che, potendo tornare indietro al momento dell’iscrizione, si iscriverebbe nuovamente allo stesso corso di dottorato e allo stesso ateneo. Un elemento importante da mettere in luce riguarda la quota di chi, potendo tornare indietro, seguirebbe un dottorato all’estero: è il 17,2%, percentuale che sale al 19,0% per i dottori dell’area di Ingegneria. La percezione che gli atenei esteri rappresentino un’alternativa rispetto a quelli italiani è ancora più radicata per coloro che hanno sperimentato un’esperienza di studio all’estero nel periodo del dottorato.

Intenzioni post dottorato. Le intenzioni professionali, dopo il dottorato, variano significativamente in base all’area disciplinare. In generale il 39,1% pensa di intraprendere la carriera accademica, in Italia o all’estero, il 15,0% vorrebbe ricoprire una posizione di alta professionalità alle dipendenze, nel settore pubblico o privato, mentre il 14,6% vorrebbe continuare a svolgere attività di ricerca in una struttura non accademica, in Italia o all’estero. Le aree delle Scienze economiche giuridiche e sociali e delle Scienze umane sono quelle più interessate alla carriera accademica (rispettivamente il 49,9% e il 43,9%). I dottori in Scienze della vita, scienze di base e in Ingegneria pensano relativamente meno alla carriera accademica (38,6%, 37,2% e 31,2%, rispettivamente), ma si rivolgono con maggiore interesse alle attività di ricerca in una struttura non accademica in Italia e all’estero (18,4% Scienze di base, 17,8% Ingegneria e 16,6% Scienze della vita). I dottori dell’area Scienze economiche giuridiche e sociali e di Ingegneria contano, in particolare, di far fruttare le proprie competenze alle dipendenze nel settore pubblico o privato ricoprendo posizioni ad alta professionalità alle dipendenze (rispettivamente 18,8% e 18,4%).

Tasso di occupazione. A un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il tasso di occupazione è complessivamente pari al 90,9%; tale valore risulta in aumento di 1,9 punti percentuali rispetto a quanto rilevato nel periodo pre-pandemico, ossia nel 2019 sui dottori di ricerca del 2018. I livelli occupazionali dei dottori di ricerca risultano decisamente più elevati di quelli registrati tra i laureati di secondo livello, evidenziando che la formazione post-laurea rappresenta un valore aggiunto e una tutela contro la disoccupazione: l’indagine AlmaLaurea rileva infatti che nel 2021 i laureati di secondo livello presentano un tasso di occupazione pari al 74,6% a un anno dal titolo di studio (-16,3 punti percentuali rispetto a quanto osservato tra i dottori di ricerca) e all’88,5% a cinque anni (valore prossimo a quello rilevato per i dottori di ricerca a un anno dal titolo).

I dati AlmaLaurea, inoltre, mostrano esiti occupazionali a un anno dal conseguimento del titolo molto buoni per i dottori di ricerca di quasi tutte le aree disciplinari, in particolare per i dottori in scienze della vita, ingegneria e scienze di base (tasso di occupazione superiore al 90%).

Nel complesso, anche tra i dottori di ricerca si confermano le differenze di genere evidenziate da AlmaLaurea nell’indagine sui laureati, seppure risultino più contenute: a un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca il tasso di occupazione è pari al 91,7% per gli uomini e al 90,2% per le donne (+1,5 punti percentuali a favore degli uomini; tra i laureati di secondo livello: +6,5 punti a un anno e + 4,2 punti a cinque anni, punti sempre a favore degli uomini).

Università Cattolica
Università Cattolica

Professione svolta. L’82,8% degli occupati svolge una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione: in particolare, il 43,8% è un ricercatore o tecnico laureato nell’università, mentre il restante 39,0% svolge un’altra professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione. Risultano decisamente contenute le quote di occupati che svolgono altre professioni.

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Naturalmente esiste una forte connessione tra professione svolta e area disciplinare in cui il titolo di dottore è stato conseguito.

L’analisi di genere mostra una maggiore diffusione di professioni a elevata specializzazione tra gli uomini (84,2%) rispetto alle donne (81,4%), e in particolare di ricercatori e tecnici laureati, ossia di coloro che, verosimilmente, sono orientati alla carriera accademica (47,5% tra gli uomini e 40,2% tra le donne). Tali tendenze sono confermate in tutte le aree disciplinari, pur se con diversa intensità. Seppure i dati di AlmaLaurea siano circoscritti alla situazione occupazionale a un anno dal conseguimento del titolo, emerge con forza la sottorappresentazione delle donne in ambito accademico.

Il dottorato di ricerca è tradizionalmente pensato come bacino di reclutamento per i futuri ricercatori e docenti universitari. Tuttavia, anche a causa della riduzione delle opportunità di collocamento nelle università e nei centri di ricerca pubblici, sempre più frequentemente i dottori di ricerca si rivolgono verso occupazioni al di fuori del mondo accademico. I dati Istat più recenti (2018) mostrano che solo il 28% dei dottori di ricerca rimane all’interno dell’università, in calo rispetto al 36% registrato otto anni prima (in Paesi come Canada, Francia, Germania, Regno Unito e Svezia la quota è circa pari al 50%).

Settore di lavoro. Il 65,8% dei dottori di ricerca è occupato, a un anno dal titolo, nel settore pubblico, il 31,6% in quello privato, mentre il restante 2,4% è occupato nel settore non profit. Sono soprattutto i dottori di ricerca in Scienze della vita e quelli in Scienze umane a lavorare nel settore pubblico (entrambi 72,0%). Al contrario, le quote più elevate di occupati nel settore privato si rilevano tra i dottori di ricerca in ingegneria (42,8%), ma anche scienze economiche, giuridiche e sociali (34,9%) e scienze di base (31,7%).

Lavoro all’estero. Il 13,6% dei dottori di ricerca lavora, a un anno dal titolo, all’estero, un valore che oscilla tra il 9,6% dei cittadini italiani e il 46,2% dei cittadini esteri. Da quest’ultimo dato emerge dunque che il nostro Paese trattiene, per motivi di lavoro, oltre la metà (53,2%) dei dottori di ricerca con cittadinanza estera.

Retribuzione. I livelli retributivi dei dottori di ricerca sfiorano, nel 2021, i 1.800 euro mensili netti (1.784 euro) e risultano in aumento del 3,1% rispetto a quanto rilevato nel 2019. Anche in termini retributivi i dottori di ricerca risultano avvantaggiati rispetto ai laureati di secondo livello a un anno dalla laurea (+26,8%, 1.407 euro), ma anche rispetto a quelli a cinque anni (+9,1%, 1.635 euro).

L’analisi per area disciplinare evidenzia forti differenziazioni nelle retribuzioni percepite: in particolare, le retribuzioni più elevate sono dichiarate dai dottori di ricerca in Scienze della vita (1.966 euro) e Ingegneria (1.791 euro).

In termini di differenze di genere, gli uomini percepiscono una retribuzione del 7,6% più elevata rispetto alle donne (1.849 rispetto a 1.719 euro). Tale divario è confermato in tutte le aree disciplinari raggiungendo il valore massimo (+17,5% a favore degli uomini) tra i dottori in Scienze economiche, giuridiche e sociali e il minimo in Scienze umane (+2,0%). Anche in tal caso, il differenziale di genere risulta più contenuto rispetto a quanto rilevato sui laureati di secondo livello (+14,6% a un anno e 16,3% a cinque anni).

Distinguendo per sede di lavoro, si osserva che la retribuzione mensile netta è pari, in media, a 1.699 euro per coloro che lavorano in Italia e a 2.324 euro per gli occupati all’estero.

Soddisfazione per il lavoro svolto. La valutazione che i dottori di ricerca hanno dato circa la soddisfazione per il proprio lavoro è positiva: complessivamente pari a 8,1 in media, su una scala da 1 a 10, con differenze molto contenute tra le diverse aree disciplinari.

Efficacia del titolo di dottorato. Già a un anno dal conseguimento del dottorato l’efficacia del titolo, nella percezione dei dottori, è complessivamente buona. Il 71,9% ritiene che il titolo di dottore sia almeno efficace (ovvero “molto efficace o efficace”, valore in aumento di 4,9 punti percentuali rispetto a quanto osservato nella rilevazione del 2019); il 19,5% degli occupati dichiara che il titolo è “abbastanza efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro (+1,0 punti), mentre l’8,7% ritiene che sia “poco o per nulla efficace” (in calo di 5,9 punti rispetto al 2019).