Donne vittime di violenza: i dati sul sistema di protezione italiano.

Iniziato nel 2017 dall’Istat, dall’anno successivo sono state avviate, anche in Italia, le indagini sulle prestazioni ed erogazioni dei servizi offerti dai Centri antiviolenza, Case rifugio, nonché sulla diffusione dei dati del numero di pubblica utilità (1522) contro la violenza e lo stalking.

Tra i principali highlights dell’indagine, negli ultimi due anni è emerso che il 40% delle donne vittime di violenza si è rivolta ai parenti per cercare aiuto, il 30% alle forze dell’ordine, il 19,3% al pronto soccorso e ai presidi ospedalieri. Ancora le forze di polizia svolgono un ruolo di orientamento importante per le donne verso i Centri antiviolenza, come suggerito dal 32,7% che decide di recervisi dopo un consulto con gli agenti. Il 26,8%, invece, si reca autonomamente nei CAV.

Sono circa 373 i Centri antiviolenza e 431 le Case rifugio in Italia, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, così come è in aumento la loro utenza. 34.500, ancora, le donne che si sono rivolte ai CAV, 21.252 di queste ha figli (61,6% del totale).

Su un totale di 15.248 figli minorenni, la percentuale di quelli che hanno assistito alla violenza del padre sulla madre è pari al 72,2% e il 19,7% l’hanno anche subita.

I finanziamenti di CAV e Case rifugio sono soprattutto pubblici; alcuni CAV hanno anche altre fonti di finanziamento grazie alle quali riescono a garantire maggiori servizi e numeri superiori di accoglienza.

Uscite ed entrate sono simili, ma non sono poche le realtà che faticano a sostenersi, presentando bilanci negativi, soprattutto i CAV e le Case che spesso dispongono di entrate scarse (fino a 10mila euro).

Le 21.092 donne che nel 2021 stavano affrontando il loro percorso di uscita dalla violenza, prima di prendere contatti con il CAV si sono rivolte ai parenti (40% delle donne) e alle forze dell’ordine (30% delle donne), senza particolari differenze territoriali.

I servizi generali (Forze dell’Ordine, Ospedali/Pronto soccorsi, Servizi sociali) sono quelli che riescono ad intercettare di più le donne con una fragilità sociale o psicofisica, anche soltanto per il motivo che le donne stesse sono costrette a ricorrervi. Le donne con titoli di studio bassi e senza autonomia economica sono intercettate più facilmente da questi servizi, che sono poi anche quelli che le inviano al CAV. Anche le donne straniere ricorrono molto più frequentemente delle italiane ai servizi generali che poi le indirizzano ai servizi specializzati. Nel caso di donne con difficoltà psicofisiche o in situazioni problematiche, i servizi generali sono affiancati dalla rete informale o dagli psicologi, anche se poi per l’invio al CAV resta fondamentale il ruolo di Forze dell’Ordine, Ospedali/Pronto soccorsi e Servizi sociali.

Il ricorso ai servizi specializzati (CAV, 1522) o i professionisti (avvocati, psicologi) è invece più frequente nelle donne italiane con un diploma o una laurea, economicamente autonome, in genere più grandi di età, che acquisiscono informazioni e poi, prevalentemente in modo autonomo, si recano al CAV per iniziare il loro percorso di uscita dalla violenza.

Il mondo della scuola, i consultori, il medico di medicina generale o il pediatra (MMG/PLS) e le istituzioni religiose intercettano soltanto una quota residuale di donne, ma all’interno della rete possono comunque svolgere un ruolo importante non solo migliorando la capacità di individuazione del fenomeno ma veicolando anche il più possibile le informazioni sui servizi specializzati presenti sui loro territori.

CHI HA INVIATO LA DONNA AL CAVRipartizione territoriale
Nord OvestNord EstCentroSudIsoleItalia
Nessuno, è arrivata autonomamente24,024,034,027,324,426,8
Parenti, amici o conoscenti16,719,515,916,022,617,5
Altro Centro antiviolenza2,52,64,12,23,12,9
15226,53,78,55,511,86,3
Consultorio familiare2,01,70,72,31,81,6
Forze dell’ordine14,014,910,715,014,013,6
Pronto Soccorso/ Ospedale7,84,82,81,51,34,8
Medico di famiglia (Medico di Medicina Generale) o Pediatra di libera scelta1,21,20,40,61,00,9
Servizi sociali territoriali12,111,29,015,58,011,3
Parrocchia, Istituti religiosi e altri associazioni religiose0,70,50,30,70,20,5
Scuola0,70,70,20,20,20,5
Avvocato2,72,82,74,44,53,0
Psicologo/ Psichiatra3,13,82,92,43,63,2
Altro6,08,56,16,43,56,7
Non indicato0,00,01,70,00,00,4
TOTALE100,0100,0100,0100,0100,0100,0
DONNE CON UN PERCORSO DI USCITA DALLA VIOLENZA IN CORSO PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE E NODO DELLA RETE CHE LE HA INVIATE AL CAV (Anno 2021). Fonte Istat

Nel 2022, invece, si registra un calo del 10% delle chiamate valide al 1522 rispetto al 2021 (da 36.036 a 32.430). La diminuzione delle chiamate valide è in parte legata al periodo contingente di analisi: il 2021 aveva infatti risentito dell’effetto della pandemia e dei lockdown. Il numero delle chiamate nel 2022, anche se in calo rispetto all’anno precedente, risulta comunque molto più elevato rispetto ai periodi pre-pandemia (nel 2019: era pari a 21.290, registrando quindi un aumento del 52,3%) e inizio-pandemia (nel 2020 31.688; +2,3%). In diminuzione anche le chiamate da parte delle vittime tra il 2021 e il 2022 (11.909; -26,6%).

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I motivi principali di chiamata sono prevalentemente le “Richieste di informazioni sul 1522” (30,6%), le “Richieste di aiuto da parte delle vittime della violenza” (28,1%) e le “richieste di informazioni sui Centri antiviolenza” (14,5%). Analizzando la composizione percentuale delle chiamate valide rispetto ai motivi, nel 2022 si riscontra un aumento delle richieste di informazioni sui servizi offerti del 4,7% rispetto al 2021, mentre diminuisce la percentuale delle chiamate per richiesta di aiuto da parte delle vittime (-4,6%).

Nel 2022 le vittime segnalate al 1522 sono donne nel 97,7% dei casi (11.632 sul totale delle 11.909 vittime). Il 38,3% ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e il 15,7% tra i 25 e i 34 anni. Nell’80,9% dei casi sono italiane e nel 53% dei casi hanno figli.

La violenza riportata è soprattutto la violenza psicologica (9.048, 77,8%), seguita dalle minacce (6.342, 54,5%) e dalla violenza fisica (6.083, 52,3%). Nel 66,9% dei casi vengono segnalate più tipologie di violenze subite dalle vittime.La violenza riportata alle operatrici del 1522 è soprattutto una violenza nella coppia: il 50% da partner attuali, il 19% da ex partner e lo 0,7% da partner occasionali.

Dalle informazioni raccolte dalle operatrici del 1522 risulta che la maggior parte delle vittime donne dichiara di non aver denunciato la violenza subita (8.056, 69,3%) per paura della reazione del violento (20% dei casi), o per non compromettere il contesto familiare (18,5% dei casi). Ma persiste una parte consistente (7,1% dei casi) che non procede alla denuncia perché non ha un posto sicuro dove andare.

Nel 2021 risultano attivi in Italia 373 Centri antiviolenza, un’offerta pari a 0,06 Centri ogni 10mila abitanti e a 0,12 Centri ogni 10mila donne. Considerando l’offerta dei Centri per le donne vittime di violenza (stimata dall’Indagine sulla Sicurezza delle donne), l’offerta sale a 1,60 Centri ogni 10mila donne vittime di violenza.

La distribuzione dei Centri antiviolenza non è omogenea sul territorio nazionale: al Sud sono attivi il 30,8% dei CAV, a seguire il Nord-ovest con il 22,5%, il Centro (19,6%), il Nord-est (16,4%) e le Isole (10,7%).

Rapportando l’offerta dei CAV alla popolazione femminile nelle diverse macro-aree del Paese, l’offerta è maggiore al Sud con 0,17 Centri ogni 10mila donne e più bassa nel Nord-est e nel Nord-ovest con 0,10 Centri ogni 10mila donne. Nel Centro e nelle Isole il valore è in linea con quello nazionale (0,12 Centri ogni 10mila donne).

Nel 2021 le donne che hanno subito violenza possono contare sull’aiuto di 431 Case rifugio attive, pari a 0,07 Case ogni 10mila abitanti, 0,14 Case ogni 10mila donne e 1,85 Case ogni 10mila donne vittime di violenza.

Nelle regioni del Nord-ovest si trova il 40,4% delle Case rifugio, il 22,7% nel Nord-est, il 13,5% al Sud, il 12,3% nelle Isole e l’11,1% nel Centro.

Rispetto alla popolazione femminile del territorio, l’offerta delle Case rifugio è maggiore al Nord-ovest (0,21 Case ogni 10mila donne) e più bassa al Centro e al Sud (0,08).

Nel 2021 56.349 donne hanno contattato almeno una volta uno dei CAV che hanno risposto alla rilevazione, vale a dire 21 donne ogni 10mila donne di 14 anni e più. Il valore massimo rilevato è tra i CAV del
Nord-ovest (41,2 donne ogni 10mila donne over 14) e quello minimo al Sud (9,2). Anche il numero di donne che in media ha contattato i Centri antiviolenza segue la stessa dinamica: più alto nel Nord-ovest (in media 269 donne per ciascun CAV) e minimo al Sud (dove mediamente un CAV è stato contattato da 75 donne). A livello medio nazionale il valore è di 183 donne.

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Al 31.12.2021 risultavano seguite presso i CAV rispondenti alla rilevazione 34.500 donne, di cui 23.083 avevano iniziato il percorso personalizzato di fuoriscita dalla violenza nel 2021. Le donne straniere in un percorso di uscita dalla violenza erano 9.998 e quelle con figli 21.252, pari al 61,6% del totale. Di queste, 14.307 donne avevano figli minorenni.

Su un totale di 15.248 figli minorenni, la percentuale di quelli che hanno assistito alla violenza del padre sulla madre è del 72,2% e il 19,7% la hanno anche subita.

Sono 2.423 le donne che hanno trovato ospitalità nelle Case rifugio durante l’anno. In oltre la metà dei casi (62,5%, ossia 1.515 donne) si tratta di donne straniere. Le figlie e i figli ospitati sono stati 2.397. Il numero di notti trascorse complessivamente dalle donne nelle Case rifugio è di 248.776 nel 2021, mentre le notti trascorse dalle figlie e dai figli delle donne accolte sono 258.954.

Le donne restano nella Casa rifugio in media 142 giorni. Il valore più basso di permanenza si rileva in Molise (12 notti), quello più alto in Lombardia (185 notti).

Tra le donne che hanno lasciato la Casa rifugio durante l’anno (considerando le informazioni disponibili) il 42,5% ha raggiunto gli obiettivi del percorso personalizzato di uscita dalla violenza concordato con le operatrici della Casa. Un ulteriore 23,2% delle donne uscite dalle Case rifugio si è trasferito in un’altra struttura o in una residenza privata. Il 12,4% delle donne ha abbandonato il percorso intrapreso e l’11,6% è tornato a vivere con l’autore della violenza.

Nei Centri antiviolenza le figure professionali sono rappresentate da 5.416 donne, il 49% delle quali operano in forma esclusivamente volontaria. Il valore più alto di personale volontario è registrato tra i CAV delle Isole (63,3% del totale) e nel Nord-ovest (59,2%). Al Sud la quota di personale che opera in modalità esclusivamente in forma volontaria è più contenuta (25,6%).

Il 71% dei CAV ha meno di 11 persone operative sia a titolo gratuito sia retribuito, il 17,3% ne ha da 11 a 15 e la quota restante più di 15.

I Centri sono caratterizzati da un’ampia varietà di figure professionali: il 56,4% dei Centri ha tra cinque e sette figure diverse, il 19,5% più di 8.

Le figure presenti in più del 95% dei Centri sono quelle fondamentali per il corrente svolgimento delle attività previste dall’intesa (coordinatrice, operatrici di accoglienza, avvocate, psicologhe).

Meno frequenti sono le assistenti sociali (57% dei CAV), le educatrici (53,1% dei CAV), le orientatrici al lavoro (50,2% dei CAV).

Le figure professionali delle Case sono diverse da quelle dei Centri. Nelle Case sono meno presenti le operatrici di accoglienza e le psicologhe (presenti nel 69,1% delle Case rifugio), così come le avvocate (che coprono il 50,1% delle Case). Nelle Case, allo scopo di garantire il sostegno delle donne ospitate, si trovano più spesso educatrici (78,0%) rispetto ai Centri. Le figure meno frequenti sono le mediatrici culturali (27,6%) e le addette alla comunicazione (21,1%).

E’ in prevalenza pubblico il finanziamento dei CAV. La rilevazione condotta dall’Istat riguarda i Centri antiviolenza che aderiscono all’Intesa Stato Regioni e che sono nella maggior parte dei casi legati a finanziamenti pubblici (97,1% a livello nazionale). Sono invece residuali i CAV che hanno accesso solo ai fondi privati (2%). Nessun CAV vive esclusivamente di forme di autofinanziamento.

Pochissimi CAV non ricevono finanziamenti pubblici, sono soltanto sei a cui si possono sommare tre CAV che ricevono fondi su progetti specifici del Dipartimento per le Pari Opportunità. Questi Centri vivono di finanziamenti privati e raccolte dirette di fondi.

Analizzando la tipologia di fondi utilizzati (fondi pubblici, fondi legati a progetti dedicati del Dipartimento per le Pari Opportunità, Fondi Europei su progetti specifici, fondi privati e forme di autofinanziamento), emerge come la maggioranza dei Centri antiviolenza disponga di uno (nel 39,1% dei casi) o al massimo due tipologie di finanziamento (30,3%). Poco più di un quinto (il 22,1%) ha beneficiato nel 2021 fino a tre tipologie di finanziamento, mentre i CAV che ne hanno quattro sono il 7,8% (prevalentemente localizzati nel Nord e in particolare nel Nord-ovest con 11 CAV su 24).

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La percentuale dei CAV che hanno beneficiato di tutte le tipologie di finanziamento possibile, localizzati in Emilia Romagna e in Liguria, è residuale (0,7%).

I CAV che hanno beneficiato di una sola tipologia di finanziamento, quasi sempre hanno accesso a finanziamenti pubblici (95%). Pochi CAV si sostengono con una sola tipologia di finanziamento di natura privata (il 3,3%).

Ai CAV del Sud più finanziamenti pubblici, ma minori entrate. Il totale dei finanziamenti di cui i CAV hanno dichiarato di aver beneficiato nel corso del 2021 ammontano a 23.148.690 euro. I CAV delle regioni del Nord, Nord-est e Nord-ovest insieme, assorbono il 58,3% dei finanziamenti, quelli del Centro il 21%, del Sud il 14,4% e i CAV delle Isole il 6,4%.

I fondi di natura pubblica rappresentano la quota prevalente (86,1%) delle fonti di finanziamento, a seguire, i fondi privati (12,9%) e in misura residuale i fondi dell’Unione europea (1%). Tra i CAV del Sud la quota di finanziamenti pubblici è massima (92,4%) mentre quella dei finanziamenti privati è più elevata tra i CAV del Nord-ovest, dove il peso percentuale dei finanziamenti privati sale al 22%. Molise e Basilicata sono le uniche due regioni in cui i CAV sono finanziati esclusivamente da fondi di natura pubblica.

In Lombardia e Sicilia (rispettivamente per il 25,9% e il 23,6% dei CAV) i fondi di natura privata assumono il ruolo più importante, in termini di peso percentuale, nel panorama nazionale.

Considerando il rapporto tra CAV e finanziamenti per regione, mediamente un CAV nel 2021 ha usufruito di 75.403 euro; i valori sono decisamente più alti nel Nord-est (116.214 euro), in particolare per i CAV delle provincie autonome di Trento e Bolzano. La mediana assume valori più bassi (42.500).

Più alta la spesa, maggiori i servizi per le donne accolte. Considerando le spese sostenute e il numero di donne che hanno contattato i Centri antiviolenza durante il 2021 è possibile determinare il costo della protezione per donna sostenuto mediamente da ogni CAV.

La spesa media è pari a 412 euro per donna (a livello nazionale coincide con il finanziamento medio ricevuto per donna). Il quadro risulta molto diversificato tra le regioni, con il valore medio più alto registrato al Sud (728 euro a donna) e quello più basso al Nord-ovest (328 euro). Mediamente sono i CAV del Nord-est e del Centro a spendere per donna meno di quanto ricevono in termini di finanziamento, mentre tra i CAV del Sud si spendono in media 125 euro in più per donna rispetto a quanto ricevuto.

Più in dettaglio, i fondi spesi sono stati messi in relazione a diverse componenti che caratterizzano i costi affrontati dai CAV, come ad esempio l’offerta dei servizi, il personale, i costi della formazione, i costi per la gestione della struttura (diversi se questa è di proprietà o in affitto, i costi della manutenzione, i costi dei consumi) e altri ancora.

Analizzando alcune di queste componenti, emerge come i Centri che appartengono alle classi di spesa più elevata (più di 75mila euro) possono contare su un numero maggiore di operatrici e professioniste (il 25,3% dei Centri ha più di 15 persone contro il 2,3% dei Centri con la classe di spesa fino a 25mila euro).

Questo permette loro non solo di accogliere più donne ma anche di offrire in misura maggiore alcune tipologie di servizi, ad esempio quello relativo all’orientamento lavorativo, erogato dall’84,8% dei Centri caratterizzati dalla classe di spesa più elevata contro il 63,6% dei Centri che spendono fino a 25mila euro; il supporto ai figli minorenni (inclusi i corsi scolastici/sostegno scolastico, baby-sitting, attività ludico ricreative), offerto dal 59,6% dei Centri con un livello di spesa alto contro il 34,1% dei Centri con un livello di spesa inferiore; i servizi per immigrate e vittime di tratta (inclusi i protocolli UNHCR), proposto dal 32,3% dei Centri con più di 75mila euro di spesa (18,2% dei Centri con meno di 25mila di spesa); il servizio di attivazione del permesso di soggiorno per violenza domestica (art.18bis del TU Immigrazione), presente nel 38,4% dei Centri che spendono di più contro solo il 9,1% dei Centri con spesa limitata a 25mila euro.

La spesa più elevata è resa possibile non solo grazie all’accesso ad un numero maggiore di fonti di finanziamento, ma anche a finanziamenti più sostanziosi: il 70,7% dei Centri con spesa superiore ai 75mila euro accede a più di due fonti di finanziamento contro il 59,1% dei Centri con spesa inferiore ai 25mila.

L’accesso a maggiori finanziamenti non solo aumenta la capacità di spesa del Centro ma permette di migliorare l’offerta con un numero più alto di operatrici e un ventaglio migliore di servizi, supportando così più donne e intervenendo in modo più specifico e completo laddove si decida di intraprendere un percorso di uscita dalla violenza.

foto Santarsiero Donato