Donna, giovane e madre. Un rapporto sempre più inconciliabile.

Essere madre e lavoratrice oggi in Italia risulta ancora molto difficile. Nonostante questo, il 71% delle donne italiane tra i 20 e i 34 anni mira ancora ad avere almeno due figli, mentre soltanto il 7% è disposto a rassegnarsi a non averne. Inoltre nell’ipotesi di avere un figlio entro i prossimi anni meno di uno su quattro ha risposto che si sentirebbe “Insicuro” e “Non all’altezza”, mentre oltre tre su quattro si sentirebbero soprattutto “fieri” e “con più senso nella vita”.

L’indagine evidenzia che le difficoltà nelle condizioni abitative (critiche per più del 50% degli intervistati) e soprattutto il lavoro e la situazione economica (con percentuali costantemente sopra il 60%) sono i freni maggiori rispetto alla nascita del primo figlio.

Anche in questo caso i più penalizzati sono ovviamente i Neet e i lavoratori con contratto a tempo determinato, con uno scarto ancor più netto (circa 15 punti percentuali) rispetto alle altre categorie (lavoratori autonomi e occupati a tempo indeterminato).

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Bassa fecondità e ritardo nell’uscita dalla casa dei genitori per via dei bassi salari e del precariato continuano, dunque, a rappresentare una criticità irrisolta del contesto italiano.

Sempre secondo il lavoro di ricerca dell’Istituto Toniolo di Milano, il lavoro e la situazione economica generale rappresentano per oltre il 70% dei giovani italiani elementi che hanno pesato abbastanza o molto, nell’ultimo anno, nell’impedire l’uscita dalla casa dei genitori. A conferma dell’importanza dei fattori oggettivi, la categoria più penalizzata risulta, come era logico attendersi, quella dei Neet, per la quale lavoro e congiuntura economica sono stati ostacoli rilevanti in più dell’80% dei casi (83% per il lavoro, 84,6% per la situazione economica).

“La carenza di politiche adeguate – dichiara Alessandro Rosina – ha portato le famiglie italiane a chiudersi in difesa, con conseguente crescita degli squilibri demografici e interdipendenza negativa con dinamiche economiche e sociali. Questa mancanza di misure efficaci a favore della famiglia (in particolare quelle fiscali) ha portato le coppie, da un lato, alla scelta di ridurre il numero di figli desiderato, e dall’altro, all’aumento del rischio di povertà per quelle che sono andate oltre il secondo figlio. La carenza di politiche di conciliazione, invece, ha portato chi ha un lavoro alla rinuncia ad avere figli, e per chi ha figli alla rinuncia ad un lavoro”.

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“L’insufficienza – aggiunge Rosina – di politiche attive del lavoro e valorizzazione del capitale umano, porta i giovani a scegliere di andare all’estero e quelli che rimangono a rivedere al ribasso le proprie ambizioni e i propri progetti di vita. Ci troviamo, di conseguenza, ad essere uno dei paesi con maggior combinazione negativa tra: bassa natalità, alto rischio di povertà per le giovani famiglie con figli, bassa occupazione femminile, alta dipendenza dei giovani dai genitori, saldo negativo di laureati verso l’estero. Tutto questo entra in un circuito vizioso con le possibilità di crescita economica del paese, con la mobilità sociale e con disparità di genere e territoriali. Non a caso il Sud Italia è la parte del Paese entrata in maggior sofferenza anche dal punto di vista demografico, con difficoltà delle donne e dei giovani, nel realizzare le proprie scelte di vita, ancora più accentuate. Le specificità positive della famiglia italiana si sono trovate imbrigliate in difesa e vincolate verso il basso. La forte e intensa relazione tra genitori e figli, in carenza di misure efficaci, è diventata iperprotezione dei genitori verso figli sempre più unici, è diventata carico eccessivo di accudimento dei figli adulti verso i genitori anziani non autosufficienti, è diventata rifugio nelle reti di relazioni strette e sfiducia verso le istituzioni”.

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