Diminuiscono i giovani italiani: sono 5,1 milioni al 1° gennaio 24.
Al 1° gennaio 2024 i residenti in Italia tra gli 11 e i 19 anni sono 5.144.171 (circa l’8,7% della popolazione residente), ma nelle proiezioni demografiche il numero dei giovanissimi nei prossimi decenni è destinato a diminuire.
La Germania registra per questa classe di età un’incidenza più bassa (8,3%) di quella rilevata in Italia; in Francia e in Spagna i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni presentano invece un peso relativo maggiore, rispettivamente 11,3% e 9,6%. I giovanissimi in questa classe di età, che 30 anni fa in Italia erano circa 6,4 milioni e rappresentavano l’11,2% della popolazione, sono destinati, nel prossimo futuro, a diminuire ulteriormente. In base allo scenario mediano delle previsioni Istat, tra 30 anni i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni residenti in Italia saranno poco più di 3,8 milioni e rappresenteranno il 7,2% della popolazione complessiva.
L’immigrazione straniera, che negli ultimi decenni ha rinfoltito le fila della popolazione residente, ha prodotto significativi effetti specialmente tra le fasce giovanili della popolazione, alle quali hanno oltremodo contribuito anche i discendenti degli immigrati nati in Italia. I giovanissimi stranieri residenti tra gli 11 e i 19 anni al 1° gennaio 2024 sono 497.464 (stima provvisoria) e rappresentano il 9,7% dei ragazzi in questa fascia di età, con un’incidenza più elevata di quella che si rileva per il totale degli stranieri sull’insieme della popolazione (9%).
% essere italiani significa essere nati in Italia | % favorevoli allo Ius soli | % di chi ha uno o più profili social | % di chi vorrebbe sposarsi entro i 25 anni | % di chi non vuole avere figli | % di chi vuole vivere in Italia in futuro | % di chi vede gli amici nel tempo libero tutti i giorni | % di chi vuole iscriversi all’università (a) | |
SESSO | ||||||||
Maschi | 56,2 | 53,6 | 83,4 | 18,8 | 7,2 | 48,5 | 26,2 | 46,4 |
Femmine | 50,1 | 64,6 | 86,4 | 23,2 | 10,3 | 41,0 | 16,4 | 67,4 |
CITTADINANZA | ||||||||
Italiani | 54,0 | 59,5 | 85,1 | 19,4 | 8,6 | 45,6 | 21,5 | 57,8 |
Stranieri | 45,8 | 53,1 | 82,1 | 36,8 | 9,4 | 37,9 | 21,0 | 44,5 |
RIPARTIZIONE | ||||||||
Nord-ovest | 50,9 | 55,0 | 82,7 | 21,8 | 9,4 | 43,7 | 20,6 | 52,3 |
Nord-est | 51,6 | 50,5 | 81,2 | 22,7 | 8,4 | 44,8 | 17,8 | 51,1 |
Centro | 52,7 | 58,9 | 84,9 | 20,0 | 8,6 | 44,2 | 18,0 | 60,1 |
Mezzogiorno | 56,2 | 66,7 | 88,5 | 19,9 | 8,3 | 46,1 | 26,1 | 60,4 |
Italia | 53,2 | 58,9 | 84,9 | 20,9 | 8,7 | 44,9 | 21,5 | 56,6 |
In un mondo sempre più globalizzato, in cui le comunicazioni e le possibilità di spostamento sono sempre più facili e immediate, il significato del termine “cittadinanza” sta cambiando rapidamente e vengono coniati nuovi vocaboli come “transnazionalità” o “appartenenze multiple”. Le leggi si adeguano alla nuova realtà sociale e diversi Paesi negli ultimi due decenni hanno modificato le loro normative per aprirsi alla possibilità del riconoscimento della doppia cittadinanza. In Italia sono sempre di più coloro che hanno una doppia cittadinanza e, come riportato poco sopra, il fenomeno riguarda anche i giovanissimi.
La duplice nazionalità ha conseguenze formali e legali, ma si traduce spesso anche in un sentimento di appartenenza: chi ha una doppia cittadinanza si sente non solo italiano, ma nell’83,3% dei casi anche dell’altra cittadinanza. Il senso di appartenenza può però svilupparsi anche in assenza di una cittadinanza formale: l’80,3% dei giovanissimi stranieri residenti in Italia (con notevoli differenze tra le collettività) si sente anche italiano, sebbene non sia riconosciuto come cittadino. Per i cinesi la quota di chi si sente anche italiano supera di poco il 47%, ma si sale all’85,8% tra i marocchini e all’89,5% tra i romeni.
Tra gli stranieri nati in Italia la quota di coloro che si sente italiano è, come ci si può aspettare, più alta (85,2%). La percentuale diminuisce invece tra gli immigrati quanto più alta è l’età all’arrivo in Italia, toccando il minimo del 61,7% per chi è arrivato quando aveva 11 anni o più.
Ma cosa richiama alla mente dei giovanissimi il termine cittadinanza? Per i ragazzi, sia italiani, sia stranieri, significa soprattutto appartenenza (29,6%), comunità (25,9%) e diritti (28,5%). Pochi abbinano “cittadinanza” al termine “doveri” (3,7%). Si notano alcune differenze di genere, con le ragazze che più spesso associano alla cittadinanza la parola “diritti”, senza che ciò alteri di fatto la graduatoria.
Tra italiani e stranieri le differenze sono più evidenti. Per i ragazzi italiani la parola cittadinanza fa pensare soprattutto a comunità (30,1%); per i ragazzi stranieri questa associazione è molto meno diffusa (17,4% dei casi) e la parola cittadinanza viene associata soprattutto a “diritti” (30,2% contro il 24,7% degli italiani); per entrambi – italiani e stranieri – la seconda associazione più diffusa è “cittadinanza-appartenenza” (29,7% per i primi e 29,0% per i secondi). Sembra evidente che per chi non ha la cittadinanza italiana la questione dei diritti che essa garantisce e ai quali non si ha accesso sia più sentita. Gli italiani, che hanno già la garanzia di tali diritti, valorizzano altri aspetti come il senso di comunità.
Tra le principali collettività straniere a farne soprattutto una questione di “diritti” sono i ragazzi albanesi (36,1%) e marocchini (33,4%) appartenenti alle nazionalità che nell’ultimo decennio hanno dato luogo al maggior numero di acquisizioni di cittadinanza in Italia: queste due collettività coprono da sole il 35% delle acquisizioni di cittadinanza che si sono verificate tra il 2013 e il 2022 (oltre un milione 460mila); completamente diversa la situazione per i cinesi che non collegano “cittadinanza” a “diritti” e per i quali la parola richiama soprattutto il concetto di “appartenenza” (39,6%). Come si vedrà, gli atteggiamenti dei ragazzi cinesi risentono del fatto che la Cina non riconosce la doppia cittadinanza e quindi, qualora acquisissero quella italiana, dovrebbero rinunciare a quella di origine.
Ma cosa significa essere italiano per i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni? L’opzione che raccoglie il maggior numero di preferenze – sia per gli italiani, sia per gli stranieri – è “essere nato in Italia”; per gli italiani questa scelta è più frequente: 54,0% contro 45,7% per gli stranieri; “rispettare le leggi e le tradizioni italiane”, con il 47,7% delle preferenze, è, in generale, la seconda scelta, ma risulta essere la prima per i ragazzi stranieri nati all’estero.
“Parlare la lingua italiana”, ha raccolto nell’insieme meno del 32% delle preferenze, è stata però una modalità scelta frequentemente dai ragazzi cinesi (41,4%) che probabilmente considerano la nostra lingua particolarmente difficile e per i quali può rappresentare quindi un potenziale elemento di esclusione. “Sentirsi italiano” è stato indicato invece solo dal 31% circa dei giovanissimi. I ragazzi stranieri indicano questa modalità meno frequentemente, probabilmente consapevoli che sentirsi italiani non sia sufficiente per esserlo.
L’importanza attribuita al paese di nascita si riflette anche sul generale favore da parte dei giovanissimi per l’acquisizione di cittadinanza in base allo ius soli, che prevede che chi nasce in un determinato paese ne divenga immediatamente cittadino. Il 58,9% pensa che chi nasce in Italia dovrebbe subito acquisire la cittadinanza, mentre un altro 21,7% è favorevole all’acquisizione di cittadinanza per i nati in Italia solo dopo un periodo di residenza.
Le ragazze sono di gran lunga più favorevoli allo ius soli con il 64,6% che sostiene l’acquisizione della cittadinanza alla nascita per i nati in Italia, contro il 53,6% dei ragazzi.
Apparentemente in contraddizione con le attese, i ragazzi stranieri (53,1%) sostengono meno frequentemente degli italiani (59,5%) l’opportunità dello ius soli. Il dato riferito agli stranieri è fortemente influenzato dalla bassa quota (20% circa) di cinesi a favore dello ius soli. L’atteggiamento dei ragazzi cinesi, come già ricordato, è ampiamente da riconnettersi al mancato riconoscimento da parte della Cina della doppia cittadinanza. Infatti, escludendo la comunità cinese, la percentuale di stranieri favorevole allo ius soli sale al 56,7%.
Con poco più del 50% di favorevoli, anche gli ucraini risultano più cauti verso lo ius soli. Si deve ricordare che attualmente non è prevista in Ucraina la doppia cittadinanza; era in corso di approvazione una legge che l’avrebbe introdotta, ma l’iter si è bloccato dopo lo scoppio del conflitto con la Russia.
I ragazzi con cittadinanza straniera vorrebbero diventare italiani? Il 62,3% risponde di sì, mentre il 25,6% è indeciso e il 12,1% non lo desidera. Tra i ragazzi cinesi questa intenzione interessa solo il 15% dei giovanissimi, per gli albanesi – una collettività molto incline ad acquisire in generale la cittadinanza italiana – la quota è di poco inferiore al 70%. La complessità della questione “cittadinanza” oggi si legge anche in questi dati, nell’ampia quota di indecisi tra i giovanissimi immigrati e le seconde generazioni, così come nelle sostanziali differenze tra ragazzi di diversa origine.
I ragazzi che hanno tra gli 11 e i 19 anni rientrano a pieno titolo tra le generazioni di “nativi digitali”, nate dopo l’inizio del nuovo millennio, per le quali l’utilizzo di Internet e dei social media è diventato parte della vita quotidiana. Un primo dato rilevante in questo senso proviene non dal questionario, ma dalla modalità seguita dai ragazzi per rispondere all’indagine. Quasi il 79% ha utilizzato lo smartphone o il tablet per compilare il questionari0.
L’indagine evidenzia che quasi l’85% dei ragazzi tra 11 e 19 anni dispone di un profilo su un social network; percentuale che nella fascia 17-19 anni supera il 97%. Le ragazze hanno attivato più frequentemente dei ragazzi un profilo social (rispettivamente 86,4% contro 83,4%). Su base territoriale, i residenti nel Mezzogiorno risultano più predisposti da questo punto di vista (88,5% contro 84,9% del Centro, l’82,7% del Nord-ovest e l’81,2% del Nord-est). Gli stranieri evidenziano, a loro volta, una percentuale più bassa di ragazzi con profilo social personale (82,1%) e, tra questi, la medesima percentuale risulta molto più contenuta tra i ragazzi cinesi (69%).
Per queste generazioni anche le relazioni con gli amici passano attraverso Internet. L’8,4% dei giovanissimi dice di essere continuamente online o al telefono con gli amici (chat, chiamate, videochiamate, ecc.). Il 40,3% dichiara di essere online o al telefono con amici più volte al giorno. La quota di “connessi” cresce con l’aumentare dell’età. Risultano evidenti le differenze di genere: le ragazze sono più “connesse” digitalmente dei ragazzi; tra le femmine la quota di chi è in contatto online continuamente o più volte al giorno con amici/amiche è del 54,6%, oltre 10 punti percentuali in più rispetto ai coetanei maschi (43,2%). Si rilevano anche notevoli differenze per cittadinanza: gli italiani connessi continuamente o più volte al giorno sono il 50,2% mentre tra gli stranieri la quota resta al di sotto del 35%. Anche in questo caso sono soprattutto i cinesi a mantenere bassa la percentuale. Per questa collettività, infatti, la quota di chi è quotidianamente connesso con gli amici scende al 24%.
Essere online non significa però non avere relazioni dirette, al contrario chi ha più relazioni online ha anche frequenti relazioni dirette con gli amici. Tra coloro che sono continuamente online la quota di chi vede amici tutti i giorni è del 29% (contro una media del 21,4%). All’opposto, tra coloro che non sono mai online con gli amici, la quota di chi non li incontra mai è del 19%, contro un valore medio dell’1,9%. I contatti “virtuali” non sono quindi alternativi a quelli diretti, ma sono uno dei diversi modi che i ragazzi hanno per intrattenere relazioni, sebbene con alcune differenze e specificità. Tra gli stranieri, ad esempio, le relazioni con gli amici, sia dirette, sia online, sono meno frequenti rispetto a quelle degli italiani; gli stranieri, infatti, vedono gli amici tutti i giorni o almeno qualche a volta a settimana nel 63,8% dei casi, mentre gli italiani nel 73,5% dei casi.
Emergono differenze di genere: le ragazze hanno più frequenti relazioni online con amici rispetto ai ragazzi, i quali, tuttavia, evidenziano più frequenti relazioni dirette: vedono gli amici tutti i giorni o almeno qualche a volta a settimana (76,8% contro 68,0% delle ragazze). Sul piano territoriale i giovanissimi residenti nel Mezzogiorno hanno un’intensità di relazioni, sia dirette sia indirette (rispettivamente 75,2% di ragazzi che vedono gli amici almeno una volta a settimana e 51,4% di giovanissimi quotidianamente connessi con gli amici), leggermente superiore alla media nazionale (72,6% e 48,7%).
Attraverso Internet si amplia anche la rete relazionale dei ragazzi. Il 46% dei giovanissimi tra 11 e 19 anni afferma che Internet ha consentito loro di fare nuove amicizie e quasi il 14% di coloro che hanno un ragazzo o una ragazza ha avuto modo di conoscere il partner grazie a Internet.
Le “transizioni scolastiche”, il passaggio cioè da un ordine di scuola all’altro e quello verso il lavoro o gli studi universitari, sono parte essenziale della transizione verso l’età adulta. Tra gli studenti delle scuole secondarie di primo grado oltre il 50% pensa di iscriversi successivamente a un liceo, il 26,1% è indeciso, il 14,7% pensa a un istituto tecnico e l’8,4% si vorrebbe iscrivere a un professionale. Tra le ragazze risulta più elevata la quota di coloro che sono orientate verso i licei: il 60,6% contro il 41,6% dei maschi. Tra i ragazzi stranieri l’incidenza di coloro che vogliono proseguire gli studi al liceo è notevolmente più bassa (38,3%) rispetto a quella rilevata per gli italiani (52,4%), mentre risulta più alta sia la quota di chi pensa di proseguire in un istituto tecnico o professionale, sia quella degli indecisi.
Albanesi e marocchini sono tra gli studenti che meno si orientano verso il liceo con valori sotto il 34%. Sono, invece, i romeni che mostrano maggiore propensione a proseguire gli studi in un liceo (il 48%). Se dalle intenzioni dichiarate dei ragazzi stranieri si passerà in futuro effettivamente ai fatti è da verificare. Quel che si può confermare, per ora, è il perpetuarsi di una situazione tendenziale che già oggi emerge dai dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito e che evidenziano una concentrazione di ragazzi stranieri negli istituti tecnici e professionali.
La condizione economica della famiglia sembra avere un ruolo importante nel determinare gli orientamenti scolastici dei ragazzi. Il 60,3% di coloro che ritengono che la situazione della propria famiglia sia molto buona intende andare al liceo, mentre manifesta lo stesso orientamento solo il 34,8% degli studenti che dicono di avere una situazione economica familiare non molto o per niente buona. Per questi ultimi risulta relativamente più elevata la quota di coloro che vogliono proseguire gli studi in un istituto professionale: il 15,6% contro il 5,3% di chi ritiene di avere una situazione economica molto buona; gli indecisi rappresentano il 34,5% tra chi ha una situazione non molto o per niente buona e il 22,9% tra chi ritiene di avere una situazione molto buona.
Background migratorio e condizioni socio-economiche risultano, quindi, aspetti collegati alle aspirazioni dei ragazzi più piccoli. Tra l’altro, in questo specifico caso, si tratta di intenzioni che non sempre riescono a realizzarsi, con numerosi casi di ridimensionamento delle aspettative specie tra i giovanissimi di origine straniera.
Per i ragazzi che frequentano le scuole secondarie di secondo grado si ripresenta una situazione analoga a quella dei ragazzi di quelle di primo grado. In generale, si rileva che il 56,6% dei giovanissimi che frequentano le scuole secondarie di secondo grado è intenzionato ad andare all’università. Tra le ragazze la quota di chi vuole proseguire all’università è notevolmente più alta rispetto ai ragazzi: 67,4% contro 46,4%. Per gli stranieri è più bassa rispetto agli italiani: 44,5% contro 57,8%.
Come per la transizione dalla scuola secondaria di primo grado, anche in questo caso sono albanesi e marocchini a evidenziare aspirazioni meno elevate: solo il 38,3% dei marocchini vuole andare all’università e il 41,3% degli albanesi a fronte del 48,1% dei romeni (i più propensi al proseguimento degli studi all’università). Anche per la situazione economica si riscontra lo stesso tipo di relazione emerso per gli studenti più piccoli. Chi pensa di avere una situazione economica non molto o per niente buona vuole andare all’università nel 46,0% dei casi, mentre tra chi ha una situazione molto buona è il 67,1% a esprimere l’intenzione di andare all’università. All’’opposto, chi ha una situazione economica non molto o per niente buona nel 24,5% dei casi si orienta verso il lavoro contro il 14,2% di chi ha una situazione economica molto buona.
Sono stati numerosi i cambiamenti sociali, ma anche di normativa che hanno riguardato la vita di coppia negli ultimi decenni. I dati sulle nozze riferiti al 2022 evidenziano che i primi matrimoni, dopo aver subito un dimezzamento nel 2020, sono tornati ai livelli del 2019. Si registra in generale una tendenziale diminuzione dei primi matrimoni che è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni. Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2021-2022 (da circa 440mila a più di 1 milione e 500mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili. A fronte di tanti cambiamenti in atto, è interessante capire cosa pensano le nuove generazioni della vita di coppia e del matrimonio.
Il 74,5% dei giovanissimi pensa che da grande vivrà in coppia, a prescindere da un eventuale matrimonio. Solo il 5,1% invece immagina di vivere da solo, mentre gli indecisi superano di poco il 20%. La quota di chi si vede single è leggermente più alta per le ragazze rispetto ai ragazzi. Differenze importanti si leggono invece tra stranieri e italiani. Il 75,4% degli italiani vede il proprio futuro in coppia, per gli stranieri la stessa percentuale scende al 65,8%; per questi ultimi risulta invece più elevata la quota di coloro che non si vede in coppia da grande: 7,6% contro 4,9%.
Tra le ragazze cinesi e marocchine si registra una minore frequenza di chi ritiene che da grande vivrà in coppia (rispettivamente 39,9% e 56,7%); per le stesse collettività si rilevano anche, all’opposto, le percentuali più alte di coloro che si vedono single da grandi (rispettivamente il 12,7% tra le cinesi e il 12,8% tra le marocchine).
Tra coloro che hanno espresso l’intenzione di vivere in coppia il matrimonio resta la modalità ampiamente più diffusa per formare una famiglia (72,5%), per gli stranieri più che per gli italiani (78,4% contro 72,0%). Tuttavia, si deve sottolineare che al crescere dell’età la quota di chi pensa al matrimonio si riduce, passando dal 73,7% tra gli 11-13enni al 70,8% nella classe 17-19 anni. I ragazzi e le ragazze di cittadinanza marocchina evidenziano la percentuale più elevata di giovanissimi che pensano al matrimonio come passaggio nel loro futuro (in entrambi casi con quote oltre l’80%).
A fronte di un’età al primo matrimonio che nel 2022 in Italia era di 34,6 anni per gli uomini e di 32,5 anni per le donne, la larga maggioranza (76,9%) dei giovanissimi vorrebbe sposarsi entro i 30 anni e, tra questi, quasi il 21% prima dei 26 anni. Per le ragazze l’incidenza di chi si vuole sposare entro i 30 anni è più alta che per i ragazzi (80,7% e 73,4%). Il 23,2% delle giovani desidera sposarsi prima dei 26 anni.
Per gli stranieri la percentuale di coloro che pensano di sposarsi entro i 30 anni è più elevata che per gli italiani: 81,7% contro 76,5%. Differenze più evidenti si rilevano rispetto alla quota di coloro che vogliono sposarsi prima dei 26 anni, pari al 19,4% tra gli italiani e al 36,8% tra gli stranieri. Anche tra gli stranieri sono soprattutto le ragazze a pensare di sposarsi in giovane età: il 41,9% ipotizza di sposarsi prima di aver compiuto i 26 anni.
Il basso tasso di fecondità italiano (1,2 figli per donna secondo la stima provvisoria del 2023) negli ultimi anni ha comportato diversi record negativi nel numero delle nascite. Contrastare tale tendenza si sta rivelando particolarmente difficile in relazione ai tanti fattori, sia contestuali sia strutturali, che limitano la fecondità delle coppie. Sotto quest’ultimo punto di vista è interessante analizzare l’idea che posseggono oggi i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni riguardo le loro future intenzioni riproduttive.
Specie per i più piccoli, si tratta di un’esperienza che vedono ancora molto lontana nel futuro, in ogni caso emerge che, mentre il 69,4% dei ragazzi e delle ragazze dice di volere dei figli, il 21,8% è indeciso e l’8,7% dice di non volerne. Tra le ragazze è leggermente più alta la quota di coloro che non vogliono figli (10,3%). Gli stranieri sono più indecisi degli italiani: 26,0% contro il 21,4%. Tra i ragazzi e le ragazze cinesi è particolarmente elevata la quota che non vuole figli (15,3%) e quella di indecisi (45,2%); addirittura, tra le sole ragazze cinesi la quota di quelle che non vuole avere figli supera il 24% e quella di indecise sfiora il 46%.
Al crescere dell’età l’incidenza di coloro che vuole avere figli aumenta e passa dal 63,3% nella classe 11-13 anni al 73,1% nella classe 17-19, assottigliando così la quota di indecisi. Anche la percentuale di chi non vuole figli cresce lievemente con l’età, passando dall’8,4%, per la classe di età 11-16 anni al 9,1% tra i 17-19enni.
Il 61,5% dei giovanissimi che pensa di avere figli ne vorrebbe due, l’8,8% un solo figlio, il 18,2% tre o più, mentre il restante 11,5% pur asserendo di volerne non indica quanti. Per quanto possa sembrare azzardato confrontare le legittime aspirazioni giovanili con la realtà odierna, è utile prendere a riferimento una reale generazione di donne che ha da poco concluso la sua esperienza riproduttiva, le donne nate nel 1973. Tale coorte femminile ha messo al mondo 1,46 figli a testa, tra di loro il 78% ha avuto almeno un figlio. Cosicché il fatto che solo il 69,4% dei giovanissimi abbia espresso di volere dei figli lascia intendere la necessità di dover creare le condizioni affinché almeno una parte di indecisi (21,8%) sia portata a cambiare idea in futuro.
Altro aspetto interessante riguarda la distribuzione per numero di figli avuti. Tra le donne della coorte 1973 il 42% ha avuto un solo figlio, il 28% due e solo l’8% tre o più figli. Le intenzioni espresse dai giovanissimi, invece, sono massimamente concentrate sull’ideale dimensione dei due figli. Il che conferma quanto già emerso da precedenti indagini, ossia che nel Paese il desiderio di maternità è pressoché stabile nel tempo. Le risposte fornite dalle nuove generazioni rappresentano quindi la conferma che una ripresa della natalità nel nostro Paese è possibile, a patto naturalmente che i desideri espressi possano tradursi in realtà.
Per le ragazze l’incidenza di coloro che vogliono tre o più figli è più elevata di quella che si rileva per i ragazzi: 20,7% contro 15,6%. Sia tra gli italiani sia tra gli stranieri sono comunque le ragazze a desiderare un numero più elevato di figli.
Per gli stranieri la quota di coloro che desiderano tre figli o più è leggermente superiore a quella rilevata per gli italiani: 20,5% contro 18,1%. Il valore generale degli stranieri nasconde però notevoli differenze tra le collettività: l’incidenza di coloro che vogliono tre o più figli arriva al 24,8% per gli albanesi e al 22,7% per i marocchini; per i cinesi si colloca invece al 4,8%, molto al di sotto del valore rilevato anche per gli italiani, rafforzando l’immagine dei giovanissimi cinesi con basse intenzioni di fecondità.
Si deve sottolineare che si tratta in tutti i casi di adolescenti intervistati in un’età di transizione e cambiamento e che, nel caso dei ragazzi stranieri, i complessi percorsi di integrazione giocheranno un ruolo importante nel determinare in futuro il mantenimento o meno dei propositi espressi durante l’adolescenza. Attualmente però sembrerebbe possibile avere ancora un impulso demografico positivo dalla componente con background migratorio della popolazione residente in Italia.
Così come per il matrimonio, anche per i figli il calendario che i giovanissimi hanno in mente è anticipato rispetto a quello attuale delle nascite. In Italia, nel 2022 l’età media delle madri al primo figlio è di 31,6 anni. Il 65% dei giovanissimi pensa di avere un figlio entro i 30 anni (il 14,6% prima dei 26 anni) e solo il 2,6% colloca la nascita del primo figlio dopo i 35 anni. Per le ragazze la quota di coloro che pensa di avere il primo figlio entro i 30 anni raggiunge il 71,6%.
Tra gli stranieri si evidenziano percentuali più alte di ragazzi e ragazze che vogliono diventare genitori prima dei 30 anni e, in particolare, di coloro che collocano la nascita di un figlio tra i 20 e i 25 anni. Tra i ragazzi italiani l’11,4% pensa di diventare padre entro i 25 anni, tra gli stranieri la quota sale al 19%. Per le ragazze italiane la percentuale di coloro che si vedono madri entro i 25 anni è del 16,6%, tra le straniere del 26,2%. Man mano che ci si avvicina però alle età indicate, l’incidenza di coloro che pensa di avere figli tra i 20 e i 25 anni diminuisce, passando dal 16,3% tra coloro che hanno tra 11 e 13 anni al 10,5% tra coloro che hanno tra i 17 e i 19 anni.
La realizzazione dei desideri espressi oggi dai giovanissimi dipenderà da una pluralità di fattori. Tra questi saranno importanti le condizioni di vita che si garantiranno a queste generazioni che si trovano ad affrontare la transizione all’età adulta non senza incertezze e timori. Se infatti in generale il 41,3% dei giovanissimi dice che il futuro lo affascina, il 32,3% ne ha paura, il 26,5% non sa o non pensa al futuro. Rispetto all’indagine condotta nel 2021 la quota di coloro che si sentono affascinati dal futuro è diminuita di quasi 5 punti percentuali, mentre è cresciuta di 5 punti e mezzo la quota di chi ha paura.
In linea con quanto emerso già nel 2021, le ragazze evidenziano un maggiore timore per quello che potrà avvenire: la quota di chi ha paura del futuro (42,1%) è ampiamente superiore a quella di coloro che ne sente il fascino (35,9%). Per i maschi la situazione è ribaltata e la quota di coloro che sono affascinati dal futuro è del 46,3%, mentre solo il 23,1% dice di averne paura. Tra le femmine è anche più bassa l’incidenza di coloro che non pensano al futuro o non sanno esprimersi (22%) rispetto ai maschi (30,6%).
Per gli stranieri la percentuale di giovanissimi affascinati dal futuro è più alta rispetto agli italiani: 43,4% contro 41,0%; di converso è più bassa la quota di coloro che ne hanno paura: 27,9% contro 32,8%. Anche tra gli stranieri sono le ragazze ad avere maggiormente timore del futuro. Tra i maschi stranieri l’incidenza di coloro che dicono che il futuro li affascina tocca il 49%, tra le ragazze si ferma al 36,9%. Al contrario, tra i ragazzi il 19,0% ha paura del futuro, mentre per le ragazze la quota è del 38%.
È interessante notare che la percentuale di coloro che hanno paura del futuro aumenta con il crescere dell’età: per i ragazzi tra 11 e 13 anni è del 20,9%, per coloro che hanno tra 17 e 19 anni l’incidenza raddoppia e arriva al 43,5%. Se si considerano le sole ragazze, si parte da una percentuale del 26,4% tra le più piccole per arrivare a sfiorare il 56% nella classe di età 17-19 anni.
La situazione economica percepita dai ragazzi è connessa con l’atteggiamento verso il futuro. Tra coloro che dichiarano di avere una situazione economica molto buona chi è affascinato dal futuro raggiunge il 48,5%, chi ne ha paura il 26,9%; tra coloro, invece, che percepiscono la situazione economica familiare come per niente o non molto buona il 32,8% è affascinato dal futuro mentre il 40,8% ne ha paura.
I giovanissimi rappresentano un capitale umano tendenzialmente in calo, quindi ancora più prezioso per il futuro del Paese. Da questo punto di vista il loro trattenimento in Italia richiede l’offerta di adeguate opportunità di vita. Molti ragazzi che oggi vivono in Italia, che vedono il proprio futuro all’estero. Oltre il 34% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni da grande vorrebbe vivere in un altro Paese. La percentuale è ancora più alta per gli stranieri (38,4%). Da sottolineare che l’8% circa dei ragazzi stranieri da grande desidera vivere nel Paese di origine (suo o dei genitori), mentre oltre il 30% si vede in un Paese diverso dall’Italia e da quello di origine. Anche la quota di indecisi è leggermente più elevata per gli stranieri (23,7%) che per gli italiani (20,7%). La maggiore propensione alla mobilità dei ragazzi non italiani si spiega con il minore radicamento familiare e sociale in Italia; inoltre, chi ha vissuto una prima esperienza migratoria è più incline a intraprenderne altre.
Come per altre intenzioni, è possibile evidenziare importanti differenze di genere. Tra le ragazze, sia italiane sia straniere, la quota di coloro che vogliono vivere all’estero da grandi è più elevata di quella riscontrata per i loro coetanei maschi: rispettivamente il 37,9% per le italiane (contro il 30,7% dei maschi) e il 42,7% per le straniere (contro il 34,6% dei ragazzi).
La collettività che più di tutte vuole vivere in Italia è quella marocchina con una percentuale (45,1%) simile a quella degli italiani (45,6%) e al contempo superiore a quella del totale degli stranieri (37,9%). Pur nel quadro di un’ampia fetta di indecisi (47,5% a fronte di una media del 23,7%), i ragazzi cinesi mettono in evidenza una quota più contenuta di persone che da grandi desidera vivere in Italia (29%) e nel contempo un maggiore orientamento al voler vivere da grandi nel Paese di origine dei genitori (11,8%). Tra chi ha paura del futuro, la quota di chi vuole restare in Italia è più bassa rispetto al valore rilevato tra chi sente il fascino del futuro: 39,9% rispetto a 47,0%.
I più piccoli sembrano maggiormente propensi a restare in Italia: per gli 11-13enni la quota di chi pensa di vivere in Italia è del 51,4%, per i ragazzi tra 14 e 16 anni è del 41,8%, mentre per i 17-19enni è del 41,7%.
I ragazzi nel 2023 sognano ancora l’America. Il 32% di coloro che da grandi si vedono all’estero vorrebbe vivere negli Stati Uniti, seguiti, ma a lunga distanza, dalla Spagna (12,4%) e dalla Gran Bretagna (11,5%).