Decreto Aree Idonee, Greenpeace: “Ulteriori barriere, altro che facilitazioni!”.

Altro che corsie preferenziali per le rinnovabili, il decreto aree idonee si configura come un’ulteriore barriera per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e quindi non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica: a dirlo sono Greenpeace, Legambiente e WWF, secondo cui l’ultima versione del decreto, che si appresta ad essere approvata, complica ulteriormente il quadro normativo per le rinnovabili, senza fornire principi e criteri omogenei per la localizzazione degli impianti e la selezione delle cosiddette aree idonee.

Dopo che solo qualche settimana fa è stato approvato il decreto-legge Agricoltura, che limita drasticamente il fotovoltaico nei terreni agricoli, norma sconsiderata che non aiuterà a frenare i consumi di suolo ma sicuramente ritarderà il raggiungimento dei nostri obiettivi energetici, l’accordo sulle aree idonee amplia ulteriormente le restrizioni dando di fatto una nuova stretta alle zone su cui potranno essere installati gli 80 GW di nuove rinnovabili previsti nel decreto, necessarie al raggiungimento degli obiettivi.  

Il decreto doveva prevedere principi uniformi per la selezione di aree nelle quali le rinnovabili potessero essere autorizzare in modo più semplice e rapido. Al contrario, l’ultima versione del decreto, diffusa dopo l’esame in Conferenza Stato-Regioni, fondamentalmente lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie. Risultato: il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree, da effettuarsi con leggi regionali. L’esito di questo percorso saranno leggi regionali disomogenee, che complicheranno ulteriormente il quadro regolatorio per le rinnovabili, già messo a durissima prova.

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Oltre all’aberrazione di inserire all’interno del decreto per le fonti rinnovabili un espresso riferimento al principio della neutralità tecnologica, che molto spesso nasconde la volontà di virare verso tecnologie fossili e/o non rinnovabili, Greenpeace, Legambiente e WWF osservano come i principali punti problematici della nuova versione del decreto riguardino proprio il rapporto Stato-Regioni: emblematica l’eliminazione di qualsiasi riferimento al necessario aggiornamento degli atti di pianificazione energetica, ambientale e paesaggistica, così come la piena – e arbitraria – discrezionalità delle Regioni nell’estensione della fasce di rispetto, per le aree che presentano beni culturali, fino a 7 km.

Un problema non solo quantitativo, visto l’enorme patrimonio culturale, storico e naturale: gran parte del nostro territorio è già giustamente sottoposto a numerose limitazioni da parte dello Stato e delle soprintendenze, ma anche economico, con l’aumento nel costo dei terreni rimasti disponibili, e soprattutto normativo in quanto questa libertà porterà le Regioni in fase di individuazione delle aree ad adottare criteri diversi.  

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La nuova versione del decreto non riesce neppure a confermare in modo uniforme la qualifica di aree idonee per quelle aree espressamente indicate come tali dall’articolo 20, comma 8 del d.lgs. 199/2021, prevedendo sul punto solamente che le Regioni “tengono conto della possibilità di fare salve” tali aree.

Il punto di caduta definitivo è rappresentato, però, dall’eliminazione dell’articolo 10, che faceva salvi i procedimenti autorizzativi già avviati, specificando (precedentemente) che si sarebbero conclusi ai sensi della disciplina previgente. In altre parole, non avendo esplicitato questo punto, si rischia di dare validità retroattiva al provvedimento, ledendo diritti acquisiti e, soprattutto, rendendo l’Italia un Paese inaffidabile per gli investitori.

Alla luce di quanto osservato, per Greenpeace, Legambiente e WWF la nuova versione del decreto aree idonee rappresenta una delega in bianco alle Regioni per provvedere a rivedere le regole sulle rinnovabili anche in modo retroattivo. Così il Governo rinuncia a fare sistema e sceglie di non tutelare gli investimenti rinnovabili in Italia (più di 40 miliardi, destinati ad aumentare significativamente in vista degli obiettivi al 2030).

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Ultimo punto, ma non per importanza, lo spettro delle dilatazioni nei tempi burocratici. Il decreto prevede sì che il MASE abbia il compito di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi presentati nella tabella e, in caso di inadempienza, “adottare opportune iniziative ai fini dell’esercizio di poteri sostitutivi della costituzione’’ però, prima che possa effettivamente farlo, alle Regioni, tra una richiesta d’osservazioni e l’altra, verranno comunque dati circa 15 mesi di autonomia.  

Che la transizione energetica e la partecipazione della società civile non fossero una priorità del Governo era piuttosto chiaro anche dallo svolgimento dei lavori sul PNIEC, nei quali le associazioni ambientaliste non hanno mai ricevuto riscontro alle osservazioni presentate, e dal decreto-legge Agricoltura, in relazione al quale non tutti coloro che ne hanno fatto richiesta sono stati auditi. Tuttavia, complicare e di fatto rallentare ulteriormente il quadro autorizzativo per le rinnovabili, senza garantire forme di partecipazione minime nel processo di selezione delle aree, appare un ulteriore tentativo di fermare la transizione di cui Governo e Regioni dovranno rispondere.

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