Decadenza Todde: Consiglio Regionale: una storia di inerzia e malafede.

La vicenda della decadenza della presidente Alessandra Todde getta un’ulteriore ombra sull’operato del Consiglio regionale sardo, già noto per scarso servizio pubblico e decisioni controverse. Nonostante la Corte d’Appello di Cagliari abbia deliberato in merito alla decadenza della presidente nuorese, il rispetto del regolamento consiliare sembra ancora una volta destinato a restare un miraggio.

Secondo le prime indiscrezioni, la Giunta per le elezioni del Consiglio potrebbe impiegare almeno un anno per esprimere il proprio parere sulla decadenza. Eppure, l’articolo 17 comma 4 del regolamento consiliare parla chiaro: la Giunta dovrebbe riferire “entro novanta giorni dal momento in cui viene a conoscenza di cause di ineleggibilità o incompatibilità”. Ma i tempi dilatati lasciano intendere una precisa volontà di procrastinare la questione dalle parti di via Roma.

Un Consiglio prigioniero della paura. Il Consiglio regionale della XVII legislatura, dominato dalla maggioranza “dei migliori” del cosiddetto Campo Largo, sembra agire quindi più per paura della propria fine politica che per rispetto delle istituzioni o dei cittadini sardi, mettendo in pericolo la governance e la dignità (residua) dell’ente.

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Le dichiarazioni provenienti dalla Giunta regionale, poi, non fanno che aggravare il giudizio sulle massime cariche regionali che, tra accuse di complotti di palazzo e indignazioni di maniera, non celano la sostanziale inadeguatezza di una classe politica incapace di offrire soluzioni concrete. La vera angoscia per questi assessori e consiglieri? Il ritorno a una vita professionale comune o, peggio, al “freddo abbraccio” della disoccupazione.

Il rischio paralisi fino al 2026. Se il Consiglio decidesse di trascinare la questione Todde per un anno, si rischierebbe poi il congelamento dell’intera attività politica e amministrativa. Già ora l’operato della maggioranza appare inconsistente, ma un blocco prolungato potrebbe causare danni irreparabili, rendendo ogni atto firmato dalla presidente della Regione passibile di contestazioni e invalidazioni.

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I cittadini sardi meritano tutto questo? No. Eppure, il rischio è che il Consiglio regionale continui a ignorare i veri problemi dell’isola, dalla crisi sanitaria all’urgente riforma “Salva Casa”, adottata in altre regioni ma ignorata in Sardegna. E i cittadini e le imprese dell’Isola non possono accettarlo.

La sanità e il retaggio della mediocrità. Il settore sanitario è il simbolo di questa gestione fallimentare. La crisi dei medici di medicina generale, aggravata da anni di inerzia, affonda le sue radici in scelte sbagliate delle amministrazioni precedenti. Basti ricordare che con il Governo Pigliaru le graduatorie per l’assegnazione delle sedi in Sardegna rimasero bloccate per sei anni, costringendo giovani medici a emigrare o a ricollocarsi nel campo sanitario. Qualcuno lo ricordi ai “cervelloni di via Emilia” e ai pentastellati assenti in quella esperienza di Governo.

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Un’isola ostaggio dell’incompetenza. In conclusione, la Sardegna sembra condannata a subire le conseguenze di un Consiglio regionale più interessato alla propria sopravvivenza che al bene comune. Anche davanti a un dato oggettivo come la delibera della Corte d’Appello, il rispetto dello Stato di diritto appare una chimera per il legislatore sardo. Un vero e proprio paradosso difficile da accettare.

Come è difficile accettare una simile classe dirigente, di fatto capace di rappresentare un freno al progresso dell’isola. I sardi meritano di meglio: una politica che lavori per il bene collettivo, non per perpetuare i privilegi di una minoranza inetta.

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