Da Cagliari a Katmandu alla scoperta della moda sostenibile.

La mobilità internazionale culturale offre opportunità uniche di conoscenza e scoperta. Collaborando alla realizzazione di progetti di sviluppo che possono essere sia locali che internazionali, si entra in contatto con realtà normalmente molto difficili da raggiungere. Francesco Melis, cagliaritano, volontario dell’associazione TDM 2000, si trova attualmente in Nepal per prendere parte a uno di questi progetti. Gli abbiamo chiesto di parlarci della sua esperienza.

Ciao Francesco, perché sei in Nepal?

Ciao, sono in Nepal come partecipante del progetto Care What Youth Wear, un progetto di job shadowing (percorso di formazione che consiste nell’osservare di persona e da vicino determinati processi ndr.) all’interno del programma Erasmus+, che ha l’obiettivo di ricercare e mettere in luce buone pratiche nel campo dell’abbigliamento sostenibile che siano replicabili anche da altre parti del mondo.

Cosa ti ha spinto alla decisione di vivere questa esperienza?

Ho deciso di intraprendere questa esperienza perché, accanto alla condivisione delle finalità del progetto, sono sempre stato curioso riguardo le culture orientali e quando mi hanno proposto questa opportunità non me la sono lasciata sfuggire. 

Come trascorri lì le tue giornate?

Qui in Nepal sono abbastanza rilassati. All’ostello dell’associazione che mi ospita ,”Volunteer Initiative Nepal”, danno la colazione verso le 9.  Alle 11 un membro dell’associazione mi porta a visitare negozi, fabbriche e realtà produttive inerenti al progetto. Nel resto della giornata sono libero di girare la città per conto mio. In una settimana ho già visitato diversi luoghi di culto, monumenti e parchi.

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Qual è la differenza principale, se esiste, tra l’essere un volontario in Nepal e l’esserlo in occidente?

Penso che la differenza principale sia nel livello di organizzazione. Qui le cose non sembrano essere pianificate per tempo e ti senti un po’ mandato allo sbaraglio. Ho parlato con altri volontari qui nell’ostello e hanno avuto la stessa sensazione anche se, alla fine, l’associazione trova sempre il modo di far funzionare tutto.

Quali sono gli aspetti della vita locale che ti hanno maggiormente colpito?

Ci sarebbero tantissime cose da dire, come la quantità impressionante di negozi al piano terra di tutte le case in tutte le strade, o la moltitudine di cani randagi che vengono accuditi da tutti gli abitanti, ma la prima cosa che mi ha colpito appena sono sceso dall’aereo è la frenesia del traffico. In ogni momento della giornata tutte le strade sono occupate da macchine, moto e scooter che vanno per la loro strada a pochi centimetri l’una dall’altra. La cosa più strana è che, nonostante questo, non abbia visto nessun incidente. Poi non ci sono semafori, per attraversare la strada devi sempre guardare da tutte le parti.

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Nella vita quotidiana mi ha inoltre colpito quanto i nepalesi siano rilassati, non sentono la frenesia o la fretta della maggior parte di noi occidentali nell’ottenere dei risultati da quello che fanno, anche quando vedi operai e muratori lavorare, non ti sembra che abbiano urgenza di finire o che siano infelici del loro lavoro.

Il Nepal è la culla della cultura induista. Quando resta di quel retaggio?

In città ci sono ovunque altari dedicati alle varie divinità induiste, principalmente Kali e Ganesha. Ho notato anche che c’è una grossa parte della popolazione che pratica attivamente l’induismo e ogni giorno si tengono rituali nei templi come l’Aarati nel Pashupatinath per venerare Kali. Un’altra tradizione ancora viva al giorno d’oggi è quella della Kumari. Ognuno dei tre distretti di Katmandu ha una sua Kumari, una bambina che viene eletta come incarnazione della divinità, che non deve avere nessun graffio o cicatrice e che viene accudita e riverita fino a che non arriva il tempo di eleggerne una nuova.

Inoltre il Nepal è anche molto legato alla tradizione buddista. Ho visitato alcuni posti come Swayambhunath (Tempio delle scimmie) e Boudhanath Stupa, in cui ho potuto notare quanto le persone rispettino i monaci e tutto ciò che è collegato al buddismo. Una cosa curiosa che ho notato durante la visita al Swayambhunath è stata vedere i monaci pregare leggendo i testi dagli smartphone.

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Cosa rende questa tua esperienza differente da un viaggio come tutti gli altri?

Essendo venuto qui per un progetto, ho avuto la possibilità di parlare con molte persone locali riguardo argomenti come l’abbigliamento e la manifattura dei vestiti e visitare piccole fabbriche e organizzazioni umanitarie della zona, cosa che in un normale viaggio non credo che avrei fatto. Poi, grazie al fatto di aver incontrato altri volontari che erano qui da prima di me, ho avuto la possibilità di visitare locali e ristoranti un po’ nascosti che mi hanno riservato belle sorprese.

Nel tornare a casa cosa porterai con te di questa esperienza? 

Grazie al progetto sto imparando diverse cose che mi aiuteranno a fare scelte più consapevoli quando compro nuovi vestiti, come controllare i materiali e come sono stati realizzati i vari capi. Cercherò inoltre di capire come fanno a essere sempre così rilassati e cordiali per esserlo anche io una volta tornato a casa.