Crimini di guerra e Corte penale internazionale: ambiguità USA?

In un contesto informativo sempre più ciarliero e funzionale alla polarizzazione dell’opinione pubblica verso l’azione degli attori coinvolti nell’attuale crisi geopolitica, l’informazione critica e di pubblico servizio è stata, come spesso capita, la prima vittima del conflitto in Ucraina. A rimarcare questa affermazione la non pervenuta stigmatizzazione da parte della cosiddetta comunità internazionale, verso i tanti crimini di guerra ancora impuniti nei diversi scenari internazionali, quali la Serbia, la Libia, la Siria, lo Yemen, dove, per esempio, è forte è la partecipazione della Gran Bretagna nonostante la presenza di sanzioni contro funzionari sauditi implicati nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Sul tema dei crimini di guerra, qualche settimana fa il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva appellato Vladimir Putin come “criminale di guerra”, auspicando l’apertura di un’indagine internazionale sui crimini commessi in Ucraina. Una richiesta ambigua alla luce del fatto che la Corte penale internazionale, che dovrebbe giudicare tali crimini, nel suo statuto stabilisce i crimini sui quali ha giurisdizione, ovvero nei territori e verso i cittadini dei Paesi che hanno aderito allo Statuto di Roma, tra i quali gli Stati Uniti d’America risultano essere tra i Paesi che hanno firmato ma hanno poi ritirato la firma dallo statuto, mentre per l’Ucraina risulta sì la firma ma non la rattifica del trattato. Un problema di opportunità, quanto di coerenza verso la persecuzione sostanziale dei cosiddetti crimini di guerra sui quali gli acritici media nazionali e internazionali hanno scritto o parlato poco, puntando maggiormente sul bombardamento di notizie – con il massimo rispetto per le vittime – “emozionali”, piuttosto che di pubblico servizio.

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Interessante anche l’assenza di alcun richiamo verso la completezza dell’informazione da parte dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti o di qualsiasi altro sodalizio o Think Thank nazionale: devono forse essere questioni di lana caprina!

Meglio, indubbiamente, caricare la quotidiana routine informativa con informazioni mirate a sostenere un orientamento interventista dell’opinione pubblica contro la Russia o, peggio, l’assuefazione alla violenza e alle drammatiche notizie provenienti dal conflitto ucraino. Ma in questo i media occidentali, va sottolineato, agiscono alla stessa stregua dei media russi, cinesi e del relativo blocco orientale, con l’obiettivo finale di produrre una opinione pubblica ballerina e poco consapevole.

Ma tornando alla persecuzione dei crimini di guerra, può ritenersi coerente e sostanziale la richiesta degli Stati Uniti e dell’Ucraina, alla luce della non adesione allo Statuto di Roma? Come possono i principali attori internazionali coinvolti nel conflitto russo-ucraino chiedere l’intervento della Corte Penale Internazionale non aderendovi? Perchè gli Stati Uniti hanno prima firmato e poi ritirato la propria firma sul trattato su cui si fonda la Corte Penale Internazionale? Possono ritenersi gli USA sostenitori della Corte Penale Internazionale, alla luce dell’approvazione della legge del Congresso americano del 2002 che autorizzava il presidente degli Stati Uniti a utilizzare “tutti i mezzi necessari” per liberare ogni cittadino americano che fosse stato detenuto su richiesta della Corte penale internazionale?

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Chi dovrebbe giudicare i cimini di guerra commessi dalla Russia in Ucraina? L’Ucraina?, La Russia? Gli Stati Uniti?

Nell’attesa che la politica faccia i suoi passi per chiarire questo importante aspetto per dare giustizia alle vittime, si spera che almeno il mondo dell’informazione decida di operare come tale, sollevando questioni più nel merito del conflitto in corso, piuttosto di inseguire il dogma dell’infotainment e della narrazione della “guerra da salotto”.

foto Army Spc. Katelyn Strange