Crescita e giovani, SVIMEZ: “Mancano entrambi in Sardegna”.

Come può un’Isola mal governata e dove il concetto di sinergia con le migliori forze della società civile non è sostanzilamente preso in considerazione dai “provinciali” della classe dirigente regionale, puntare sui giovani e fermare lo spopolamento, ovvero uno dei fenomeni demografici più costosi per la coesione sociale?

Potranno essere realmente utili le risorse del Pnrr in una regione popolata da un sempre più crescente numero di analfabeti funzionali e dove mancano qualificate risorse umane negli enti locali?

Non è dato saperlo, ma nell’ultimo rapporto SVIMEZ, presentato ieri alla Fondazione di Sardegna, il margine per sperare in un futuro positivo per la Sardegna è molto risicato.

La crescita cumulata 2021-22 dell’Isola, secondo il lavoro di ricerca, si è fermata al 10,6%, ovvero sotto le percentuali medie delle regioni del Centro e del Nord Italia. Il contributo dell’industria, in particolare, è stato limitato, con uno scarno 6,3% rispetto a una media nazionale del 21,3%. Ad aggravare il quadro anche l’’impatto inflazione prodotto dalla crisi geopolitica in Ucraina che, di fatto, ha divorato il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione sarda, circa 3,4 punti del reddito disponibile, con una perdita maggiore rispetto alle altre regioni del Sud (–2,9 punti dato medio) e del Centro-Nord (–1,2%).

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Nei primi due trimestri 2021 e 2023, ancora, la ripresa dell’occupazione è stata timida, con +16 mila occupati rispetto al 2021 (+2,9%) e una perdita netta di 4 mila posti di lavoro nel settore del turismoIl settore turistico, contrariamente a quanto sostenuto dalla ridondante narrazione autocelebrativa della Giunta Solinas (arrivata pure a sostenere un improbabile calo dei Neet in Sadegna), stenta a tornare ai livelli pre-Covid, con un numero di presenze turistiche nel 2022 di 3 punti inferiore al picco registrato nel 2019 (15,1 mln di turisti). 

Verrebbe da chiedersi come potrebbe svilupparsi un settore di questo tipo nell’isola in presenza di una infinita lista di divieti, sprezzo per la classe imprenditoriale da parte delle istituzioni e, soprattutto, una crescente “egoismo sociale” da parte dei residenti nelle principali aree dei centri urbani dell’Isola.

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Non dovrebbe sorprendere, inoltre, che in una isola del “sole, del mare e della purpuzza”, in circa 19 anni, dal 2002 al 2021, si sono persi 159mila sardi/e, per un passivo, netto dei rientri, di circa 81 mila residenti. Fenomeni centrifughi che hanno interessato maggiormente (chi lo avrebbe mai detto) i/le giovani sardi/e, ricordiamolo, la futura forza lavoro dell’isola. Tra il 2002 e il 2021, infatti, l’isola ha perso 34.745 under 35, dei quali 1 su 3 laureato. I giovani sono il futuro per il l’Isola… ejia “di ghisa” per usare una espressione identitaria tanto cara al partito al governo della regione dal 2019.

Dinamiche capaci di suggerire un drastico calo della popolazione residente nell’Isola, secondo il rapporto SVIMEZ, che stima nel 2080 una perdita di circa la metà degli attuali residenti in Sardegna. Dagli attuali 1,5 milioni (qualcuno/a dovrebbe rivedere il proprio speech pubblico prima di parlare di peso della Sardegna in Italia) si dovrebbe passare a circa 851 mila residenti, dei quali due terzi non inclusi nella cosiddetta fascia della forza lavoro, ovvero under15 e over64. In pratica lavorerà un solo occupato per due residenti in età non attiva.

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