COVID-19: l’esito dell’infezione si decide nei primi 10-15 giorni dal contagio.
Uno studio condotto dall’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità ha messo insieme il ‘puzzle’ delle manifestazioni cliniche del virus, dalle forme asintomatiche alla morte. Secondo la ricerca ‘The first, comprehensive immunological model of COVID-19: implications for prevention, diagnosis, and public health measures’ l’esito dell’infezione da COVID19 si potrebbe definire già nei primi 10-15 giorni dal contagio e questo può dipendere dall’esposizione virale, dalla debolezza immunitaria o da uno sforzo fisico intenso nei giorni dell’incubazione.
Il modello scientifico elaborato dai tre ricercatori italiani, Paolo Maria Matricardi, Roberto Walter Dal Negro e Roberto Nisini l’esito dell’infezione si decide nelle prime 2 settimane dal contagio e dipende dal bilancio tra la dose cumulativa di esposizione virale e l’efficacia della risposta immunitaria innata locale. Le componenti attive sono gli anticorpi IgA e IgM naturali (che si trovano nella saliva e nelle secrezioni delle mucose delle vie aeree superiori).
Per i tre ricercatori italiani il virus può superare questo primo round se l’immunità innata è debole, (condizione che si realizza in molti anziani e nei soggetti privi di anticorpi per difetti genetici) se l’esposizione cumulativa al virus è enorme (come nel caso di medici e operatori sanitari) e se si compie un esercizio fisico intenso e/o prolungato proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l’esordio della malattia, facilitando così la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l’impatto sulle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi neutralizzanti.
Se il virus supera il blocco della immunità innata e si diffonde dalle vie aeree superiori agli alveoli già nelle prime fasi dell’infezione, allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni.
La successiva risposta immunitaria adattativa è ritardata, intensa con anticorpi IgA, IgM e IgG ad alta affinità, ma non necessariamente diretta verso gli antigeni neutralizzanti e, incontrando grandi quantità di virus nel frattempo già replicato in moltissime copie, provoca grave infiammazione e innesca cascate di mediatori (complemento, coagulazione e tempesta di citochine) che portano a complicazioni che spesso richiedono terapia intensiva e, in alcuni pazienti, causano il decesso.
“Il modello – fanno sapere dall’Istituto Superiore di Sanità – è di per sé un importante passo avanti nella lotta al virus, perché mette insieme tutte le tessere di un enorme puzzle e offre ai medici, ai ricercatori, agli amministratori il primo “navigatore” per meglio orientarsi nella prevenzione, diagnosi, sorveglianza e provvedimenti di salute pubblica”.