Cnr: il particolato atmosferico non favorisce la diffusione in aria del Covid-19.

Un recente studio, condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia, ha dimostrato che il particolato atmosferico, ovvero l’insieme di sostanze solide o liquide sospese nell’aria, e il Covid-19 non interagiscono tra loro. In altre parole, secondo l’indagine, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research, è stata condotta nel corso dei mesi invernali del 2020, analizzando i dati degli ambienti outdoor delle città di Milano e Bergamo, tra i focolai di Covid-19 più rilevanti nel Nord Italia.

“I risultati in aree pubbliche all’aperto mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria”, per Daniele Contini ricercatore del Cnr. “Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione (circa 140.000 persone per Milano e 12.000 per Bergamo), quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale. Si deve però tenere conto che una singola particella virale può non essere sufficiente a trasmettere il contagio e che il tempo medio necessario a inspirare il materiale virale è tipicamente tra 10 e 100 volte più lungo di quello relativo alla singola particella, quindi variabile tra decine di giorni e alcuni mesi di esposizione outdoor continuativa. La maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare dunque essenzialmente trascurabile”.

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“Per avere una probabilità media del 50% di individuare il SARS-CoV-2 nei campioni giornalieri di PM10 a Milano – ovvero materiale particolato con dimensione inferiore o uguale a 10 micrometri – sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 nella città di Bergamo (5,2% della popolazione)”, sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia.

“Pertanto, allo stato attuale delle ricerche, l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche”.

Conclusioni condivise da Franco Belosi del Cnr-Isac di Bologna: “La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno”. È possibile – ha concluso il ricercatore del Cnr – che le particelle virali possano formare un cluster con nanoparticelle molto più piccole del virus ma questo non cambia in maniera significativa la massa delle particelle virali o il loro tempo di permanenza in atmosfera. Pertanto, il particolato atmosferico, in outdoor, non sembra agire come veicolo del coronavirus”.

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