Classificazione delle varianti, una nuova metodologia dal Cnr.
Un team dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibiom) di Bari, dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e dell’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma bioinformatica messa a disposizione dal nodo italiano dell’infrastruttura di ricerca europea Elixir per le scienze della vita, ha effettuato uno studio comparativo su oltre 180.000 genomi del virus Covid-19 sequenziati in tutto il mondo.
I ricercatori, basandosi sulle caratteristiche dei genomi, hanno proposto un nuovo metodo per la tipizzazione di quelli genomi virali innovativo ed efficace, sia per monitorare l’attuale distribuzione spazio-temporale del virus che per la predizione della sua diffusione.
“Gli autori hanno identificato, a diversi intervalli di tempo durante il corso della pandemia, un insieme di mutazioni nel genoma virale ad elevata prevalenza e che rimangono stabili – spiega il coordinatore Graziano Pesole – Secondo il metodo proposto, i nuovi tipi di Covid-19 vengono cioè identificati sulla base della contemporanea presenza, in uno stesso tipo di sequenza genomica, di due o più mutazioni caratteristiche e prevalenti, il concetto che prende il nome di “aplotipo. Per estensione i diversi tipi di genomi virali sono stati definiti “aplogruppi”.
“Le analisi comparative dei genomi virali – isolati in Cina tra il 26 dicembre 2019, quando il virus è apparso per la prima volta, e il 20 gennaio 2020 – hanno dimostrato che il tasso di mutazione del virus è leggermente inferiore ad altri virus della stessa famiglia e ha identificato le varianti genetiche di diversi sottotipi, ciascuno dei quali associato a una certa prevalenza geografica. Analisi più aggiornate, basate su oltre 800.000 genomi disponibili, suggeriscono che attualmente siano in circolazione in tutto il mondo almeno 119 aplogruppi. Lo studio ha consentito inoltre di confermare l’ipotesi che la diffusione del virus sia da pre-datare tra settembre e novembre 2019”.
Gli autori sottolineano, ancora, che queste osservazioni sono basate esclusivamente sull’analisi comparata dei genomi virali e non sono associate a dati epidemiologici o clinici. “Tenuto conto di ciò, è bene precisare che il confronto dei sottotipi virali prevalenti in diverse regioni del mondo ed emersi in tempi diversi suggerisce che la gran parte della diversità genetica osservata in SARS-CoV-2, oltre 72.000 mutazioni rispetto al genoma virale di riferimento, non dovrebbe essere associata a particolari cambiamenti delle dinamiche del contagio o della sensibilità ai vaccini”, ha ricordato Graziano Pesole.
Lo studio suggerisce infine che un numero molto limitato di varianti del genoma virale, anche emerse recentemente, potrebbero essere il risultato di un’evoluzione adattativa. Al momento attuale non è possibile escludere che queste varianti siano associate a forme più “efficienti” del virus: “Date le nostre attuali e limitate conoscenze su SARS-CoV-2, che continuerà a evolvere e mutare il proprio genoma, appare necessario avviare una campagna di sequenziamento genomico ripetuta nel tempo di un campione significativo, come già accade in UK, Danimarca e Australia, condividendone i dati secondo i principi Open Science supportati dal portale www.covid19dataportal.it, recentemente allestito dal progetto ELIXIR Italia. Il monitoraggio e l’identificazione di nuovi sottotipi virali in diverse aree geografiche è una fonte cruciale per contrastare la diffusione della pandemia”, conclude Pesole.