‘Arcipelaghi’: Cada Die porta il teatro in carcere.
Nonostante le limitazioni alla mobilità delle persone e al blocco delle attività dello spettacolo decise dall’Esecutivo Conte, grazie al progetto “Arcipelaghi: isole differenti in uno stesso mare”, il teatro non si ferma ma, bensì, entra in uno dei luoghi più inaccessibili della nostra società: il carcere.
Un progetto reso possibile dall’enorme sforzo organizzativo della Colonia penale di Isili e della Casa circondariale di Uta, dove Pierpaolo Piludu e Alessandro Mascia, diretti dal regista Alessandro Lay del Cada Die Teatro, portano in scena, attraverso una diretta streaming per i detenuti di Isili (10 dicembre) e di Uta (18 dicembre) “Arcipelaghi” tratto dal libro della scrittrice e saggista nuorese, Maria Giacobbe.
Una scelta che per Pierpaolo Piludu rappresenta “una riflessione profonda sia sui temi della violenza, della vendetta e della pena, che sulle debolezze e difficoltà che possono spingere qualsiasi essere umano a compiere azioni delittuose. È un invito a metterci nei panni di tutti i protagonisti della storia facendoci riflettere sul dolore che ogni nostro comportamento può determinare in altri esseri umani”.
“Lo spettacolo – per Alessandro Lay – racconta non una ma più vicende, non espone una verità ma, come fossero vere e proprie isole che man mano affiorano, porta a galla le diverse visioni di ognuno dei personaggi, fino a formare appunto un “arcipelago” di verità in cui decidere cos’é giusto e cosa no resta un compito del lettore o, nel nostro caso, dello spettatore”.
Rincuoranti, rispetto alla condizione dei detenuti, le parole del Direttore dei due istituti, Marco Porcu: “Così come nel teatro, anche noi operatori che lavoriamo negli istituti di pena, seguiamo un copione fatto di leggi che ci indicano la strada da seguire. A partire dalla nostra Costituzione che stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ci impegniamo a offrire una nuova possibilità a chiunque, anche a chi ha rotto il patto con la società. Il teatro, ma l’arte in generale, è un ottimo strumento per avviare processi di riflessione per i detenuti”.
Con entusiasmo per il progetto gli fa eco Giuseppina Pani, Capo Area Educativa e responsabile dei funzionari giuridico-pedagogici della Casa circondariale di Uta: “Permettere ai detenuti di partecipare a queste esperienze significa non solo, attraverso il teatro, metterli nelle condizioni di immedesimarsi nei panni di altri, in questo caso dei protagonisti della storia di Arcipelaghi, ma anche fare in modo che si aprano agli altri mettendosi in gioco. Il nostro compito è quello di creare occasioni affinché possano riflettere, anche sulle proprie esistenze, possano vincere paure e abbattere barriere, per far sì che possano dare il meglio di loro, anche quando loro stessi non sono convinti di avere da dare qualcosa agli altri”.