Antibiotici: consumi in aumento. AIFA: “Uso improprio contro virus”.

I numeri dell’ultimo Rapporto dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, sul consumo degli antibiotici nel 2023 mostrano come ci sia ancora molto da fare per combattere la pandemia silente dei batteri sempre più resistenti alle terapie farmacologiche. Il Rapporto, in un’ottica One Health e come previsto dal Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza, fornisce, oltre ad un’analisi dettagliata dei consumi di antibiotici in ambito umano, anche un confronto con i consumi in ambito veterinario e delle analisi di correlazione tra i consumi di antibiotici e le resistenze.

Nel 2023, spiegano dall’AIFA, il consumo complessivo di antibiotici per uso sistemico, pubblico e privato, è stato pari a 22,4 dosi medie giornaliere ogni mille abitanti, con un aumento del 5,4% rispetto al 2022 e una variazione ancor più elevata se si considerano solo gli antibiotici dispensati a livello territoriale (+6,3%). Un andamento in controtendenza rispetto al decremento dei consumi in assistenza convenzionata del 14,4% osservato nel periodo 2013-19, al -23,6% nel biennio 2019-20 e al calo del 4% nel 2021. Anche il consumo di antibiotici per uso non sistemico, ossia locale, che è stato pari a 28 dosi medie giornaliere ogni mille abitanti, ha registrato un aumento del 4,3% rispetto al 2022.

Se a livello quantitativo si registra una inversione di tendenza negativa le cose non vanno meglio sul piano qualitativo, perché contemporaneamente all’incremento dei consumi si rileva un aumento delle prescrizioni delle molecole ad ampio spettro rispetto a quelle a spettro più ristretto, nonostante siano a più alto rischio di generare resistenze microbiche. Con il 54,4% delle prescrizioni riguardante gli antibiotici appartenenti al gruppo “Access”, ossia quelli che dovrebbero essere utilizzati come trattamento di prima o seconda scelta per le infezioni più frequenti per un minor rischio di generare resistenze, l’Italia si colloca infatti ancora ben al di sotto dell’obiettivo del 65% fissato dalla raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea (UE) del 26 aprile 2023. Pur rappresentando una parte minoritaria dei consumi, particolare attenzione è riservata al monitoraggio di quelli in ambito ospedaliero, dove sono in aumento le infezioni correlate all’assistenza sanitaria causate da germi multiresistenti e dove le dosi somministrate ogni 100 giornate di degenza sono state 84, in aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente. Un incremento che si inserisce nell’ambito di un trend comunque negativo, che nel periodo 2019-23 registra un aumento dei consumi a livello nazionale dell’8,8%, in controtendenza rispetto all’obiettivo di una riduzione del 5% nel 2025 sul 2022 indicata dal Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza.

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Anche nel 2023 si conferma una forte variabilità regionale, caratterizzata da consumi più elevati al Sud, con 18,9 dosi medie giornaliere ogni mille abitanti acquistate in farmacia in regime di assistenza pubblica, contro le 12,4 del Nord e le 16,4 del Centro. Un andamento disomogeneo dei consumi a livello territoriale, che può essere letto anche come un indice di inappropriatezza prescrittiva, che va però contestualizzato rispetto ai diversi sistemi sanitari regionali, perché la prescrizione a scopo cautelativo degli antibiotici da parte dei medici può trovare una spiegazione anche nelle difficoltà, soprattutto a Sud, di accedere in tempi rapidi alle prestazioni di diagnostica senza le quali è difficile escludere complicanze che richiedano l’uso di questi farmaci.

Stesso discorso per la variazione stagionale dei consumi, nel periodo ottobre-marzo rispetto al periodo aprile-settembre, che è tornata a livelli alti nel biennio 2022-23, con un consumo più alto del 40% nei mesi freddi, mentre nel biennio 2023-2024 ha registrato una nuova riduzione passando a un più 25%. Picchi che fanno presupporre un uso improprio contro sindromi influenzali e parainfluenzali. Ciò è anche confermato dall’analisi contestuale dell’andamento dei consumi di antibiotici e dell’incidenza di sindromi influenzali.

Dal 2022 al 2023 la percentuale di bambini e ragazzi fino a 13 anni che hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici per uso sistemico passa dal 33,7 al 40,9%, percentuale che è del 48% tra gli over 65, con un aumento dell’1,5% rispetto al 2022. In ambito pediatrico i dati mostrano una preferenza per molecole ad ampio spettro nelle Regioni del Centro e del Sud rispetto a quelle del Nord, indice di un problema di inappropriatezza prescrittiva che richiede interventi mirati.

Nel confronto europeo il consumo complessivo di antibiotici a livello territoriale colloca l’Italia al settimo posto tra i Paesi con i maggiori consumi, con livelli superiori alla media europea di oltre il 15%. Stesso discorso per i consumi in ambito ospedaliero, dove l’Italia occupa la sesta posizione in ambito Ue. Le differenze non sono solo relative all’ammontare di antibiotici consumati, ma anche all’appropriatezza prescrittiva: il nostro Paese presenta, infatti, un rapporto del consumo di molecole ad ampio spettro rispetto a quello di molecole a spettro più ristretto molto più elevato rispetto alla media europea (13,6% contro il 5,5%) e in ambito ospedaliero una percentuale più alta del consumo di antibiotici ad ampio spettro o di ultima linea sul totale del consumo in questo setting assistenziale (52,5% contro il 40,15%).

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Dopo una flessione nei consumi e nelle resistenze batteriche nei primi due anni della pandemia, entrambi i valori hanno ripreso a crescere. Così l’Escherichia coli, che genera forme anche sanguinolente di diarrea, è passato da una percentuale di resistenza alle cefalosporine di terza generazione del 23,8% nel 2021 al 26,7% del 2023. Dando seguito alle raccomandazioni EMA circa un uso più limitato dei fluorochinoloni, classe di antibiotici soggetti a resistenza batterica e ad effetti collaterali di una certa entità, i consumi sono scesi dai 70 milioni di dosi del 2018 ai circa 24 del 2023, mentre la resistenza batterica dell’Escherichia coli da circa il 40% è scesa al 34,1%. Sempre alta invece la resistenza alle cefalosporine di terza generazione della Klebsiella pneumonie, che infetta le vie urinarie con una mortalità che arriva alla metà dei casi. La percentuale di casi resistenti è infatti in leggera salita dal 52,7 al 55,2% dal 2018 al 2023. Per il medesimo batterio è stabile negli ultimi tre anni al 50% la resistenza ai fluorochinoloni. Dal 2018 al 2023 è invece risalita dal 20,3 al 26,2% la resistenza ai macrolidi dello streptococco pneumonie, che causa polmoniti, sepsi e meningite.

Nisticò Presidente AIFA: “L’antibiotico-resistenza costa 2,4 miliardi di euro al nostro SSN”

“L’antibiotico-resistenza è una pandemia silente, che secondo le ultime stime dell’ECDC non solo provoca 12mila morti l’anno nel nostro Paese, ma genera anche danni economici, che solo sul nostro SSN, secondo le stime della stessa Agenzia europea, impatta per 2,4 miliardi di costo annuo, con 2,7 milioni di posti letto occupati a causa di queste infezioni”, afferma il Presidente di AIFA, Robert Nisticò. “Per questo dinanzi a questa emergenza – prosegue – è necessario un approccio globale, che da un lato promuova un uso consapevole degli antibiotici, anche in ambito veterinario e che dall’altro rafforzi l’azione di prevenzione soprattutto in ambito ospedaliero, dove i batteri resistenti agli antibiotici sono ampiamente più diffusi”. “Questo – conclude Nisticò – senza trascurare, attraverso incentivi e semplificazioni sul piano regolatorio, la ricerca di nuovi farmaci antimicrobici capaci di aggirare le attuali resistenze”.

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Ma ad alimentare il fenomeno delle antibiotico-resistenze c’è anche l’uso non sempre appropriato dei medicinali anti-acidi. “L’Italia è il primo Paese europeo nella classifica dei consumi degli inibitori della pompa protonica, utilizzati soprattutto contro il reflusso esofageo. Medicinali – spiega il Direttore tecnico-scientifico di AIFA, Pierluigi Russo – che se utilizzati in eccesso possono alterare la flora microbica intestinale, favorendo la selezione di germi multiresistenti, come il clostridium difficile. Per questo occorre contrastare l’uso fai da te o comunque inappropriato di questa categoria di farmaci, che oltre ad altri effetti collaterali aggrava il problema dell’antimicrobico-resistenza, che rappresenta oggi una grande emergenza di sanità pubblica”.

“Come ci ricorda l’Organizzazione mondiale della Sanità una delle strategie da utilizzare nel contrasto all’antibiotico-resistenza sono le vaccinazioni. Vaccinandoci– spiega a sua volta Massimo Andreoni, Direttore scientifico della Simit (Società italiana Malattie Infettive e Tropicali) – non andiamo incontro alle infezioni respiratorie, per le quali altrimenti si ricorre agli antibiotici, spesso in maniera erronea perché nella maggior parte dei casi sono infezioni virali”. “Uno studio pubblicato anni fa su Lancet ma sempre attuale – continua Andreoni – stima che solo la copertura universale con il vaccino antipneumococcico coniugato potrebbe prevenire 11,4 milioni di giornate di terapia antibiotica all’anno nei bambini con meno di 5 anni. Una riduzione pari al 47% di antibiotici utilizzati per trattare le polmoniti da streptococco pneumoniae. E stesso discorso vale per la vaccinazione contro il rotarivirus o il virus respiratorio sinciziale. Vaccinarci – conclude Andreoni – ci permette quindi di non prendere in maniera erronea gli antibiotici e di creare all’interno del nostro organismo microrganismi che sono antibiotico-resistenti e che quindi determineranno grandi problemi, se andremo incontro a queste infezioni”.