Allo Spazio Bunker la proiezione del documentario sul ‘Caso Moro’.
Tra i grandi misteri italiani, il caso Moro è da più di quarant’anni uno dei più controversi e dibattuti. Secondo diverse tesi, dietro la morte del leader della DC ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 ci sarebbero la regia e il coinvolgimento diretto dei servizi segreti americani, del Mossad, del Kgb, decisi a contrastare il compromesso storico tra democristiani e comunisti.
Ripercorre la tesi del complotto orchestrato dagli Usa e dalla Nato il documentario “Com’è nato un golpe – Il caso moro” di Tommaso Cavallini, che l’associazione culturale Meridiano Zero propone in visione gratuita giovedì 2 dicembre alle 20.30 nello Spazio Bunker di via Porcellana 17/A a Sassari.
Il documentario, che sarà presentato da Cristian Premuselli, ripercorre le ultime fasi della vita politica del Presidente della Democrazia Cristiana, dal viaggio negli States del 1974 fino al rapimento, alla prigionia e all’uccisione del 9 maggio 1978. Una narrazione condotta dal senatore Sergio Flamigni, dall’ex magistrato Carlo Palermo, da giornalisti e autori come Marcello Altamura, Rita Di Giovacchino e Carlo D’Adamo, che si contrappone al “Memoriale Morucci”: portando una nuova analisi balistica, un filmato inedito che svela la targa di un’auto presente in via Fani e di cui le indagini non hanno mai tenuto conto e la fonte “Beirut2”, intervistata da Carlo Palermo, che riferisce di una foto scattata a Moro in un cortile durante la prigionia.
Secondo la ricostruzione del film, l’agguato di via Fani, sarebbe “una guerra non convenzionale che vede anche la presenza di un berretto verde statunitense. Un vero golpe orchestrato dagli Usa e dalla NATO, con l’aiuto di apparati occulti e i servizi segreti dei maggiori Paesi Europei, per dare un colpo mortale alla democrazia e alla Costituzione italiana. La sequela di false informazioni fatte circolare dai brigatisti – con la regia del Sisde e settori della destra Dc – e i nuovi dati acquisiti, dimostrano che Moro durante i 55 giorni del sequestro non è mai stato custodito dai brigatisti e che vi sono state più prigioni in cui è stato detenuto“.