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Allevamenti intensivi, Greenpeace: “Sistema insostenibile”.

Un anno dopo la presentazione della proposta di legge per andare oltre gli allevamenti intensivi, ci sono ancora più motivi per introdurre un nuovo sistema. A iniziare dalla salute umana: è di pochi giorni fa la lettera di un gruppo di scienziati alla rivista Science, nella quale si esprime forte preoccupazione per il rischio di una nuova pandemia di influenza aviaria. Dopo avere compiuto il salto di specie nei mammiferi, il virus ha già causato infezioni soprattutto tra i lavoratori degli allevamenti di bovini negli Stati Uniti. Insieme all’antibiotico-resistenza, questa rappresenta oggi una delle principali preoccupazioni per la salute pubblica, strettamente legata al modello degli allevamenti intensivi. Ma non è l’unico problema: gli allevamenti intensivi sono anche la seconda causa in Italia di formazione di polveri fini (PM2,5), che ogni anno causano circa 50.000 morti premature solo nel nostro Paese.

Numeri allarmanti che faticano a trovare uno spazio nelle decisioni politiche, tanto in Italia come in Europa. Lo dimostra il documento sulla visione dell’agricoltura e l’alimentazione presentato dalla Commissione europea il 19 febbraio scorso, insufficiente ad avviare la giusta transizione nei modelli di produzione e consumo nelle filiere agroalimentari.

Proprio per aprire uno spazio di cambiamento e di confronto, cinque associazioni (Greenpeace Italia, ISDE, Lipu, Terra! e WWF Italia) hanno promosso la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, ad oggi sostenuta da 23 parlamentari di cinque diverse forze politiche, da decine di associazioni e comitati, e sulla quale decine di Comuni si stanno attivando attraverso una mozione consiliare. Un interesse al momento non condiviso dalla Commissione Agricoltura della Camera, dove il primo anniversario della proposta di legge trova il testo fermo e silenzioso.

Eppure, l’interesse collettivo sull’argomento è ampio, non solo per gli impatti del settore zootecnico su salute e territorio, ma anche per quelli sulle aziende stesse. Dal 2010 al 2020, infatti, il numero di aziende agricole è diminuito di ben 487.000 unità (da 1.620.884 a 1.133.023), e sono principalmente quelle di piccola dimensione a essere spinte fuori mercato. Il modello agroecologico, invece, alla base della proposta di legge, metterebbe al centro delle politiche e degli investimenti pubblici proprio le piccole aziende che ora faticano a rimanere aperte, utilizzando i fondi pubblici che attualmente vengono assorbiti in gran parte dalle più grandi.

La proposta di legge prevede, infatti, un apposito fondo per la transizione agroecologica del settore, da normare attraverso un tavolo di confronto che porti alla scrittura condivisa di un Piano Nazionale. A un anno dalla presentazione della proposta, le cinque associazioni promotrici chiedono alla Commissione Agricoltura di avviare l’iter legislativo e alle forze politiche in Parlamento, così come alle istituzioni locali, di prendere una posizione chiara per un cambiamento non più rimandabile. Possiamo farlo in modo condiviso e graduale, ma è necessario iniziare subito.

Foto di RitaE da Pixabay.com