Alleanza scuola-terzo settore. Un nuovo corso è possibile, basta volerlo.
Superare l’immobilismo degli uffici scolastici regionali, la diffidenza delle dirigenze scolastiche e l’inerzia degli assessorati comunali alla pubblica istruzione nei confronti del mondo del terzo settore e delle sue professionalità. Questa deve essere la rotta da seguire per il sistema scolastico che nascerà dalle ceneri della pandemia.
Un percorso di rinnovamento sostenibile, in termini di costi/benefici, che la scuola italiana non può più permettersi di attuare a macchia di leopardo nel nostro Paese. Il Covid stesso ha, di fatto, portato in evidenza le numerose criticità di un sistema di istruzione sempre più moribondo, rendendo ancora più evidente l’importanza di costruire nuove alleanze educative.
Consociazioni che devono puntare a nuovi modelli ibridi di formazione ed educazione aperti alla dimensione europea (come ricordato in più occasioni dallo stesso Consiglio europeo), al digitale (nel vero senso della parola) e allo sviluppo delle competenze trasversali dei giovani. Sarebbe un peccato diabolico, alla luce del particolare periodo storico, perdere una tale opportunità.
Premessa dovuta alla luce della presentazione, da parte della ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, degli interventi per contrastare le povertà educative che saranno realizzati nelle scuole in collaborazione con il Terzo settore e l’associazionismo: baluardo contro l’autoreferenzialità dei comitati di travet della pubblica istruzione e, cosa più importante, mondo di professionalità animato dalla consapevolezza di poter dare il proprio contributo per lo sviluppo della formazione delle nuove leve di italiani.
Soltanto una sostanziale alleanza basata sul reciproco rispetto tra pubblico e terzo settore potrà arrivare laddove i canali formativi istituzionali hanno dimostrato di arrancare miserevolmente, nonostante il notevole dispendio di risorse umane e finanziarie, come nel campo della dispersione scolastica. A cosa servono, per esempio, le politiche contro la dispersione scolastica se si continua a lavorare con i ragazzi/e che non sono fuoriusciti dal circuito scolastico? Che senso ha? I vari comitati di psicologi, educatori e di altri ‘prodotti’ del polo umanistico, non si sono forse stufati di vivere in un mondo dove è sempre meno qualificante l’istruzione convenzionale?
Non sarà forse giunto il momento di utilizzare i circa 118 milioni di euro, previsti per il 2021 dal Ministero dell’Istruzione, per contrastare fattivamente il disagio giovanile, la dispersione scolastica e promuovere lo sviluppo delle competenze trasversali dei giovani studenti/esse italiani/e? Quanto ancora durerà l’attesa per assistere al varo di un approccio organico e sistemico verso tale direzione?
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