Acqua potabile: in Sardegna perdite idriche al 52,8%. Aumenta la spesa per servizi di gestione.
Sono elevate le perdite idriche della rete di distribuzione italiana. Nel 2022, ricorda oggi l’Istat, l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno.
Nel 2022, il volume di acqua prelevata per uso potabile in Italia è pari a 9,14 miliardi di metri cubi, impiegati per assicurare gli usi idrici quotidiani della popolazione, ma anche di piccole imprese, alberghi, servizi, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegati direttamente alla rete urbana, nonché le richieste pubbliche (scuole, uffici pubblici, ospedali, fontanili, ecc.).
Il prelievo giornaliero di 25,0 milioni di metri cubi, pari a 424 litri per abitante, è reso possibile da una fitta rete di approvvigionamento, sviluppata in base all’ubicazione dei corpi idrici, alle esigenze idriche locali, alla performance del servizio e alle condizioni delle infrastrutture di trasporto dell’acqua.
Sul territorio ci sono circa 37.400 fonti di approvvigionamento attive per gli usi idropotabili, mediamente 12 ogni 100 km2.
Un volume molto contenuto di acqua (circa lo 0,1% del totale) viene prelevato da fonti ubicate sul territorio italiano ma è destinato all’approvvigionamento di località estere (Francia, Repubblica di San Marino). Ugualmente, una parte dell’approvvigionamento è garantito da fonti localizzate oltre confine: è il caso del comune di Campione d’Italia (unica exclave, essendo completamente circondato da territorio svizzero) che, nel 2022, ha attinto a fonti situate in Svizzera per garantire una parte della richiesta annua idropotabile.
Nel 2022, prosegue inoltre la lenta e modesta contrazione dei volumi prelevati registrata a partire dal 2018. Nonostante il volume prelevato si sia ridotto dello 0,5% rispetto al 2020 (-4% rispetto al 2015), l’Italia si riconferma – da oltre un ventennio – al primo posto nell’Unione europea per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei (escludendo quindi i prelievi da acque marine). Tra i Paesi Ue27 dell’area mediterranea, l’Italia è tra quelli che utilizzano maggiormente acque sotterranee, prelevate da pozzi e sorgenti, per soddisfare le richieste idropotabili della popolazione.
In termini pro capite, il divario tra i Paesi Ue27 è ampio e l’Italia – con 155 metri cubi annui per abitante – si colloca in terza posizione, preceduta solo da Irlanda (200) e Grecia (159), e seguita a netta distanza da Bulgaria (118) e Croazia (111). La maggior parte degli Stati membri (20 su 27) ha prelevato tra 45 e 90 metri cubi di acqua dolce per persona per l’approvvigionamento pubblico. Nella parte bassa della graduatoria si colloca la maggioranza dei Paesi dell’Europa dell’Est. Malta chiude la classifica con 27 metri cubi annui a persona.
Sebbene il 2022 sia stato l’anno più caldo e il meno piovoso dal 1961, come riportato sul Rapporto SNPA (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) “Il clima in Italia nel 2022”, il prelievo ad uso potabile non sembra aver subito, nel complesso, variazioni significative, nonostante a livello locale si siano, in alcuni casi, registrate importanti criticità in determinati periodi dell’anno.
La lieve contrazione dei volumi è piuttosto generalizzata a livello regionale, con l’eccezione di Liguria, Lombardia, Calabria e Sardegna, dove si registra un aumento della risorsa prelevata.
Nel 2022, l’84,7% del prelievo deriva da acque sotterranee (48,5% da pozzo e 36,2% da sorgente) e il 15,2% da acque superficiali (bacino artificiale, corso d’acqua superficiale e lago naturale). A integrazione delle fonti di acqua dolce, per sopperire alle carenze idriche, una piccola parte del prelievo è derivata da acque marine o salmastre (lo 0,1% del totale), concentrata soprattutto in Sicilia per approvvigionare le isole minori, e in minima parte anche in Toscana e Lazio.
Le fonti sotterranee sono la modalità di approvvigionamento prevalente in Italia, con quote superiori al 75% in tutti i distretti idrografici, ad eccezione della Sardegna in cui lo sfruttamento di sorgenti e pozzi è piuttosto contenuto e incide sul 21% circa del prelievo. L’uso di fonti sotterranee è preponderante nei distretti Appennino centrale e Alpi orientali, dove rappresenta oltre il 94% del prelevato.
Lo sfruttamento di sorgenti a scopo idropotabile prevale nel distretto Appennino centrale (70% circa del volume complessivo), seguito dal distretto dell’Appennino meridionale (48% circa). L’utilizzo di pozzi è peculiare del distretto del Fiume Po, soprattutto nell’area della pianura padana, che concorre al 42,1% del volume complessivamente prelevato a livello nazionale da questo tipo di fonte.
L’uso idropotabile di acque superficiali è prevalente nel distretto della Sardegna, soprattutto per i prelievi da bacino artificiale che incidono sul 78,6% del volume complessivo. Rispetto al volume prelevato, il ricorso ad acque superficiali è massimo nel distretto Appennino meridionale (oltre 436 milioni di metri cubi, pari al 31,4% del rispettivo volume nazionale).
Il volume di acqua prelevato per uso potabile si riduce all’ingresso del sistema di distribuzione per le perdite di processo nel trattamento di potabilizzazione, per le dispersioni nella rete di adduzione e per i volumi addotti all’ingrosso per usi non civili (agricoltura e industria).
Nel 2022, sono immessi nelle reti comunali 8,0 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile (371 litri per abitante al giorno). I volumi immessi giornalieri pro capite variano molto a livello regionale: dai 262 litri giornalieri per abitante in Puglia ai 596 della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Il volume immesso in rete si riduce dell’1,4% rispetto al 2020. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,6 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati (214 litri per abitante al giorno), comprensivi sia dei volumi fatturati sia di quelli non fatturati.
Il volume erogato si riduce dell’1,6% rispetto al 2020, prosegue così la lenta contrazione dei consumi di acqua che si osserva ormai da oltre vent’anni correlata alla maggiore attenzione all’utilizzo efficiente della risorsa idrica e ai relativi costi, promosso anche dalle campagne di contenimento dei consumi di molti gestori, nonché al contingentamento della risorsa che si è reso necessario in alcuni territori per l’emergenza idrica e a un miglior monitoraggio dei consumi. Rispetto al 1999 il volume erogato registra una diminuzione del 13% in volume e di 36 litri del pro capite giornaliero.
Nel 2022, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua è pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,4% dell’acqua immessa in rete. L’indicatore è in leggerissima risalita rispetto al 2020 (quando era al 42,2%), a conferma del persistente stato d’inefficienza di molte reti di distribuzione.
Nonostante negli ultimi anni molti gestori del servizio idrico abbiano avviato iniziative per garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi e il contenimento delle perdite di rete, la quantità di acqua dispersa in distribuzione continua a rappresentare un volume considerevole, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2022 soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno (che corrisponde a circa il 75% della popolazione italiana).
Le perdite totali di rete sono da attribuire a: fattori fisiologici, presenti in tutte le infrastrutture idriche in quanto non esiste un sistema a perdite zero; rotture nelle condotte e vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio; fattori amministrativi, dovuti a errori di misura dei contatori e usi non autorizzati.
Sebbene le perdite abbiano un andamento molto variabile, le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono il consolidato gradiente Nord-Sud, con le situazioni più critiche nelle aree del Centro e Mezzogiorno, ricadenti nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare.
Nel 2022, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8%), la Sicilia (51,6%) e l’Appennino meridionale (50,4%), seguito dall’Appennino centrale (45,5%). L’indicatore raggiunge, invece, il valore minimo nel distretto del Fiume Po (32,5%) e risulta di poco inferiore al dato nazionale nei distretti delle Alpi orientali (40,9%) e Appennino settentrionale (40,6%).
In nove regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al dato nazionale, con i valori più alti in Basilicata (65,5%), Abruzzo (62,5%), Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno un livello di perdite inferiore, con Veneto (42,2%) e Friuli-Venezia Giulia (42,3%) in linea col dato nazionale. Nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen (28,8%), in Emilia-Romagna (29,7%) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (29,8%) si registrano le perdite minori.
In 13 regioni e province autonome su 21 e in tre distretti idrografici su sette aumentano le perdite idriche totali in distribuzione. Occorre considerare che le variazioni rilevate possono dipendere non solo dallo stato delle reti, ma anche da variazioni nelle modalità di calcolo dei volumi consumati ma non misurati al contatore, dalla crescente diffusione di strumenti di misura, che sono più efficaci nell’evidenziare le situazioni critiche, da situazioni contingenti e cambiamenti gestionali che possono modificare il sistema di contabilizzazione dei volumi.
Nel 2023, la quota di famiglie che lamentano irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle loro abitazioni è pari all’8,9% ed è in lieve diminuzione rispetto al 2022 (9,7%). Il disservizio investe le regioni in percentuali molto diverse e interessa circa 2 milioni 300mila famiglie; tra queste, oltre i due terzi è residente nel Mezzogiorno (1,6 milioni di famiglie). Calabria (38,7% di famiglie) e Sicilia (29,5%) sono le regioni più esposte ai problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni. Diametralmente opposta la situazione nel Nord-ovest (3,1%) e nel Nord-est (2,6%), mentre nel Centro meno di una famiglia su 10 denuncia irregolarità nel servizio di erogazione.
L’irregolarità nell’erogazione dell’acqua è avvertita durante tutto l’anno dal 37,6% delle famiglie, durante il periodo estivo dal 31,3%, mentre è considerato un evento sporadico dal 30,1%.
Oltre la metà delle famiglie (55,7%) valuta adeguati i costi sostenuti per l’erogazione dell’acqua, mentre oltre una su tre (il 37,2%) li giudica elevati. L’insoddisfazione per l’entità della spesa è più diffusa nelle Isole (53,3%), nel Sud (41,2%) e nel Centro (41,1%); più contenuta nel Nord-ovest (31,8%) e nel Nord-est (27,8%).
Nel 2023, le famiglie che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto sono il 28,8%. Il dato è stabile rispetto al 2022, anche se riflette una preoccupazione decisamente minore rispetto a 20 anni fa (erano il 40,1% nel 2002). Permangono invece notevoli differenze sul piano territoriale: si passa dal 18,9% nel Nord-est al 53,4% nelle Isole. A livello regionale, le percentuali più alte si riscontrano in Sicilia (56,3%), Sardegna (45,3%), Calabria (41,4%) e Abruzzo (35,1%).
Nel 2023, l’86,4% delle famiglie allacciate alla rete idrica comunale si ritiene molto o abbastanza soddisfatto del servizio idrico. Il livello di soddisfazione varia però in misura piuttosto marcata sul territorio: sono molto o abbastanza soddisfatte oltre il 90% delle famiglie residenti al Nord, l’86,2% di quelle del Centro e l’81,8% nel Sud; nelle Isole la percentuale raggiunge il minimo (69,8%).
Oltre due famiglie su tre (il 67,1%) dichiarano di essere soddisfatte (molto o abbastanza) della comprensibilità delle bollette. Nel Mezzogiorno si rileva un livello di insoddisfazione (poco o per niente soddisfatte) sensibilmente al di sopra della media nazionale (43,6% nelle Isole e 38,4% nel Sud), con valori più alti in Sicilia (46,1%), Abruzzo (42,1%) e Basilicata (42,0%).
La frequenza di lettura dei contatori è molto o abbastanza soddisfacente per circa otto famiglie su 10 (77,6%). Tra le famiglie poco o per niente soddisfatte (il 22,5% in media nazionale) si riscontra un forte divario territoriale, con elevate percentuali di bassa soddisfazione soprattutto in Sicilia (41,6%), Calabria (38,8%) e Abruzzo (36,7%).
Rispetto al giudizio sulla frequenza della fatturazione, la percentuale di famiglie molto o abbastanza soddisfatte è l’81,7% del totale, con un forte differenziale territoriale. In Calabria la percentuale di famiglie poco o per niente soddisfatte raggiunge il 38,9%, in Sicilia il 37,5% e in Abruzzo il 30,6%.
Gli effetti dei cambiamenti climatici e/o dell’effetto serra rientrano tra i cinque problemi ambientali che preoccupano di più le persone con almeno 14 anni, come riferito dal 70,8% degli intervistati nel 2023 (quota stabile rispetto al 2022). Il livello massimo di preoccupazione è nel Nord-ovest (72,7%), minimo al Sud (67,8%).
Nel 2023, quasi quattro persone di 14 anni e più su 10 si dichiarano preoccupate per l’inquinamento delle acque (38%), valore che sale al 40,9% al Nord mentre nel Centro e nel Sud si attesta, rispettivamente, al 37,8% e al 34,7%. Una maggiore sensibilità sul tema viene espressa dai giovani tra i 14 e i 24 anni (39,3%) rispetto a un 33,1% dichiarato da parte degli over 75enni.
Il dissesto idrogeologico (frane e alluvioni) preoccupa il 26,5% delle persone di 14 anni e più, dato in crescita di 4,2 punti percentuali rispetto al 2022; la percentuale più elevata si osserva tra i 60 e i 64 anni (31,4%). Tra le regioni del Centro-nord si rileva un aumento di quasi 11 punti percentuali nelle Marche, di circa sei in Umbria, Emilia-Romagna e Toscana. Nel Mezzogiorno si registra un aumento di quasi otto punti percentuali in Basilicata, sette in Puglia e sei in Calabria.
Nel 2023 quasi il 70% delle persone di almeno 14 anni dichiara di prestare attenzione a non sprecare acqua, a conferma della crescente consapevolezza della necessità di una corretta gestione delle risorse naturali. Permangono però differenze regionali significative, con quote che assumono il valore minimo in Calabria (65%) e massimo in Liguria (77,4%).
Nel 2021, l’economia italiana ha speso 10,1 miliardi di euro (a prezzi correnti) per servizi di gestione delle acque reflue, con un incremento rispetto al 2020 del 7%.
Tale ammontare rappresenta il 21,8% delle risorse complessive (46,6 miliardi) destinate alla protezione dell’ambiente e cioè alla prevenzione, riduzione ed eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale. Oltre alla gestione dei reflui la spesa complessiva per la protezione ambientale comprende le risorse spese per la tutela dell’aria e del clima, del suolo e delle acque del sottosuolo, della biodiversità e del paesaggio, la gestione dei rifiuti e l’abbattimento del rumore e delle vibrazioni.
Nel 2021, oltre 8 miliardi, pari all’80% della spesa totale per la gestione delle acque reflue (era l’82% nel 2020), sono stati spesi da famiglie, società e amministrazioni pubbliche per consumi intermedi o finali, ossia per l’utilizzo dei servizi di gestione delle acque reflue. Di questi, 4,7 miliardi (pari al 47% della spesa, in aumento rispetto al 45% dell’anno precedente) sono spese per consumi intermedi di servizi di depurazione da parte di produttori privati e pubblici che operano in settori diversi dalla protezione dell’ambiente.
Si tratta per la maggior parte (98% circa) dell’acquisto di servizi di depurazione da terzi e, per la parte restante, di spese correnti (per l’acquisto di beni e servizi e per il pagamento di salari e stipendi) sostenute per realizzare in proprio la depurazione dei reflui generati dal processo produttivo. I consumi finali delle famiglie e delle amministrazioni pubbliche ammontano a 3,4 miliardi (il 33% della spesa complessiva nel 2021, in calo rispetto al 37% dell’anno precedente).
Sono le famiglie a contribuire per oltre il 75% alla spesa per consumi finali, come utenti dei servizi di depurazione. La parte restante dei consumi finali è rappresentata dai consumi collettivi delle Amministrazioni Pubbliche, che sostengono spese per fornire servizi di amministrazione, regolamentazione, formazione, informazione e comunicazione connessi alla gestione delle acque reflue a beneficio della collettività.
Le spese per investimenti sostenute nel 2021 dagli operatori economici pubblici e privati per la gestione delle acque reflue ammontano a oltre 2 miliardi (il 20% della spesa complessiva, in aumento rispetto al 18% circa del 2020). Si tratta per l’81% di investimenti di società private che producono servizi di depurazione venduti a terzi, per il 7% di investimenti di operatori appartenenti alle amministrazioni pubbliche e, per la parte restante (250 milioni circa), delle spese sostenute dalle imprese industriali per apparecchi e macchinari che riducono l’inquinamento delle acque reflue generato dal proprio processo produttivo.
La spesa nazionale per la tutela ambientale è calcolata al netto dei finanziamenti ricevuti dall’estero (pari a meno di 100 milioni nel 2021).
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