Abbandono scolastico nell’Isola: il 12% lascia precocemente gli studi.

Oltre 1 ragazzo/a su 10 lascia gli studi prima della fine del percorso scolastico e più di un/una giovane su 4, circa il 26,1%, vive nella condizione di Neet, ovvero non studia, non lavora e non partecipa ad alcuna attività di formazione. Dati – forse – ben noti alla politica regionale che, sorvolando sulla proposta di legge 182 (ancora work in progress dal 2019), continua a non proporre alcun intervento legislativo di impatto per i/le giovani sardi/e.

Meglio proseguire con le iniziative ‘contro lo spopolamento’ recentemente presentate dal Governo Solinas e la sterile – quanto incoerente – dialettica politica tra maggioranza e opposizione.

In un contesto di siffatta incapacità politica i numeri collegati alla condizione di vita dei giovani sardi non sono per niente confortanti come ricordato dall’ultimo Atlante dell’Infanzia curato dall’organizzazione Save the Children, per il quale il 70,5% dei giovani di età compresa tra i 6 e i 17 anni non va a teatro e tra il 54,1% e il 57% non va a visitare musei. Il 60,4% dei minori della Regione, ancora, non ha avuto la possibilità di visitare monumenti o luoghi di rilievo storico culturale . Una generazione sempre più lontana dalla cultura e dalla possibilità di ricevere sempre nuovi stimoli per la propria ‘elevazione’ culturale. Meglio proporre perennemente proposte di legge sui funghi epigei e la vernaccia di Oristano. Patrimoni sicuramente da tutelare ma, forse, le priorità dovrebbero essere altre alla luce della realtà sociale dell’Isola.

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Limiti facilmente riscontrabili anche per quanto concerne l’attività sportiva, decisamente costosa e poco sostenibile per i giovani sardi: tra il 16,4% e il 23,8% dei minori non pratica nessuno sport rispetto alla media nazionale del 22,2%.

Dati deprimenti presentati a Sassari nel corso della presentazione del “Piano Territoriale della comunità educante per il contrasto alla povertà educativa e dispersione scolasticanato”. Un piano, ricordano i promotori, che vuole rappresentare un modello di collaborazione tra istituzioni (difficile), scuole (ancora più difficile) e tutti gli enti del terzo settore che lavorano per favorire il benessere e la partecipazione di ragazzi e ragazze. Enti, spesso, vessati e limitati nella propria azione di promozione sociale e volontariato proprio dall’inerzia o paternalismo espresso dalle stesse istituzioni locali.

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