Debunking o pre-bunking? Il dibattito sulle strategie Ue contro la disinformazione prosegue.
La lotta alla disinformazione è al centro dell’agenda europea, ma il nuovo approccio proposto dalla Commissione Von der Leyen solleva interrogativi e polemiche. Nelle linee guida politiche per il prossimo mandato (Europe’s Choice: Political Guidelines for the next European Commission 2024-2029), la Presidente della Commissione propone infatti di rafforzare la “resilienza sociale e la preparazione” attraverso una maggiore alfabetizzazione digitale e mediatica, ma anche tramite un meccanismo di “pre-bunking” per contrastare la disinformazione prima che si diffonda.
Ma cosa significa concretamente “pre-bunking”? E quali basi giuridiche ne giustificano l’applicazione? Queste sono alcune delle domande sollevate in un’interrogazione parlamentare presentata da Christine Anderson (ESN) e Marieke Ehlers (PfE), che chiedono chiarimenti alla Commissione su questa strategia di prevenzione della disinformazione.
Il termine “pre-bunking” fa riferimento a un metodo di contrasto alla disinformazione che si basa sull’anticipazione: invece di smentire le notizie false (debunking), l’idea è quella di immunizzare il pubblico fornendo in anticipo gli strumenti per riconoscere le manipolazioni mediatiche. Un concetto ispirato alle teorie della “vaccinazione cognitiva”, secondo cui esporre preventivamente le persone a tecniche di disinformazione può renderle più resistenti alle narrazioni fuorvianti.
Tuttavia, l’interrogazione parlamentare solleva un tema cruciale: su quale base giuridica si fonda questo intervento? Il debunking (la verifica e smentita delle notizie false) è già stato oggetto di critiche per il rischio di diventare un’arma di censura selettiva; il pre-bunking, essendo un’azione preventiva, apre questioni ancora più complesse.
L’interrogazione chiede inoltre alla Commissione di chiarire se la lotta alla disinformazione sia equiparata a un fenomeno patologico da “curare”. Il riferimento è al linguaggio utilizzato in alcuni documenti ufficiali, in cui la disinformazione è descritta come un “virus mentale” che può essere “infettivo” e richiede una sorta di “vaccinazione”.
Se da un lato l’UE rivendica la necessità di proteggere i cittadini dalle manipolazioni, dall’altro si apre un dibattito acceso su chi stabilisca cosa sia o meno “disinformazione” e su quali criteri vengano adottati per prevenire la diffusione di determinate narrazioni. Il rischio, secondo i critici, è che il pre-bunking diventi uno strumento per orientare il dibattito pubblico e limitare la pluralità delle opinioni.
Il tema del pre-bunking si inserisce in un contesto più ampio di regolamentazione del web e dei media. L’UE ha già introdotto misure stringenti con il Digital Services Act (DSA) e altre iniziative per contrastare la disinformazione, ma il rischio che il confine tra tutela e censura si faccia sempre più labile preoccupa molti osservatori.
La Commissione risponderà all’interrogazione chiarendo i dettagli di questa strategia? O la controversia sul pre-bunking finirà per alimentare ulteriormente il dibattito sulla libertà di espressione in Europa? Il rischio, secondo i detrattori, è che la battaglia contro la disinformazione si trasformi in una lotta per il controllo delle informazioni stesse.
foto Daina Le Lardic Copyright© European Union 2020 – Source : EP