Diseguaglianze economiche: minori sempre meno tutelati in Italia.

Sono circa 1,3 milioni i minori in condizione di povertà assoluta nel “Bel Paese. Disuguaglianze che confermano divari educativi, sociali ed economici per le nuove generazioni, condannando una buona percentuale di cittadini/e italiani/e a non poter dare il proprio contributo per la crescita della nazione.

Da questo punto di vista purtroppo, sottolinea oggi la Fondazione Openpolis, “l’Italia resta uno dei Paesi europei con minore mobilità sociale, ovvero in cui risulta più difficile per chi nasce in una famiglia povera migliorare la propria condizione economica e sociale rispetto ai genitori”.

Un aspetto che emerge nei diversi indicatori presi in considerazione da istituzioni come Ocse e World economic forum. Tali disuguaglianze hanno un impatto anche sugli esiti educativi, rilevabili già prima dell’emergenza Covid e confermati negli anni successivi. In questo quadro non è da sottovalutare il fatto che, secondo i più recenti dati Istat, la percentuale di famiglie italiane con figli che si trovano in condizioni di povertà assoluta ha superato il 12%.

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“La povertà – spiegano da Openpolis – rappresenta un fenomeno multidimensionale che va oltre i soli aspetti monetari”.

Secondo i più recenti dati Istat, nel 2023 erano oltre 1 milione e 295mila i minori che si trovavano a vivere in una condizione di povertà assoluta (13,8% a fronte di una media nazionale del 9,7%). Una situazione più frequente al sud (15,5%) rispetto al nord del paese (12,9%). Le famiglie in povertà assoluta con minori a carico erano quasi 748mila, con un’incidenza pari al 12,4%.

Confrontando le variazioni statisticamente rilevanti rispetto al 2022, secondo la Fondazione, si può osservare come ci sia stato un significativo incremento delle famiglie con minori in povertà assoluta in cui la persona di riferimento ricopre il ruolo di operaio o assimilato. Si passa infatti da una quota del 15,6% a uno del 19,4% (+3,8 punti percentuali). Viceversa la quota è molto più contenuta, come era ragionevole aspettarsi, in quelle famiglie con bambini in cui la persona di riferimento risulta essere dirigente, quadro o impiegato. “Tale dinamica evidenzia in maniera netta come in Italia ci sia un problema molto consistente che riguarda il cosiddetto “lavoro povero”. Vale a dire quella condizione per cui una persona, pur avendo un’occupazione, non riesce a raggiungere un livello di reddito sufficiente per soddisfare i bisogni essenziali, rimanendo al di sotto della soglia di povertà”.

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In questo quadro si deve aggiungere anche l’incremento dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie all’aumentare del numero di figli a carico. Parliamo in questo caso di coppie con figli. Nel 2023 erano il 6,6% in presenza di un minore. Dato che saliva all’11,6% nel caso di due figli e al 18,8% con 3 o più figli.

I dati raccolti dall’Istat indicano ancora come molte famiglie risultino sottoccupate rispetto al loro effettivo potenziale: le cosiddette “famiglie a bassa intensità lavorativa“, ovvero nuclei in cui le persone che sarebbero in grado di lavorare – al netto dei componenti che studiano – lo hanno fatto per meno del 20% del loro effettivo potenziale.

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Con la sola eccezione della Liguria (52,4%) sono le regioni meridionali a far registrare la più alta incidenza di famiglie a bassa intensità lavorativa. La quota più alta è quella della Sicilia con il 58%. Seguono Calabria (57,5%), Campania (53,1%) Puglia (52,9%), Molise (51,4%) e Sardegna (50,8%). Da notare però che anche nel centro-nord si registra un’incidenza superiore al 40% nei comuni con oltre 5.000 abitanti. In Trentino-Alto Adige ad esempio, dove troviamo la quota più bassa, parliamo comunque del 41,2%.

Questi livelli, ricordano da Openpolis, “possono essere spiegati da un lato con la bassa occupazione femminile che caratterizza il nostro paese in ambito europeo, specialmente per le donne con figli; dall’altro con la presenza del lavoro sommerso che, come noto, è molto alta nel nostro Paese”.

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