I giovani in Italia “non sono una emergenza”.

La questione giovanile in Italia, si sà, è una hard issue di poco conto per il sistema partitico italiano, incapace di esprimere alcuno slancio innovativo (e di impatto) e obbligato a condividere racconti aneddotici sulla condizione dei giovani italiani.

Dai “tour nelle scuole”, come ricordato dalla rovinosa Presidente della Regione Sardegna, e fino ad arrivare “ai neet working tour” di ministeriale memoria, i giovani italiani, specialmente quelli vulnerabili, continuano ad essere condannati ad una esperienza di cittadinanza passiva e misera, con crescenti difficoltà di inclusione.

Un barlume di speranza per l’avvio di politiche di ampio respiro per i giovani, purtroppo, si è intravisto soltanto nel corso di uno dei periodi più bui degli ultimi lustri, quello dell’emergenza Covid, dove si sono viste diverse iniziative per l’inclusione dei giovani. Ma, a partire dall’azione della Commissione europea, promotrice dell’inutile “anno europeo della gioventù 2022”, e fino ad arrivare alle “bidonate” delle missioni per i giovani contenute nel Pnrr italiano, il paradigma per i/le giovani italiani/e, continua a cambiare poco, escludendo le “innovazioni” della riserva del 15% nei concorsi pubblici per i volontari del servizio civile universale e i “soliti” contributi statali per l’assunzione degli under35.

Nel frattempo, però, il tema del disagio giovanile continua ad essere affrontato in modo frammentario, autocelebrativo e, diciamolo, con una grande dose di malafede, come continua a dimostrare, per esempio, la gestione della governance del Fondo Nazionale per le Politiche Giovanili che, ancora ad oggi e nonostante l’importante doatazione di 80 milioni di euro, continua ad essere gestito dall’alto da parte delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, senza alcuna intenzione di avviare alcuna sinergia con i giovani e le organizzazioni qualificate del territorio. In alcune regioni come la Sardegna, addirittura, si ricopiano gli interventi criticati agli avversari politici addirittura rifinanziandoli oltre ogni previsione, come ricorda il programma Giovani VISPI, che gode ora di un altro milione e 250mila euro di finanziamento, deciso da qualche consigliere regionale (ovvero i codardi che neanche mettono la firma sugli atti) nell’ultima variazione del bilancio regionale.

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Un paradigma operativo nel quale, quindi, è difficile ideare e implementare iniziative disruptive e di impatto per la gioventù italiana poichè continua a mancare il confronto con chi lavora nel settore delle politiche giovanili e che potrebbe condividere best practices e informazioni qualificate, strutturate e di qualità sulla condizione di ragazze e ragazzi e sugli strumenti mirati alla loro inclusione.

Invece, per i sempre più meschini rappresentanti del potere Esecutivo e Legislativo, è meglio puntare sull’autocelebrazione e sul contrasto alla sinergia con gli stakeholders qualificati.

Eppure, guardando i sempre più disastrosi dati sulle dipendenze, drop out scolastico e devianza giovanile, è imprescindibile (ovviamente se si vuole provare a risolvere il tema) un approccio basato sui dati.

Partendo proprio dalle difficoltà economiche che, in milioni di nuclei familiari, stanno spingendo, come spiega oggi la Fondazione Openpolis, “verso l’aumento dell’incidenza della povertà minorile, ai suoi massimi nella serie storica recente. In parallelo con la rarefazione delle relazioni sociali, il benessere psicologico è diminuito”.

Elementi che non possono che far riflettere sui rischi per la tenuta della coesione sociale negli anni a venire. Tra giovani talenti che partono, altri che non ritornano e il fenomeno dell’inverno demografico, il tema dovrebbe richiedere una maggiore sensibilità e senso di responsabilità da parte delle istituzioni, a partire dall’implementazione di interventi sociali e politiche pubbliche costruite con il coinvolgimento attivo dei più giovani, e indirizzate alle loro necessità ed esigenze.

Invece, come confermato anche a livello locale, dalle proposte “copia e incolla” proposte negli ultimi 8 mesi, per esempio, dall’attuale Giunta regionale della Regione Sardegna, la sensibilità istituzionale continua a mancare su questo aspetto.

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Nel giugno dell’anno scorso, volendo ricordare i risultati di un’indagine demoscopica promossa da Con i Bambini e Demopolis, è emerso come il 54% degli adolescenti intervistati dichiara di non essere capito dagli adulti. Ancora, secondo l’Istat, quasi il 14% dei minori nel 2023 si è trovato in povertà assoluta (circa 1,29 milioni). Ovvero l’incidenza più elevata della serie storica dal 2014, a seguito della revisione metodologica avvenuta negli ultimi anni. Dopo la pandemia, ancora, i bambini e ragazzi che vivono in famiglie in povertà assoluta sono arrivati a sfiorare gli 1,3 milioni. Saranno forse i lavoratori qualificati e i contribuenti del futuro con un così sconfortante backgroud socio-economico? Qualcuno/a può ancora avere dubbi sui rischi della tenuta della coesione sociale del futuro?

Tuttavia sarebbe riduttivo affrontare la questione solo dal punto di vista della deprivazione materiale, senza andare alle radici educative, culturali, sociali, psicologiche che ne sono alla base. Dimensioni che spesso sono anche collegate tra loro.

Anche qui, riflettendo sullo stato dell’arte, si rileva costantemente un calo netto negli apprendimenti. Nel 2022 quasi uno studente su 10 (9,7%) in quinta superiore si è trovato in dispersione implicita, vale a dire nella situazione di chi, pur portando a termine gli studi, lo fa senza aver raggiunto competenze di base adeguate. E in Italia si parla di spingere sulle materie STEM, di ricerca, di competitività. Ridicolo!

Negli ultimi anni, poi, si è assistito a una “rarefazione” delle relazioni sociali tra i giovani: nel 2021, per esempio, la percentuale di giovani 11-14enni che vedono gli amici tutti i giorni è scesa al 18,4% (20,4% tra i 15-17enni). Nel 2023 dichiarano di vedere tutti i giorni i propri amici il 27,6% degli 11-14enni e il 30,1% dei 15-17enni. Sicuramente molto lontano rispetto al 70% della generazione precedente. E, volendo fare qualche conto in tasca ai genitori di oggi, è innegabile la crescita della spesa per psicologi e psicoterapie per i propri figli. Dettagli, meglio parlare di altre issues, tipo le aree idonee…

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Degli italiani di domani, sempre più instabili e impreparati, possiamo “fottercene”.

Eppure lo dice anche la statistica che l’indice di salute mentale medio tra i 14-19enni nel 2021 è calato a 70,3, dal 73,9 registrato nella rilevazione dell’anno precedente. Con un divario di genere che vede un minor benessere psicologico per le ragazze (con un indice di 67,4 per le giovani di 14-19 anni nel 2023) rispetto ai ragazzi (74,3).

Ulteriori segnali di malessere psicologico emergono dalle rilevazioni di Iss, l’istituto superiore di sanità, nell’ambito dell’indagine sulle dipendenze comportamentali nella generazione Z (i nativi digitali, nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012). Uno studio, basato su un campione rappresentativo della popolazione scolastica 11-17 anni, per rilevare la prevalenza di disturbi psicologici importanti, tra i quali, appunto, la tendenza all’isolamento sociale e difficoltà nell’instaurare relazioni costruttive con genitori, adulti e coetanei.

Sarà sempre più difficile, quindi, rivedere il sequel de “La Febbre del Sabato Sera”, in futuro.

Il presupposto per affrontare questi fenomeni, quindi, è l’utilizzo di definizioni e dati strutturati, purtroppo non sempre disponibili per via dell’incapacità della politica e dell’amministrazione di questo Paese di aprirsi alle migliori esperienze in materia e di imparare dagli errori. Al politico italiano piace il problema, meno la soluzione.

Non parliamo poi del pericolo di ridurre a una caricatura la condizione giovanile: rischio molto elevato, volendo rimanere nel perimetro del piccolo mondo antico sardo, anche dalle parti di via Oroslavia, viale Trento e via Roma, luoghi, rispettivamente sede della presidenza della Regione Sardegna, della Giunta e del Consiglio della Regione Autonoma.

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