Il direttivo di Chenàbura fa quadrato intorno al dimissionario Carboni.
Chiedere di radere al suolo un territorio e sterminare, in linea consequenziale, i suoi abitanti, non rappresenta abbastanza per il direttivo dell’associazione Chenàbura Sardos pro Israele che, dopo le dimissioni del presidente Mario Carboni, autore di un infelice post privato scritto sulla sua pagina personale di Facebook, ha difeso attraverso una nota stampa il suo ex rappresentante legale. “Il direttivo e i soci in assemblea respingono le dimissioni del Presidente Mario Carboni”.
“Noi ci occupiamo di eventi culturali legati all’ebraismo, non ci occupiamo di politica e siamo per la pacifica convivenza tra i popoli. Non c’e mai stata una sola manifestazione politica che propagandasse la distruzione del popolo palestinese. Noi non vogliamo certo che Gaza venga rasa al suolo, anzi auspichiamo una pace immediata con la liberazione degli ostaggi e la creazione di due popoli che convivano in pace”.
Una nota seguita proprio dalla precisazione a mezzo stampa dello stesso Carboni, per il quale il “post scritto a seguito di una conversazione privata può essere giudicato eccessivo”. Ex rappresentante legale che ha poi cercato di spiegare le motivazioni alla base dell’uscita infelice, volendo usare un eufemismo.
“I paragoni storici sono sempre riduttivi e azzardati. Come il paragone fra Gaza e Berlino simili solo nella distruzione a tutti evidente e che non viene nella mia mente auspicata un’ulteriore distruzione perchè la guerra é una tragedia per i due popoli e ancora una volta ribadisco che, com’è del tutto naturale, ci stanno a cuore i diritti, la pace e la serenità di tutta la regione, di tutti i suoi abitanti, ebrei cristiani o musulmani, israeliani o palestinesi, e la morte di qualunque essere umano ci crea angoscia indipendentemente dalla sua religione o cultura o nazionalità”.
Non potendo ammettere di aver condiviso un post discutibile, l’ex rappresentante ha poi criticato il successivo tam tam mediatico, criticando la strumentalizzazione di “un post scritto in fretta” e la stigmatizzazione “del lavoro di una intera associazione”, riferendosi all’improbabile “profondo antiemitismo” dilagante a livello locale.