Natalità, non si arresta la discesa in Italia. La Sardegna ha il dato più alto di nascite more uxorio.

Il “Bel Paese” (forse per gli stranieri), registra ancora un record al ribasso per le nascite: nel 2023, secondo l’Istat, i nuovi cittadini italiani sono scesi a 379.890, registrando un calo del 3,4% sull’anno precedente.

Il numero medio di figli per donna si attesta a 1,20, in flessione sul 2022 (1,24) e la stima provvisoria elaborata sui primi 7 mesi del 2024 evidenzia una fecondità pari a 1,21.

Per ogni 1.000 residenti in Italia sono nati poco più di sei bambini.

Questa diminuzione, che comporta un nuovo superamento al ribasso del record di denatalità, si inserisce in un trend ormai di lungo corso. Rispetto al 2008, anno in cui il numero dei nati vivi superava le 576mila unità, rappresentando il più alto valore dall’inizio degli anni Duemila, si riscontra una perdita complessiva di 197mila unità (-34,1%). La sistematica riduzione rilevata in tale periodo è stata annualmente di circa 13mila unità, corrispondente a un tasso di variazione medio annuo del 2,7 per mille.

Il calo delle nascite, oltre che dalla ormai stabile bassa tendenza ad avere figli (1,2 figli per donna nel 2023), è anche causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni. Le donne comprese in questa fascia di età sono sempre meno numerose. Oggi, quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) hanno ormai superato la soglia convenzionale dei 49 anni. Gran parte di quelle che ancora sono in età feconda appartengono all’epoca del cosiddetto baby-bust, ovvero sono nate nel corso del ventennio 1976-1995 durante il quale la fecondità scese da oltre 2 al minimo storico di 1,19 figli per donna.

La diminuzione dei nati è attribuibile per la quasi totalità al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani, che costituiscono oltre i tre quarti delle nascite totali. I nati da genitori italiani, pari a 298.948 nel 2023, sono circa 12mila in meno rispetto al 2022 (-3,9%) e 181mila in meno rispetto al 2008 (-37,7%). I nati da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero sono invece 80.942, in calo dell’1,5% sul 2022 e del 25,1% rispetto al 2012, anno in cui si è registrato il numero massimo. A diminuire sono state in particolar modo le nascite da genitori entrambi stranieri, in calo del 3,1% sul 2022 e del 35,6% nel confronto con il 2012 (-28.447 unità).

La denatalità prosegue anche nel 2024: secondo i primi dati provvisori riferiti al periodo gennaio-luglio, le nascite sono diminuite, rispetto allo stesso periodo del 2023, di 4.600 unità (-2,1%).

Nel 2023 le nascite di primo ordine, pari a 186.613 unità, diminuiscono del 3,1% rispetto al 2022 e ritornano ai livelli del 2021. L’aumento dei primogeniti osservato nel 2022 sul 2021 ha costituito quindi una breve parentesi di ripresa, determinata dal recupero di progetti riproduttivi rinviati nel periodo pandemico. I secondi figli diminuiscono del 4,5% e quelli di ordine successivo dell’1,7%. La diminuzione dei primi figli riguarda tutte le aree del Paese, con il Nord che nel 2023 registra il calo minore sul 2022 (-2,8%) e il Centro quello più intenso (-3,6%). La diminuzione dei figli di ordine successivo al primo interessa in misura lievemente maggiore il Centro: -3,9%, contro il -3,8% del Nord e il -3,6% del Mezzogiorno.

Quanto si osserva nel 2023 non è altro che la prosecuzione di una tendenza che da diversi anni caratterizza il Paese e che vede, accanto alla diminuzione dei nati del secondo ordine e più, anche una forte contrazione dei primi figli. Dal 2008 a oggi, i nati di primo ordine sono diminuiti del 34,4%, i secondi figli del 36,3% e quelli di ordine successivo del 26,5%. Il Centro è l’area geografica ad aver registrato il calo maggiore sia dei primi che dei secondi figli (-40,6% per entrambi), mentre nel Mezzogiorno si riscontra un calo meno intenso tanto dei primi figli (-27,5%) quanto dei secondi (-34,5%), per quanto rilevante.

Non solo quindi persistono le difficoltà nel passaggio dal primo al secondo figlio, emergono anche criticità importanti nell’avere il primo figlio. L’allungarsi dei tempi di formazione e di uscita dal nucleo familiare di origine da parte dei giovani, le loro difficoltà nel trovare un lavoro stabile, il problematico accesso al mercato abitativo, non ultima la scelta volontaria di rinunciare, o comunque rinviare al futuro il voler diventare genitori, sono tra i fattori che contribuiscono alla contrazione dei primi figli nel Paese.

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Il crescente grado di “maturità” dell’immigrazione nel Paese, testimoniato anche dalla notevole crescita della popolazione che ha acquisito la cittadinanza italiana (circa 1,9 milioni di residenti a fine 2023), rende sempre più complesso misurare i comportamenti familiari tra i cittadini di origine straniera. Le acquisizioni di cittadinanza, peraltro, riguardano collettività significativamente numerose (in particolare, le donne di origine albanese, marocchina e rumena raccolgono nel solo 2023 il 35% del totale delle acquisizioni rilasciate), ossia le comunità che contribuiscono in modo più cospicuo alla natalità del Paese.

Fatta questa premessa, continua nel 2023 la diminuzione dei nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero. Queste nascite, che costituiscono il 21,3% del totale, sono passate da 82.216 del 2022 a 80.942 del 2023. Dal 2012, ultimo anno in cui si è osservato un aumento sull’anno precedente, il calo è stato di 27mila unità.

In particolare, i nati in coppia mista, che costituiscono il 7,8% del totale dei nati, si mantengono stabili nel 2023, attestandosi a 29.495 unità. I nati da genitori entrambi stranieri che, come l’anno scorso, costituiscono il 13,5% del totale dei nati, sono nel 2023 pari a 51.447 (erano 53.079 nel 2022) e registrano nell’ultimo anno un calo del 3,1% (per i nati da coppie italiane il calo è del 3,9%).

Nelle aree geografiche italiane la quota di nati da coppie in cui almeno un genitore è straniero ricalca quella che è stata la geografia di destinazione della popolazione straniera. Nel 2023, la quota di nati da almeno un genitore straniero sul totale è pari al 30% nel Nord e al 23,7% nel Centro, cioè nelle aree in cui la presenza straniera è più radicata e stabile. Nel Mezzogiorno l’incidenza è invece molto più bassa, pari al 9%.

Restringendo il focus ai soli nati da genitori entrambi stranieri, la geografia rimane analoga, con intensità meno elevate: nel 2023 il 19,1% dei nati nel Nord e il 15,4% dei nati nel Centro ha genitori entrambi stranieri. Nel Mezzogiorno la quota è invece pari al 5,5%.

La regione con la più alta incidenza di nati stranieri rispetto al totale è l’Emilia-Romagna (21,9%). Tra le altre regioni del Nord, un nato su cinque è straniero in Liguria e Lombardia; seguono il Veneto (18,6%), il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia (17,9%). Al Centro spicca la Toscana (18,1%), mentre nel Mezzogiorno la percentuale è decisamente più contenuta, con un minimo in Sardegna del 3,9% e un massimo in Abruzzo del 10%.

Per il complesso dei nati con almeno un genitore straniero, al primo posto ci sono i nati da coppie in cui almeno uno dei genitori è rumeno (11.450 nati nel 2023), seguono quelli con almeno un genitore marocchino (9.943) e albanese (9.218); queste tre cittadinanze coprono il 37,8% delle nascite da coppie con almeno un genitore straniero.

Nel 2023, contrariamente a quanto osservato negli ultimi anni, i figli nati fuori dal matrimonio sono lievemente diminuiti: si attestano a 160.942, registrando un calo di poco più di 2mila unità sul 2022. La loro incidenza sul totale delle nascite continua però a crescere (42,4% nel 2023, +0,8 punti percentuali sul 2022), sebbene in misura inferiore rispetto alla crescita media registrata nel periodo 2008-2022 (+1,5 annuo). In particolare, ad aumentare in misura lievemente maggiore rispetto al 2022 è la quota di nati da genitori che non sono mai stati coniugati (dal 35% al 35,9%) mentre rimane stabile la quota di nascite da coppie in cui almeno un genitore proviene da una precedente esperienza matrimoniale (dal 6,6% al 6,5%).

Al di là dei mutamenti congiunturali, guardando al lungo periodo, tra il 2008 e il 2023 l’aumento dei nati da coppie non coniugate è di circa 47mila unità. Nel medesimo termine temporale la loro incidenza sul totale delle nascite cresce di 22,7 punti percentuali.

Continuano a emergere delle differenze tra le aree del Paese che, tuttavia, vanno attenuandosi di anno in anno. La quota più elevata di nati da genitori non coniugati si osserva nel Centro (49,4%), seguito dal Nord (42,7%). Il Mezzogiorno registra la quota più bassa (38,5%), ma continua il processo di riduzione del differenziale con le altre ripartizioni a causa di un più sostenuto ritmo di incremento.

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La regione con la più alta proporzione di nascite more uxorio è la Sardegna (55%). Nel Centro spiccano l’Umbria (50,7%), il Lazio (50,4%) e la Toscana (48,8%); nel Nord la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (49,3%) e la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (48,6%). Le percentuali più basse si registrano in Basilicata (29,6%) e in Calabria (32,1%).

Quando i genitori sono entrambi italiani, la quota di nati fuori dal matrimonio è più alta rispetto a quanto osservato a livello generale, raggiungendo il 45,9% nel 2023. Tra le coppie miste l’incidenza è più elevata se è il padre a essere straniero (37,9%) rispetto alle coppie con madre straniera (30,5%). Per i nati da genitori entrambi stranieri la quota è invece decisamente più bassa, 27,5%, ben 18,4 punti percentuali in meno rispetto alla quota di nati da coppie italiane.

La tendenza ad avere figli fuori dal matrimonio è diffusa soprattutto tra i giovani. Le nascite fuori dal matrimonio sono infatti pari al 61,8% tra le giovani fino a 24 anni e al 42,9% tra i 25 e i 34 anni, ma se la coppia è composta da partner entrambi italiani le medesime quote salgono, rispettivamente, al 76,3% e al 46,9%. Infine, dopo i 34 anni di età, la quota di nati fuori dal matrimonio si attesta al 37,3% per il complesso delle coppie e al 39,3% per le sole coppie di genitori italiani.

Le nascite fuori dal matrimonio riguardano per lo più quelle da coppie di genitori celibi e nubili: (l’84,7% delle quasi 161mila nascite more uxorio nel 2023), a conferma di una tendenza sempre più diffusa a non considerare il matrimonio una condizione necessaria per avere figli. Tra le madri fino a 24 anni di età, per esempio, la quota di nascite da genitori mai coniugati rappresenta il 56,9% del totale, contro il 37,4 % di quelle di età compresa tra i 25 e i 34 anni e il 28,8% tra le over34enni.

Nel 2023 il numero medio di figli per donna continua a scendere. Le donne in età compresa tra i 15 e i 49 anni residenti in Italia hanno avuto in media 1,20 figli, un valore in calo rispetto all’anno precedente (1,24) e in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44 figli per donna. La fecondità sembra non risollevarsi, finora, neanche nel 2024. Sulla base del numero provvisorio di nati rilevato tra gennaio e luglio, il numero medio di figli per donna è infatti stimato in 1,21, in linea col dato dell’anno precedente. Con la differenza sostanziale, tuttavia, che questo lieve recupero sul piano comportamentale, non si traduce in incremento di nascite (in calo del 2,1% rispetto ai primi sette mesi del 2023), stante la riduzione della popolazione femminile in età riproduttiva (15-49 anni), transitata da 11,6 milioni a 11,5 milioni tra il 1° gennaio 2023 e il 1° gennaio 2024 (-0,9%).

La fecondità osservata negli anni di calendario risente degli effetti connessi a fenomeni di posticipazione o recupero delle scelte riproduttive, legati al contesto sociale ed economico del particolare momento storico. Da qui, possono emergere andamenti oscillanti dell’indicatore di fecondità di periodo che, in quanto misura trasversale, sintetizza il comportamento riproduttivo di generazioni diverse. L’analisi della fecondità per coorte di nascita esprime invece la misura della tendenza ad avere figli delle generazioni e, per l’Italia, restituisce un quadro di costante diminuzione della fecondità. Considerando le coorti che hanno concluso il proprio periodo di vita riproduttiva, la fecondità passa da 2,01 della generazione 1947 a 1,43 della coorte di donne nate nel 1974.

Il numero medio di figli per donna registrato nel 2023 riporta il Paese indietro, al minimo storico di 1,19 osservato nel 1995. Nel confrontare questi due valori, occorre sottolineare che c’è una differenza nella composizione per cittadinanza della popolazione femminile: infatti, nel 1995 il tasso di fecondità totale era ascrivibile quasi completamente ai comportamenti delle italiane, essendo ancora esiguo il contributo delle donne straniere. Il continuo aumento di queste ultime dopo il 1995, e la loro tendenza a realizzare i progetti riproduttivi in Italia, aveva contribuito a una ripresa della fecondità, evidente nel primo decennio degli anni Duemila, periodo nel quale anche le donne italiane avevano offerto un contributo positivo. Dal secondo decennio degli anni 2000 e fino agli anni più recenti lo scenario cambia. La fecondità diminuisce tanto per effetto del calo attribuibile alle italiane (da 1,33 figli per donna nel 2010 a 1,14 nel 2023) quanto di quello delle straniere (da 2,31 a 1,79).

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La riduzione della fecondità nel 2023 è territorialmente omogenea. Il Centro, che presenta la fecondità più bassa, registra un calo da 1,15 figli per donna nel 2022 a 1,12 nel 2023. Anche nel Nord il numero medio di figli per donna continua la discesa, da 1,26 a 1,21. Nel Mezzogiorno, dopo la lieve ripresa dello scorso anno, si evidenzia un calo da 1,26 a 1,24 figli per donna. Nonostante questa flessione, dopo quasi 20 anni il Mezzogiorno torna a registrare una fecondità superiore a quella del Nord.

La Provincia autonoma di Bolzano/Bozen registra una diminuzione importante (da 1,64 figli per donna nel 2022 a 1,56 nel 2023) ma conserva il primato della fecondità in Italia. Seguono la Sicilia (1,32), la Campania (1,29) e la Calabria (1,28). La Sardegna continua a presentare il più basso livello di fecondità (0,91), ulteriormente ridottosi sull’anno precedente (0,95).

La fecondità totale osservata lungo anni di calendario risente degli effetti di anticipazione e posticipazione, dati dalla scelta di quando avere figli. Nei momenti storici più favorevoli, in concomitanza di una età media al parto in crescita, le donne tendono a recuperare le nascite rinviate rispetto al periodo precedente meno favorevole, determinando un effetto di momentanea ripresa sull’indicatore di fecondità. È quanto, ad esempio, si è riscontrato nel Paese tra il 1995 (1,19 figli per donna, minimo storico) e il primo decennio degli anni Duemila. Almeno la metà dell’aumento del numero medio di figli per donna registrato in tale fase storica, fino a ottenere un massimo di 1,44 figli per donna nel 2008, si verificò, infatti, grazie al recupero delle nascite precedentemente rinviate da donne italiane. La restante metà della crescita, invece, si dovette al contributo espresso dalle donne straniere, via via che la loro presenza nel Paese si faceva più intensa, stabile e radicata.

Storicamente, ciò è accaduto in particolare nelle regioni del Nord e del Centro. È invece proseguito il fenomeno della denatalità nel Mezzogiorno, a causa della continuata posticipazione delle nascite da parte delle cittadine italiane. Inoltre, la riduzione delle nascite in questa area è stata compensata soltanto in modo marginale dalla quota (modesta in questa area) di nascite di bambini con almeno un genitore straniero.

Nel 2023, limitando l’analisi ai soli primogeniti, si diventa per la prima volta madri in media a 31,7 anni, mentre nel 1995 ciò accadeva a 28 anni. Più in generale, considerando ogni ordine di nascita, l’età media al parto, dopo un biennio di stabilità, aumenta lievemente rispetto al 2022, passando da 32,4 anni a 32,5 anni nel 2023. L’età media al parto è più alta per le italiane (33,0) rispetto alle straniere (29,7). Rispetto al 1995, l’età media alla nascita dei figli è aumentata di oltre due anni e mezzo.

Scendendo a livello territoriale, l’età media al parto è più alta nel Centro e nel Nord (32,9 e 32,6) rispetto al Mezzogiorno (32,2). La Sardegna è la regione a cui spetta il primato della posticipazione (33,2 anni). Nel Nord, sono Veneto e Lombardia a registrare l’età media al parto più alta (32,7 anni), mentre la più bassa compete alla Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (31,9 anni). Nel Mezzogiorno, al valore massimo della Sardegna (33,2), segue quello della Basilicata (33,1 anni). Le madri più giovani d’Italia risiedono in Sicilia, con un’età media al parto di 31,7 anni.

Quanto posticipazione e calo della fecondità siano connessi è evidente proprio dal caso delle Isole, con la Sardegna che presenta la fecondità più bassa e tardiva, e la Sicilia che, con le madri più giovani di Italia, presenta una fecondità tra le più alte nel panorama nazionale.

Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995 (totale residenti), del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2023 (italiane e totale residenti) è ancor più evidente lo spostamento della fecondità verso età sempre più mature. Rispetto al 1995 i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni mentre continuano a diminuire tra le donne più giovani.

foto Francesca Leonardi