Aree interne: aumenta di intensità la fuga dei giovani laureati.

Continua a confermarsi il declino demografico delle aree interne del Paese. Territori sempre più fragili dove è ormai incontrovertibile l’invecchiamento della popolazione e l’esacerbazione della migrazione.

Il calo generalizzato che ha interessato la popolazione residente in Italia dal 2014 a oggi (-2,2%), dopo oltre un decennio di crescita (+5,9% dal 1° gennaio 2002 al 1° gennaio 2014), si presenta in maniera differente nei Comuni delle Aree interne rispetto ai Centri, così come diverso era stato l’aumento negli anni precedenti. Dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2024 la popolazione residente nelle Aree interne è diminuita del 5,0% (da 14 milioni a 13 milioni e 300mila individui), mentre quella dei Centri dell’1,4% (da 46 milioni e 300mila a 45 milioni e 700mila).

La diminuzione assume contorni anche più intensi esaminando i Comuni Periferici e Ultraperiferici. Se, tra il 2002 e il 2014, la popolazione dei Comuni Periferici ancora evidenziava una crescita dello 0,6%, quella dei Comuni Ultraperiferici aveva già intrapreso un percorso di evidente riduzione, pari al -3,1%. Tra il 2014 e il 2024, poi, il declino demografico risulta generalizzato ad ampia parte del territorio nazionale ma con più evidente forza nelle aree periferiche (-6,3%) e ultraperiferiche (-7,7%).

Nelle aree interne del Mezzogiorno la perdita di popolazione è stata pari al 6,3% pari a 483mila residenti, mentre nel Nord e Centro la diminuzione è, rispettivamente, del 2,7% e del 4,3%: circa 100mila individui persi per entrambe.

Considerando l’intero periodo 2002-2023 il calo delle nascite è stato del 28,5% nei Centri e del 32,7% nelle Aree interne. La differenza si deve ad aumenti annuali lievemente più intensi nei Centri nel periodo di ripresa delle nascite tra il 2002 e il 2008. A partire da tale anno, l’ultimo in cui si sia verificato un aumento del numero dei nati su base nazionale, l’entità del calo non mostra significative differenze tra Aree interne e Centri (-34,0% e -34,3%, rispettivamente) per quanto nel corso del tempo i valori del tasso di natalità delle due aree si siano avvicinati.

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Un altro importante elemento di fragilità demografica delle aree interne è costituito dai significativi deflussi di popolazione che dai Comuni Intermedi, Periferici e Ultra-periferici si dirigono verso i centri o verso l’estero. Avendo dimensione demografica minore e struttura per età più anziana, la dinamica migratoria delle Aree interne è meno intensa rispetto ai Centri. Nel periodo dal 2002 al 2023 i tassi migratori totali (tassi interni più tassi con l’estero) delle Aree interne sono stati positivi, seppur contenuti, solo fino al 2011, grazie al contributo della forte pressione dell’immigrazione straniera che ha caratterizzato il primo decennio degli anni Duemila. In particolare, l’allargamento a Est dell’Unione europea del 2007 ha, di fatto, favorito l’emersione di centinaia di migliaia di cittadini romeni e bulgari presenti sul territorio senza l’obbligo di un permesso di soggiorno che si è tradotta in un aumento delle iscrizioni anagrafiche dall’estero.

La robusta spinta migratoria dall’estero registrata fino al 2011 ha controbilanciato i tassi migratori interni sempre negativi dei Comuni Periferici e Ultraperiferici. Dal 2012 al 2019, invece, la stabilizzazione dell’immigrazione straniera su consistenze più moderate ha impedito il riequilibrio delle perdite di popolazione dovute alla mobilità in uscita dalle Aree interne. La pandemia da Covid-19 del 2020 ha poi parzialmente invertito il trend negativo, complici un significativo aumento dei rimpatri e una geografia del mercato del lavoro disegnata da nuove forme agili di lavoro a distanza.

Gli espatriati continuano ad essere i giovani e i giovani adulti di 25-39 anni sia per i Centri sia per le Aree interne (rispettivamente 44,2% e 41,2% del totale degli espatri negli anni 2002-2023). Emergono invece disuguaglianze nelle graduatorie dei Paesi di destinazione. Per i Comuni Intermedi, Periferici e Ultraperiferici la Germania è la principale meta di destinazione (25,3% dei flussi complessivi), seguita dalla Svizzera (13,6%) e dal Regno Unito (12,7%). Per i Centri, invece, il Regno Unito è la meta preferita nel 18,8% dei casi, seguono Germania (13%) e Francia (10,2%).

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Le due differenti graduatorie possono essere spiegate in parte anche dalla diversa composizione degli espatri per livello di istruzione: gli espatriati con titolo di studio medio-basso sono maggiormente attratti da Paesi con forte vocazione industriale-manufatturiera, mentre coloro che partono con un titolo di studio più elevato prediligono Paesi in cui il settore terziario rappresenta la vocazione economica prevalente. Per i Centri la quota di espatriati con un titolo di studio elevato è pari al 24,2% mentre per le Aree interne la quota scende al 17,8%.

Negli ultimi 20 anni, il numero di giovani laureati italiani che dalle Aree interne si sono trasferiti verso i Centri o verso l’estero, è costantemente aumentato, mentre molto meno numerosi sono stati i flussi sulla traiettoria opposta.

Tra il 2002 e il 2022 si sono complessivamente spostati dalle Aree interne verso i Centri poco meno di 330mila giovani laureati di 25-39 anni, mentre appena 45mila verso l’estero. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le Aree interne 198mila giovani laureati dai Centri e 17mila dall’estero. Ne consegue che la perdita di capitale umano delle Aree interne è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei Centri e di 28mila a favore dei Paesi esteri. Complessivamente lo svantaggio per le Aree interne è pari a 160mila giovani laureati.

La popolazione over 65enne, ancora, è aumentata, tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2024, di 5,6 punti percentuali nelle Aree Interne e di 5,7 punti percentuali nei Centri (Prospetto 4). Al 1° gennaio 2024 la percentuale di anziani rispetto al totale continua però a essere più alta nelle prime (25,2%) rispetto ai secondi (24,1%), per effetto di una diminuzione più forte del resto della popolazione, soprattutto quella giovanile, nelle Aree interne rispetto ai Centri. La popolazione fino a 14 anni è, infatti, diminuita di 3,0 punti percentuali nelle Aree Interne e di 1,7 punti nei Centri, mentre quella in età attiva, dai 15 ai 64 anni, è scesa di 2,6 punti nelle prime e di 4,0 punti nei secondi. Al 1° gennaio 2024 la popolazione in quest’ultima fascia di età costituisce il 63,0% della popolazione totale nelle Aree Interne e il 63,6% nei Centri, mentre quella più giovane (0-14) rappresenta, rispettivamente, l’11,8% e il 12,3%.

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I Comuni Periferici e Ultraperiferici, dal loro canto, mostrano livelli di invecchiamento ancora più elevati. La popolazione oltre i 65 anni costituisce infatti il 25,9% e il 26,8% nei Comuni, rispettivamente, Periferici e Ultraperiferici, mentre la fascia di popolazione al di sotto dei 15 anni è pari all’11,5% e all’11,0%.

Le previsioni sul futuro demografico dell’Italia, aggiornate al 2023, confermano il declino della popolazione nel breve e medio periodo. Lo scenario di previsione “mediano” contempla un calo di popolazione da 59,0 milioni al 1° gennaio 2023 (anno base) a 58,2 milioni nel 2033 (-1,4%) sino a 56,5 milioni nel 2043 (-4,3% rispetto al 2023). La variazione sull’anno base, nel breve e nel medio periodo, risulta più accentuata per i Comuni delle Aree interne (rispettivamente -3,8% e -8,7%) rispetto ai Comuni dei Centri (-0,7% e -3,0%). La quota prevista di Comuni in declino per tutto il Paese è pari al 69,9% entro 10 anni e al 74,5% entro 20. Anche in questo caso, si evidenziano differenze significative, soprattutto nel medio periodo, tra le Aree interne e i Centri dove il calo demografico riguarderà, rispettivamente, l’82,1% e il 67,3% dei Comuni.

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