Natalità in Europa: un milione di nati in meno negli ultimi 14 anni.

In una Europa che invecchia e dove ai giovani non è permessa alcuna progettualità di vita, specialmente nelle regioni più disagiate come la Sardegna, non dovrebbero sorprendere gli ultimi dati pubblicati da Eurostat sul tasso di natalità nei Paesi Ue. Numeri, elaborati dall’IHME (l’Institute for Health Metrics and Evaluation, che confermano un calo di un milioni di nati in meno negli ultimi 14 anni (2008-2022).

In nessuna regione europea, come ricordato recenetemente dall’esponente di Identità e Democrazia, Gianantonio Da Re, “si registra un livello di fertilità che permetta il mantenimento della popolazione (2,1 figli per donna). Questo dato, già estremamente basso in alcuni Stati membri dell’UE, come l’Italia e la Spagna (rispettivamente 1,24 e 1,16) sembra essere destinato a scendere ulteriormente”.

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Sulle azioni in corso mirate a contrastare il forte calo del tasso di fertilità nell’Unione europea, la vicepresidente Dubravka Šuica ha confermato oggi che dopo un lieve aumento delle nascite, passato nel 2001 a 1,57 figli per donna, nel 2008 e nel 2010 il dato è sceso sotto quota 1,50, arrivando nel 2022 a 1,46 figli per donna.

“I principali fattori alla base del calo dei tassi di fertilità in tutta l’UE sono una combinazione di cambiamenti socioeconomici, disuguaglianze di genere, percorsi di istruzione e di carriera più lunghi, dinamiche e norme familiari in evoluzione e rinvio della genitorialità“, spiega l’esponente della Commissione von der Leyen.

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Esecutivo europeo, ha ricordato la vicepresidente, che ha presentato un pacchetto di strumenti per aiutare gli Stati membri a gestire il cambiamento demografico e il relativo impatto.

“La Commissione – spiega la Šuica – mira a rafforzare il ruolo di tutte le generazioni e sostenerle in modo che realizzino le loro scelte di vita e il loro potenziale. Una delle quattro sezioni del pacchetto di strumenti riguarda la migliore conciliazione delle aspirazioni familiari e del lavoro retribuito al fine di promuovere la parità di genere, ad esempio attraverso la raccomandazione del Consiglio sull’educazione e la cura della prima infanzia, che incoraggia gli Stati membri ad aumentare la partecipazione a tali servizi. Gli strumenti disponibili dovrebbero essere efficacemente combinati con le politiche nazionali e regionali, in considerazione delle competenze e delle diverse situazioni degli Stati membri. La Commissione si impegna a sostenere gli Stati membri nell’impiego efficace degli strumenti a disposizione e, a tal fine, a continuare a svilupparli ulteriormente”.

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Peccato, però, rilevare nella sostanza un atteggiamento di sufficienza da parte della Commissione von der Leyen in materia di modifica dei programmi europei di propria competenza, come rilevato, per esempio, leggendo le numerose osservazioni della Commissione CULT del Parlamento europeo su programmi come l’Erasmus+ che, come facilmente immaginabile, possono esercitare un grande impatto in materia di inclusione dei giovani europei.

foto europarl.europa.eu