Garante detenuti: dall’inizio dell’anno 4283 atti di autolesionismo e 32 suicidi.

Si è tenuto presso all’Università LUMSA il convegno Carcere e salute mentale – L’intervento con adulti e minori autori di reato,  primo contributo scientifico del Centro di ricerca sui Sistemi sociali e penali “Diritto Alla Speranza” – DAS, nato dall’esigenza di un ampio confronto sul tema del diritto alla salute e sui profili di maggior criticità rilevati nella sua realizzazione all’interno degli Istituti Penitenziari.

Un incontro per fare il punto sui numeri della detenzione in Italia: “I detenuti presenti nei nostri istituti in questo momento sono 61356, la capienza regolare è di 51157 posti e i posti regolarmente disponibili sono 47247 – spiega Felice Maurizio D’Ettore, presidente del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale -. L’indice di affollamento è 129,86. In alcuni istituti quest’ultimo dato è molto più altro, purtroppo. Gli atti di autolesionismo dall’inizio dell’anno sono 4283, +177 rispetto allo scorso anno. I suicidi sono 32, i tentati suicidi 668″.

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Numeri che si sommano alle aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria: 666 dall’inizio dell’anno: “Stiamo andando verso le mille aggressioni – prosegue -. Questi sono tutti dati che dimostrano quanto c’è da fare”.

Criticità che si amplificano pensando al diritto alla salute dei detenuti/e nel “Bel Paese”: “Oramai c’è una situazione di disagio e di patologia mentale molto diffusa – secondo Claudia Clementi, direttrice della Casa Circondariale “Regina Coeli” di Roma -. L’area del disturbo è così elevata, ovviamente per chi è detenuto si associa a tutta una serie di altre difficoltà, che oramai il carcere non può essere più la risposta unica a queste situazioni. E’ vero che i detenuti sono soggetti, in custodia cautelare o che hanno commesso dei reati e quindi debbono giustamente scontare una pena, però in alcuni casi la problematica relativa al disturbo mentale, pur non determinando un’incapacità d’intendere e di volere, prevale sulla commissione del reato. E allora l’unica cosa che si può fare è dare una risposta integrata che preveda una collaborazione tra le vari professionalità: quella degli operatori penitenziari e quella degli operatori sanitari”.

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