Le risorse dell’UE non sono al riparo dalla violazione dello Stato di diritto.

Lo scudo eretto a difesa dei valori fondamentali dell’Ue presenta punti deboli e non assicura ancora una piena tutela degli interessi finanziari dell’UE, stando a una relazione pubblicata oggi dalla Corte dei conti europea. Nonostante il quadro giuridico dell’UE sia stato rafforzato nel gennaio 2021 con il regolamento sulla condizionalità, le violazioni dello Stato di diritto continuano.

Tra i Paesi Ue, Ungheria e Polonia sono interessate al momento da varie misure di bilancio correlate allo Stato di diritto, il cui impatto stimato ammonta, rispettivamente, a 22 e 134 miliardi di euro circa. Questi importi, tuttavia, non sono ancora effettivi, in quanto rappresentano soltanto l’impatto potenziale su pagamenti e impegni futuri fino alla fine del decennio. In altri termini, le ricadute dirette di bilancio sono di gran lunga inferiori a quanto potrebbero far pensare queste cifre. Al contempo, il blocco dei fondi UE può ostacolare la realizzazione dei programmi dell’Unione e il conseguimento degli obiettivi strategici connessi, qualora un governo venga meno ai propri obblighi. Ecco quindi che i cittadini potrebbero essere i primi a pagarne lo scotto, avvisano gli auditor. Ad esempio, gli studenti potrebbero non avere più la possibilità di partecipare a un programma di scambio Erasmus+.

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“Le nuove tutele dell’UE in merito allo Stato di diritto rappresentano un passo avanti encomiabile”, ha dichiarato Annemie Turtelboom, membro della Corte dei Conti europea: “Ma si tratta di una corazza incrinata: lo Stato di diritto è un valore fondante dell’UE, che merita senz’altro una blindatura stagna”.

Nell’unico caso in cui sono state adottate misure a titolo del regolamento sulla condizionalità (nei confronti dell’Ungheria nel 2022), la proposta di bloccare i finanziamenti è stata debitamente motivata. Quanto agli altri Paesi, tuttavia, la Corte non ha potuto verificare sempre i motivi per cui è stato usato uno strumento anziché un altro. Conclude pertanto che la Commissione europea non può dimostrare in modo trasparente che gli interessi finanziari dell’UE sono adeguatamente tutelati in tutti gli Stati membri.

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In aggiunta, la Corte ha segnalato vari rischi che potrebbero seriamente compromettere l’efficacia a lungo termine delle misure di bilancio e correttive. Innanzitutto, i problemi relativi allo Stato di diritto potrebbero riguardare altre parti del bilancio al di là delle misure adottate. Nel caso dell’Ungheria, i provvedimenti a titolo del regolamento sulla condizionalità vertevano sul 55 % dei tre programmi considerati maggiormente a rischio. Tuttavia, problemi analoghi potrebbero interessare il restante 45 % dei programmi oppure qualsiasi altro fondo dell’UE (ad esempio, nel quadro della politica agricola comune). In secondo luogo, l’applicazione del regolamento sulla condizionalità potrebbe tradursi in poco più che un esercizio formale, senza effettivi miglioramenti della situazione sul campo. Ad esempio, l’annuncio della creazione di un’Autorità per l’integrità non garantisce automaticamente una lotta efficace alla corruzione. Infine, secondo la Corte, i provvedimenti correttivi rischiano di essere invertiti non appena vengano revocate le misure di bilancio.

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Tali rischi appaiono tanto più importanti se si considera che, come mette in risalto la Corte, le considerazioni politiche possono avere un ruolo notevole in ultima istanza, anche se la decisione di non bloccare o di sbloccare i fondi dell’UE dovrebbe essere basata su un’analisi tecnica e giuridica. Infatti, la Corte ha avvisato che la revoca delle misure di bilancio, per la quale è necessaria una maggioranza qualificata in seno al Consiglio, sarebbe stata discussa probabilmente in concomitanza con altre importanti decisioni che richiedono l’unanimità tra i 27 Stati membri. Ed è quanto avvenuto nel dicembre 2023, qualche settimana dopo la fine dell’audit, quando si sono dovute adottare decisioni in materia di Stato di diritto relative all’Ungheria contestualmente alla votazione sui negoziati di adesione dell’Ucraina alla quale l’Ungheria si era inizialmente opposta.