Energie rinnovabili offshore in Ue: manca un’adeguata valutazione di impatto.
Non è una roba da poco l’ultima analisi della Corte dei conti europea sullo sviluppo delle energie rinnovabili offshore in Unione europea. Una conclusione a prova di greenwashing che, in sintesi, fa emergere l’inadeguata valutazione di impatto ambientale e socioeconomico collegato alla rapida espansione degli impianti offshore.
Nonostante il denaro messo in circolo dall’Ue (17 miliardi di euro negli ultimi 15 anni) per lo sviluppo della “energia blu”, nata per perseguire gli obiettivi climatici ed energetici dell’UE-27, secondo gli auditor europei, l’UE rischia di non realizzare le proprie ambizioni, mentre occorre fare molto di più per rendere le energie rinnovabili offshore sostenibili sotto il profilo socioeconomico e ambientale.
L’energia blu dovrebbe fornire un cospicuo contributo agli obiettivi di tutela ambientale dell’UE. Nel 2020 la Commissione europea ha adottato la strategia per promuovere lo sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili offshore (ERO) e sfruttarne appieno il potenziale. Dal 2007 sono stati erogati 2,3 miliardi di euro a favore delle tecnologie ERO dal bilancio UE. In aggiunta, la Banca europea per gli investimenti ha fornito prestiti ed effettuato investimenti azionari per 14,4 miliardi di euro.
L’espansione delle ERO racchiude in sé un “dilemma ecologico”: se da un lato queste fonti energetiche sono essenziali per la transizione verde dell’UE, dall’altro il loro sviluppo può nuocere all’ambiente marino. Benché la strategia UE cerchi di conciliare le ERO con la biodiversità, la Commissione europea non ne ha stimato i potenziali effetti sull’ambiente, in termini fra l’altro di spostamenti di specie e cambiamenti nella struttura delle popolazioni, disponibilità del cibo o modelli migratori. Nel complesso, gli auditor temono che l’espansione delle ERO in Europa possa danneggiare l’ambiente, sia sopra che sotto la superficie marina.
“L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo in risalto l’importanza dell’indipendenza energetica dell’UE e la soluzione a questo problema potrebbe risiedere in parte nei nostri mari”, ha dichiarato Nikolaos Milionis, membro della Corte responsabile dell’audit. “Ma la rivoluzione blu dell’UE non va perseguita a qualunque costo: le rinnovabili offshore non devono provocare alcun danno significativo sul piano sociale o ambientale”.
È raro che le rinnovabili offshore coesistano con altri settori di attività. In particolare, i conflitti con la pesca restano per la maggior parte irrisolti e spesso, al momento di valutare i singoli progetti, le ERO vengono osteggiate. Parimenti, i paesi dell’UE che condividono le stesse acque raramente pianificano progetti in comune e perdono così l’opportunità di usare in modo più efficiente lo scarso spazio marittimo disponibile. Inoltre, le implicazioni socioeconomiche dello sviluppo delle energie rinnovabili offshore non sono state studiate in modo sufficientemente approfondito.
Gli auditor osservano peraltro che il dispiegamento delle energie rinnovabili offshore in Europa potrebbe subire un rallentamento a causa dei rischi per l’approvvigionamento di materie prime critiche. Al momento, queste provengono quasi esclusivamente dalla Cina, che ha un ruolo cruciale anche nella produzione dei magneti permanenti per i generatori a turbine eoliche. La dipendenza dell’UE può creare strozzature e gli auditor esprimono preoccupazione per la sicurezza dell’approvvigionamento nel contesto delle attuali tensioni geopolitiche. Un’altra barriera è rappresentata dalle lunghe procedure nazionali di autorizzazione. Ad esempio, la Francia è uno dei paesi che ci impiega di più ad approvare gli impianti eolici offshore (fino a 11 anni).
Ciò nonostante, l’UE ha fissato obiettivi ambiziosi, volendo raggiungere i 61 GW di capacità installata entro il 2030 e i 340 GW entro il 2050 quando ora sono appena 16 GW. Sarà quindi necessaria una rapida diffusione su larga scala degli impianti ERO nei paesi dell’UE, il che richiede vasto spazio marittimo e circa 800 miliardi di euro, in gran parte provenienti da investimenti privati. Questi obiettivi potrebbero risultare difficili da raggiungere, stando agli auditor.
Le energie rinnovabili offshore possono essere generate dal vento (con turbine fissate al fondale e galleggianti), dagli oceani (con centrali cimoelettriche o mareomotrici) e da pannelli fotovoltaici galleggianti. Attualmente, nell’UE sono prodotte quasi esclusivamente con tecnologia eolica. Di tutti i paesi dell’Unione, la Germania conta la maggiore capacità offshore (8,1 GW a fine 2022, prevalentemente nel Mare del Nord), seguita da Paesi Bassi (3,2 GW), Danimarca e Belgio (entrambi attorno ai 2,3 GW).