Reddito di Cittadinanza. Buone notizie, calano i percettori in Italia.

Non sarà un Governo eccellente, quello guidato dalla Leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ma qualche risultato si inizia a intravvedere nel nostro Paese. Le nuove misure per il lavoro, infatti, hanno già fatto registrare un netto calo dei percettori del pessimo Reddito di cittadinanza, che passano da 1,2 milioni a 740mila, come confermano i dati contenuti nel rapporto dell’UPB sulla politica di Bilancio.

La spesa sostenuta da aprile 2019 ad aprile 2023 per l’erogazione del Reddito (RdC) e della Pensione (PdC) di cittadinanza è stata di 30,3 miliardi (con un massimo di 8,8 miliardi nel 2021). I nuclei beneficiari (inizialmente pari a 570.000) sono cresciuti costantemente, fatta eccezione per i mesi iniziali e ottobre del 2020 (sospensione obbligatoria dopo i diciotto mesi di fruizione), fino a raggiungere 1,4 milioni di unità a luglio del 2021; nei mesi successivi è iniziata una graduale diminuzione proseguita anche nei primi mesi del 2023.

L’introduzione del RdC ha reso rilevante in Italia il tema dell’integrazione tra sussidi e politiche attive. Il tentativo di coniugare la garanzia di un reddito minimo con l’attivazione lavorativa è stato affrontato mediante condizionalità e obblighi che richiedevano l’operatività di una complessa macchina amministrativa. Gli esiti sono stati condizionati dal lento e difficoltoso avvio delle procedure organizzative, anche a causa della concomitante crisi pandemica. Tuttavia, dati Anpal evidenziano che più del 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l’impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura. Ciò ha contribuito, con il migliorare delle condizioni del mercato del lavoro, alla riduzione dei beneficiari del RdC, che dalla fine della pandemia sono diminuiti di oltre il 25 per cento.

Il DL Lavoro porta a compimento il ridisegno delle misure di contrasto alla povertà avviato dal Governo con la legge di bilancio per il 2023 introducendo un nuovo strumentol’Assegno di Inclusione (AdI), in sostituzione del RdC.

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I soggetti tra 18 e 59 anni di età non disabili e non impegnati in lavoro di cura sono esclusi dalla misura a meno che non siano anagraficamente conviventi con soggetti non in grado di lavorare. A favore di questi ultimi è stato introdotto il Supporto per la formazione e il lavoro (SFL), un sostegno monetario della durata massima di 12 mesi condizionato alla partecipazione a progetti di formazione, di orientamento e di accompagnamento al lavoro.

Migliorano, inoltre, secondo il report, le attese per il 2023 nonostante il perdurare di fattori di fragilità come il conflitto in Ucraina, l’elevata inflazione e il manifestarsi di nuove tensioni finanziarie. La crescita del PIL dell’Italia nel primo trimestre di quest’anno (0,6 per cento in termini congiunturali) è risultata migliore delle attese, sia del Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) sia del panel UPB. Nel medio periodo (specialmente per il 2024) i fattori di rischio per il nostro Paese si confermano invece orientati al ribasso, così come le attese sul contesto economico globale.

Sullo sfondo però pesano i rischi connessi all’incapacità di gestire le risorse del Pnrr, come confermato, di recente, anche dalle sempre più pressanti richieste dell’Esecutivo Meloni all’UE per rimodulare il piano e “favorire” la realizzabilità dei progetti. Misure e azioni, come rilevato per i giovani italiani, che non faranno altro che reiterare schemi desueti e fallimentari ma con più risorse economiche. Fondi, ricordiamolo, per la maggiore rappresentati da prestiti e non regalati come molti vogliono far credere.

Allo stato dell’arte, in assenza di una dichiarazione nel merito degli interventi per i giovani, risulta quindi essere fuori dalla portata dell’attuale Governo alcuno slancio all’azione di riforma mirata a superare i divari generazionali, di genere e territoriali nel nostro Paese.

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Il 2022, tornando al report di UPB, è stato caratterizzato da aumenti dei prezzi che non si osservavano da circa quarant’anni: l’inflazione misurata dall’indice NIC ha raggiunto l’8,1 per cento, il valore più elevato dal 1985, quando superò il 9 per cento.

Le spinte rialziste sui prezzi iniziate a monte della catena produttiva già nella primavera del 2021 a riflesso dei rincari delle materie prime si sono successivamente propagate alle voci di consumo, fino a incidere considerevolmente sul carrello della spesa.

La dinamica dei prezzi da gennaio 2021 a tutto aprile 2023 è risultata molto differenziata tra categorie di beni. Particolarmente elevata è risultata quella per l’aggregato relativo alle spese per abitazione (+47 per cento) – che include la spesa per gas ed elettricità (cresciuta, rispettivamente, del 196 e del 207 per cento) – e, in minor misura, quella per trasporti, che risente della variazione dei prezzi dei carburanti (128 per cento). Nello stesso periodo, i prezzi dei prodotti alimentari hanno registrato un aumento complessivo di circa il 20,3 per cento.

Si prevede una graduale attenuazione delle tensioni sui prezzi, con un rientro rapido delle componenti energetiche ma più lento sia per gli alimentari che per le voci core. La pressione dell’inflazione sui bilanci delle famiglie, in particolare quelle con minore capacità di spesa, rimane dunque ancora sensibilmente elevata.

Per contrastare l’impatto dell’aumento generalizzato dei prezzi dei beni di consumo e in particolare di quelli energetici sono stati adottati diversi provvedimenti a partire dalla seconda metà del 2021 (misure tariffarie e trasferimenti monetari), proseguiti e in alcuni casi potenziati nel corso del 2022. Nel 2023 le misure di sostegno hanno subito una variazione, con la parziale attenuazione della riduzione applicata alle tariffe e l’abbandono dello sconto delle accise sui carburanti, in concomitanza con il calo dei prezzi dei prodotti energetici.

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Complessivamente, alla mitigazione degli effetti inflazionistici sono state destinate, in base alle valutazioni ufficiali, risorse per 119 miliardi di cui 5,6 nel 2021, 70 nel 2022 e 35 nel 2023. Di questi, 30 miliardi sono destinati alle famiglie, 35 alle imprese e ulteriori 35 a entrambe le platee. 

Per il 2022 l’impatto sulla spesa per le famiglie connesso all’aumento dei prezzi sarebbe risultato pari a circa il 9,6 per cento (di cui circa 7 punti percentuali per aumenti dei prezzi dei beni energetici e 2,7 per l’inflazione sugli altri beni), ma le politiche di mitigazione hanno contribuito ad alleviarlo per circa 4,5 punti facendolo calare a 5,1 punti percentuali.

Nel dettaglio, le politiche di sconto tariffario hanno contribuito a ridurre la spesa per 1,6 punti percentuali, i trasferimenti monetari per 2,9 punti.

A parità di composizione di paniere di consumo, nel 2023 l’impatto lordo della crescita dei prezzi sarebbe pari al 4,8 per cento, a fronte della crescita dei prezzi dei beni non energetici (+5,5 per cento) e della riduzione di quelli dei beni energetici (-0,7 per cento). Tuttavia, il progressivo ripensamento delle politiche di sostegno (minori sconti tariffari solo in parte compensati da maggiori trasferimenti monetari) ha determinato un ulteriore incremento della spesa di 0,6 punti percentuali: l’effetto netto finale è dunque stimato al 5,4 per cento, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al 2022.

Da una valutazione complessiva dell’impatto dell’inflazione e degli interventi di mitigazione emerge quindi che nell’arco del biennio considerato questi ultimi hanno avuto l’effetto di stabilizzare l’impatto dell’inflazione: l’aumento netto della spesa delle famiglie risulta infatti pressoché costante nei due anni (5,1 e 5,4 per cento).