Inapp: “I figli dei laureati si laureano 3 volte più di chi ha un padre con la terza media”.
Un ascensore sociale con il pulsante istruzione bloccato, così appare la mobilità intergenerazionale rispetto al titolo di studio secondo gli ultimi dati Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). Il figlio di un padre laureato ha oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi ha conseguito la terza media. Più esattamente, nella fascia d’età 30-39 anni (la più “giovane” tra quelle considerate), la probabilità di laurearsi per il figlio di un laureato è del 61%, percentuale che scende al 30% per il figlio di un diplomato, fino a toccare il 18% per chi ha il padre con al massimo la licenza media.
Questi i principali dati del Rapporto Plus 2022 sulla mobilità intergenerazionale dei titoli di studio menzionati nel corso dell’evento “Giovani verso il futuro. Formazione e lavoro nella società in trasformazione”, organizzato da INAPP.
In sintesi, secondo il report, benché il livello medio di istruzione sia cresciuto negli ultimi cinquant’anni, lo svantaggio relativo per chi proviene da famiglie meno istruite non si è ridotto significativamente, come ridocrdato da Sebastiano Fadda, Presidente INAPP: “Altrettanto importante quanto il basso numero dei laureati è la sua ineguale distribuzione rispetto alle caratteristiche di istruzione e di reddito dei nuclei familiari di provenienza. Se a questo si aggiungono anche i fenomeni della disoccupazione intellettuale, della “sotto-occupazione” e della “fuga dei cervelli” si capisce quanto grande e complesso sia il problema della formazione e della utilizzazione del capitale umano nel nostro Paese”.
Molti possono essere i fattori alla base dello svantaggio citato nel report, a partire dall’esperienza passata dei genitori e le loro possibilità economiche, inadeguati servizi di orientamento, limiti dei meccanismi di transizione scuola-lavoro e insufficienti strumenti di sostegno negli studi per i giovani con basse disponibilità finanziarie. Oggi il titolo di studio non è più percepito dalle famiglie meno istruite come una chiave per l’affermazione lavorativa e ciò può indurre i genitori a non investire nell’istruzione del proprio figlio, anche perché effettivamente in Italia i rendimenti dell’istruzione sono più bassi di quelli registrati in altri paesi OCSE.
“Una società giusta ed equa – ha continuato Fadda – implica che sia l’impegno, e non le posizioni iniziali o il contesto famigliare, a determinare lo status socioeconomico dell’individuo. Il sistema educativo dovrebbe garantire a tutti i ragazzi e le ragazze l’opportunità di partecipare a processi di apprendimento efficaci, in grado di sviluppare le loro potenzialità e il loro talento separando così le loro prospettive da quelle della famiglia d’origine. E ciò può avvenire sviluppando non soltanto i percorsi universitari ma anche gli altri percorsi di formazione professionale fino al livello terziario e garantendo processi continui di aggiornamento delle competenze per soddisfare i bisogni emergenti dalle trasformazioni strutturali in atto”.