Gerontocrazia Italia. Aumentano gli statali: impiegati solo 2 giovani under30 su cento.

A fine 2022 tornano a crescere i dipendenti pubblici in Italia. Un esercito pari a 3,26 milioni aumentato dello 0,8% in un anno. Per qualcuno potrebbero essere dati positivi per la P.A. italiana. Ma, come facilmente intuibile, guardando più a fondo, la forza lavoro pubblica “dell’usato garantito” presenta un’età media alta (50,7 anni), con pochi giovani (gli impiegati pubblici con meno di trent`anni sono il 4,8%, e il 3,6% quelli con un contratto a tempo indeterminato) e dove la formazione è scarsa per usare un eufemismo. La capacità di affrontare le sfide del Pnrr e dintorni, insomma, non sembrano essere alla portata della burocrazia italiana.

Registrata, ancora, una forte ripresa dei concorsi e, contestualmente, una diminuzione dei candidati, nonché un aumento delle rinunce, con punte arrivate anche al 50% in alcuni settori. Il “grigio posto fisso”, in altre parole, affascina sempre di meno.

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Si apre quindi uno scenario decisamente catastrofico per la Pubblica Amministrazione italiana. Entro il 2033, infatti, oltre 1 milione di dipendenti pubblici andrà in pensione, ovvero uno su tre. Facile intuire, guardando allo stato dell’arte, che numerose amministrazioni si troveranno ad essere bloccate per l’assenza di personale. In valori assoluti le uscite più significative saranno nel settore dell’istruzione (463.257), sanità (243.130) ed enti locali (185.345).

Problemi acuiti dalla sempre meno certa tenuta del sistema pensionistico nazionale (già adesso in numerose province d’Italia si è toccato il rapporto 1 a 1 tra pensionati e forza lavoro).

Se da un lato, i lavoratori danno meno importanza al “posto fisso” in favore di aspetti come benessere, motivazione, formazione o lavoro agile, dall’altro si evidenzia una nuova competizione tra pubblico e privato sui profili tecnici e tra amministrazioni. Enti pubblici sempre meno interessanti. A poco serviranno gli strumenti di employer branding senza la capacità di recidere il cordone con la politica che, di fatto, rende, con le tante operazioni di “collocamento”, la PA un luogo di improduttività e conflitto.

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Difficile, pertanto, attrarre nuovi talenti e valorizzare le persone che già lavorano nel pubblico. Figuriamoci la capacità del pubblico di far fronte alle sfide della transizione digitale e green.

Interessante, ancora, il fenomeno del precariato nel settore pubblico. Roba da Stato delle Banane. Nella PA, su 100 contrati stabili, 15 sono quelli flessibili. Il 68% di questi è assorbito da Istruzione e ricerca, dove i precari sono 297.000 (il 30% del comparto) e il 14% nella Sanità, circa 63.000.

Nei Ministeri, negli enti locali e nella scuola abbiamo solo due giovani di meno di trent`anni assunti stabilmente ogni cento impiegati. Il confronto con i dipendenti stabili che hanno più di 60 anni è impietoso: nei Ministeri abbiamo lo 0,7% persone di meno di trent`anni, ma il 29,3% sopra i 60 anni. Nelle funzioni locali sono l`1,8% contro il 20,8% di “anziani”, nella scuola addirittura lo 0,3% contro il 22,8% di persone sopra i 60 anni.

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Dal 2008 al 2021, ancora, la spesa per la formazione dei pubblici dipendenti si è quasi dimezzata ( e sì, la Pubblica Amministrazione è proprio appetibile!). Da 301 milioni di euro del 2008 si è passati ai 158,9 del 2021 e il numero di giorni di formazione è sceso dal massimo di 4,9 milioni del 2008 ai 2,9 milioni del 2021, ovvero meno di un giorno in media per dipendente.

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