Cambiamenti climatici: nuova rotta trans-oceanica per i pesci marini.
Una nuova ricerca coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim) illustra come la penetrazione di diverse specie ittiche dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, possa in futuro estendersi all’Oceano Atlantico a causa dei cambiamenti climatici. “L’apertura del canale di Suez nel 1896 ristabiliva un contatto tra il Mar Rosso e il Mediterraneo, permettendo a centinaia di specie esotiche, tra cui più di cento pesci tropicali di penetrare e invadere il mare nostrum”, spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim di Ancona, autore dello studio recentemente pubblicato su Frontiere in Ecologia e Ambiente.
“Questo fenomeno, spesso indicato con il termine di migrazione lessepsiana, in omaggio all’ingegnere francese Ferdinand de Lesseps che realizzò il Canale di Suez, ha cambiato per sempre la storia del Mediterraneo, con rilevanti impatti ecologici e socioeconomici”. Lo studio supportato da un set di modelli di distribuzione e testato su dieci specie ittiche, illustra la possibilità di una migrazione lessepsiana estesa che implicherebbe la riconnessione degli oceani Indo-Pacifico e Atlantico, separati da milioni di anni. Alcune specie del Mar Rosso come il pesce palla maculato “Lagocephalus sceleratus”, il pesce flauto “Fistularia commersonii” e la sardina di Golani “Etrumeus golanii”, sono state già segnalate in prossimità dello stretto di Gibilterra, alle porte dell’Atlantico. “Non si tratta di un ritorno alla Tetide, il grande oceano marino che circondava le terre emerse milioni di anni fa, ma di uno scenario di omogenizzazione biotica dalle conseguenze difficilmente prevedibili”, conclude Manuela D’Amen dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale Roma (Ispra). “L’emissione di gas serra in atmosfera sta spingendo il nostro pianeta verso delle soglie critiche e questo studio ribadisce la necessità di accelerare l’attuazione di politiche climatiche, come concordato alla scorsa COP 26 e come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale”.
foto Ogyre